Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 392

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di fuora a quelle di dentro s'assomigliano, e l’arte alla
natura e la natura a Dio si riducono ad imparare. Ritornando
diciamo che le palpebre ancora servono ad unire
la luce; e li peli per abbracciare l’una palpebra con
l’altra e per avisare quando alcuna cosa si aventa a loro
per l’aere (che li muove agevolmente); e le ciglie sono per
congregare quanto per le finestre entra, acciò meglio sia
appreso; e la cute della fronte fu fatta muscolosa che si
possa alzare e bassare a tirare le cilia, a meglio aprir gli
occhi, e per gravarli a meglio chiuderli; e la testa
fu senza carne per non impedir il senso e non gravar lo
spirito, e si coperse di peli per difesa legiera atta alla sensibilità
(li quali nascono dalle fuligini che s'espurgano
dalla testa e d'altri escrementi viscosi indurati nell’uscire
de' pori). E tutto quanto si fa per necessità viene per
meglio. Consultandosi poi come la visione se dovesse
fare, disse il Senno che non era bene che lo spirito ad
alterare l’aria uscisse a far la communicanza della luce
esterna con lui, né che andasse al cielo et alle stelle che si
veggono, perché allettato dai corpi consimili se ne volarebbe
ad alto, e da i venti e piogge fora disturbato. Né
la cosa visibile è bene che venga all’occhio, perché tutte

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