Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 90

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ad Aristotile attribuiscono e solo l’intelletto agente immortale, e
questa dottrina ha tolto dal mondo ogni bontà e fede, e ha sconscienziato
la gente troppo che son gli uomini finti Saducei, che se
fussero aperti potriano manco ingannare. Ma perché non l’utile e
l’onor nostro deve persuaderci che siamo immortali, ma solo il vero,
verrò all’esamine per quanto importa a questo libro, ché altrove
disputai l’opinioni di tutte le nazioni.
CAPITOLO 25
Dell’immortalià e divinità dell’uomo
Nessun effetto potersi sopra la sua causa elevare sia nostro principio
a mostrare l’immortale e divina natura dell’uomo. Questo si vede
per tutto, ché il generato fuoco non può far più che attenuare,
scaldare, movere, imbianchire, ammollire e densare le cose dissimilari,
e quel tutto che il suo generante faceva o poteva fare; anzi
mai non può arrivare a farsi come il sole onde egli è derivato. Né
l’acqua fa più operazione che d’acqua, né la terra più che di terra.
Ma noi veggiamo che l’uomo non si ferma sotto la natura degli
elementi e del sole e della terra, ma molto più sopra loro intende,
desidera e opera più che nullo effetto loro altissimi effetti,
talché non pende da loro, ma da cagione molto più alta che Dio
s’appella.
Ecco che quando l’uomo va cogitando, pensa sopra il sole e poi
più sopra, e poi fuor del cielo, e poi più mondi infinitamente, come
escogitarono pure gli Epicurei. Dunque di qualche infinita
causa ella è effetto, e non del sole e della terra sopra li quali infinitamente
trapassa. Dice Aristotile ch’è vana imaginazione pensar
tanto alto; e io dico con Trimegisto ch’è bestialità pensar tanto
basso; et è necessario ch’egli mi dica d’onde avviene questa infinità.
Se si risponde che da un simile mondo un altro simile si pensa,
e poi un altro, poi in infinito, io soggiongo che questo caminare

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