Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 394

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veggiamo dentro a lui, ma sì ben per il contrario, per la
medesima raggione. Chi si mette il dito sopra l’occhio non
vede, perché non si può dal dito all’occhio luce riflettere.
Gode lo spirito assai della luce, sì perché egli è lucido
e celeste, sì perché impara ogni cosa da lei nella
detta maniera. Onde dentro l’humor cristallino veggiamo
l’imagine della cosa che l’huomo mira, la quale è luce
tinta della cosa che mira: da la quale luce imparò a discernere
il colore e quantità e figura della cosa - onde la luce
è colorata e per conseguenza quantitata e figurata -, da che
l’animal nasce sin a tanto che si faccia scienziato, conferendo
quel che vede con quel che sente negli altri stromenti.
Son gli humori degli occhi per ricever la luce e moltiplicarla,
come lo specchio, ma non per veder; ma lo spirito
è quel che vede, toccato dalla luce tinta. Però quando un
guarda fisso in qualche parte o pensa altrove, non vede,
perché lo spirito non sta a misurare la tintura della luce,
badando ad altro: così chi dorme ad occhi aperti tanto
vede quanto un specchio che non ha spirito, perché lo
spirito s'è ritirato dentro la testa. Onde sappiamo che
lo medesimo spirito è che ode tocca vede gusta e pensa,
continuato in tutti vasi con quello che sta dentro al cerebro;
et è corporeo mobile e lucido, e però può vedere in un
istesso tempo diversi colori, perché diverse parti di lui si

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