Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 561

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resto. Et è segnale di spirito lucido et puro, non disperante
per i mali, ma effondentesi et giocante con la propria
luce: onde si fa amabile a sé et a gli altri. La tristezza
non s'acqueta nel presente, è sollecita del futuro: cosa di
spirito impuro, fuliginoso, con le sue fuligini combattente
sempre; et però si ritira dentro a far questo, et divieta li
spassi de gli altri, et si fa odioso. Chi troppo sta allegro, di
nessun male cura, ma ride et giuoca sempre, ha il vitio
detto buffoneria: cosa di spirito troppo sottile et fuliginoso,
che con la sua impurità non vuol combattere per diffidenza,
ma sta con la sottilezza dilatandosi a spasso senza
riguardo.
[DISCORSO TRENTESIMO]
Della mansuetudine et suoi contrarij.
Viene la mansuetudine, la quale non si tormenta per gli
altrui errori, non potendosi macchiar per quelli, ma gode
della propria purità sola et perdona volentieri. Il vitio
di chi non perdona è iracondia, la quale è di spirito impuro
desideroso di purità et nobiltà: ché se puro fusse, non
farebbe che d'altri sua nobiltà dipenda, vendicandosi delli
errori come destruttori di quella. Stupido sarà chi perdona

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