Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 533
Conciosiaché si trovano tre maniere di lei. l’una si fa
nelli spiriti quando sono infestati da qualche nuovo accidente
o da troppa ira, nella quale essi, con
furia scorrendo il corpo, commovono gli huomini et s'accendono;
o vero per la fatica; o vero per la soverchia
vigilia, che fa che li vapori non si digerischino - et lo spirito
s'accinge con più caldo et moto (il che si dice febre) a
digerirli -; o per grosso vapore dell’aere che l’infesta et
aggrava et entra tra li pori, tra carne et pelle - et si apparecchia
a scacciarlo (così si fa il castrone) -; o vero per tristitia
et dispiacere, quando egli si ritira e tralascia gli
uffici del corpo et non scaccia le fuligini et fa crudità, dal
che vedendosi oppresso fa far febre più che diaria, poiché
non solo nelli spiriti è la molestia ma nella carne. Il
che gli avviene anchora quando sono ristretti li
pori et non può traspirare la parte escrementosa. E
tanto dureranno queste febri quanto sta a disfarsi la cosa
peccante: onde un giorno o due o più si continua, perché
li spiriti sono sottilissimi, continuo fervore fanno per la
mobilità loro, massime che il loro male importa più che
gli altri. Segni di tal febre sono il polso largo, nella dilatatione