Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 354

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spina de i lumbi, e facienti un corpo detto mesenteri. A
questo budello, perché d'ogni parte se ne possa cavar il sugo
del nutrimento, sono tessute molte vene in rami sparse
dette mesercuce, derivanti dalla vena porta, le quali succhiando
il dolce et sottile liquore, il grosso resta. Et perché
non nuoca fu provisto dallo spirito di far un intestino più
largo, un diverticolo, dentro al quale si mettesse la feccia
fin a tanto che s'havesse a gettar fuora. Et doppo fu tirato
in suso questo intestino per la parte destra sino al ventricolo,
dove piegando verso sinistra <si ritira> a basso là nel
centro della ventraia, et quivi alzatosi un poco, per
non esser necessitato a gettar le feccie quando non potrà
farlo - perloché anchora è per tirare il resto del
suco che s'era volto in suso con tanto giro, - si ritorna in
giuso verso l’ossa delle coscie et esce dentro alle natiche,
dove con un muschio s'apre et chiude per gettar via la
feccia e 'l fumo fetido senza offender la parte anteriore del
naso et de gli altri sensi. Et per serrarlo meglio le natiche
furono sì carnose, et perché giacendo l’huomo in esse si potesse
appoggiare, et per altri usi. Le vene poi tirano la succolenza
al fegato, dal cui calor viene cotta più bene. Et essalando

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