Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 255

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s'indura in pietra; et ciò che dentro a tai fonti si mette,
di pietra si vestirà, come il bombacio dentro la cera liquida
posto di quella s'ammanta; et questa uscita dalla sua madre
s'indura, perché il calor commune non la serba nel suo
basso, e 'l suo proprio dal fresco aere vinto viene né la
può mantenere molle. Né perché non si vegga nella soprana
faccia la terra liquefarsi, si deve stimare ch'ella
dentro non venga tale, perché nella superficie
il calor agente, subito che harà una parte di lei liquefatto
et attenuato, se ne va in cielo et non aspetta l’altre liquefarsi
et disponersi con la mole già tenue ad attenuarsi; et
però quivi incrosta et rende minuta la terra mentre la
rompe per poter essalare, come nelle castagne arroste et
uova, onde la tenuità non può uscire, si vede che in pezzi
minuti si frangono per la forza della sottilezza uscente a
copia dalle fissure con impeto. Ma nella profondità della
terra il calore agendo non manda sé con le tenuità fuori,
ma resta a lavorare et fa diversi licori, sì come il calor del
nostro ventre fa diversi humori nel rinchiuso, cioè sangue,
collera, flemma, malinconia, orina, sputo et
grasso, differenti di continenza di calore et sapore, il che
non farebbe dischiuso. Però sendo chiuso il caldo sotterra,
di materia uniforme e non brusciata, s'egli è moderato,

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