Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 545

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[DISCORSO VENTESIMOTERZO]
Della fortezza et suoi contrarij.
Mentre si procurano questi beni et s'usano, molti travagli
sogliono avvenire dalli pravi huomini, dall’inimici
animali, o dalle istesse fatighe, o dalla conditione nostra
posta in mezzo a contrarij: a i quali tutti se vogliamo
resistere, restiamo morti et non conservati; così anchora se
a nullo ci opponiamo. Similmente delli beni acquistati
ponno essere tanti i piacerij che ci soffocano il consiglio
et ci fanno operare pravamente. Dunque quel sapere che
dice quanto e come et a chi dobbiamo resistere et vendicarci,
et comportar gli affanni, et l’allegrezza
reprimere, si dice fortezza, distinta dalla forza del corpo,
ch'è gagliardia della possanza e non virtù del senno, seben
da lei il nome di virtù et di fortezza vien translato.
Questa regola l’armi, sottopone il mondo a sé, et si vendica
dell’ingiurie fatte solamente per dispreggio; et nessuna cosa
odia più quanto l’essere disprezzato, cioè conosciuto per
di poco riguardo degno. Si fa il dispreggio, quando lo

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