Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 555

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commune fa bisogno che l’un huomo all’altro dica il vero:
altrimenti il mercante non crederebbe all’agricola, né il duce
a soldati, né il discepolo al mastro, né il figliuolo al padre,
et così si perderebbe il commercio humano. Talché, per
mantenerlo, con la voce significa quel che dentro l’animo
con i fatti s'osserva. Et perché questa verità dalla terra
nasce ed è troppo instabile, Dio volle che fusse
col celeste intervento confirmata et divina testimonianza,
sendo gran bisogno di lei; et così diede il giuramento alla
politica, il qual chiama Dio per testimonio. Et chi mentisce
soggiace alla pena divina. Chi poi dice le cose altrimenti
che sono si dice bugiardo et falso: et questo è infelicissimo
animale, perché annichila sé stesso facendo et dicendo quello
che non gli è nell’animo, et riducendo l’essere al non essere.
Et ciò viene dall’impurità dello spirito non guardante alla
verità eterna, ma all’humana di poca durata per breve
et falso utile. Colui poi il quale in ogni cosa vuol dire
il vero quantunque noccia, non vertadero, ma
superstitioso appare, perché in utile commune è di colui
a cui si dice. Si può mentire, se pur ciò è mentire, come
donando il medico al fanciullo la medicina amara acciò
la beva dice ch'ella è dolce, havendo riguardo all’effetto
dolce. Però, a chi ben mira, non è bugia, altrimenti le
parole e le favole e le metafore trovate da Santi e savij per
ammaestrare sarebbono bugia. Et sarebbe bugia quel che

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