Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 164

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Terzo, <far> che <tutti> i baroni mettano in comune il danaro,
costringendoli con religione di semblea che hanno con la corona di
Spagna.
Quarto, impetrare dal Papa le indulgenze della cruciata in tutti i
regni suoi, e mettere i danari di quelle in erario, fin che saranno multiplicati
che possano fare un esercito per terra santa.
Quinto, impetrare dal Papa per cinque anni che tutte le chiese e
monasterii e vescovati, parrocchie ecc. delli suoi regni paghino all’erario
del tesoro sacro alla guerra contro infideli cinque per cento di
quante rendite hanno, sempre mancando sino all’uno, tanto che il
primo anno paghino cinque, il secondo quattro, il terzo tre, il quarto
due, e il quinto uno, e poi niente. Ma li signori Veneziani si fanno
pagare le decime, e questo si può far usando i prescritti modi col Papa,
e dicendo voler far erario contra hostes fidei, e mettendo in guardia di
tal tesoro due vescovi.
Sesto, in tutte le terre deve il Re fare il traffico per mezzo delli
tesorieri suoi delle materie delle cose, come in Calabria donare denari
per seta, in Puglia per fromento, in Sicilia per oglio ecc., perché così
leverà gli uomini dal negoziare i danari, e li farà attendere alla coltivazione
della terra, ed ei averà guadagni stupendi.
Settimo, mandare un commissario in tutte le terre e casali, massime
di Napoli, con un religioso consigliero contro li usurari, e provandosi
con tre testimonii singulari l’usura, secondo le constituzioni
del regno li si tolga tutta la robba, e farne un monte, e poi il Re gliene
restituisca la metà, come se gli ha tolto dieci mila scudi, restituirgliene
cinque, perché sono vili gli usurari e odiati, e non si ribellano. E così i
popoli godono vederli rovinare, e non li seguono, e a loro pare guadagnare
assai, se li rendi la metà, e tu del resto fa un monte di pietà
dove si soccorra tutta la povertà col pegno, e non restituendo a tempo
il danaro, si venda il pegno,

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