Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 222

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XX
Della Spagna
Oltre le regole comuni già dette, si può notare che, essendo in
Spagna popoli diversi, si devono unire, massime quelli che han
qualche gara ricordevole d’essere stati capi di signoria. Però li Castigliani,
Aragonesi e Portoghesi si devono meglio unire, dando a tutti in
corte officii eguali e rimunerando i Portoghesi nello stato castigliano,
e i Castigliani nel portoghese, e agglutinandoli con matrimonii e
unioni nel navigare. Il medesimo si deve fare tra li montanari di Biscaglia,
Leone, Asturia e Galizia con quelli del piano, Vandaluzi e
Valenziani, ecc., e domesticandoli, perché son diversi, e insertare a
mezzo loro le scole communi e collegi di soldati, di lingua e spada,
come di sopra, a beneficio loro e del Re, e multiplicarli, ut supra, <con
donne forastiere, e servirsi di loro nelle guerre secondo le condizioni,
ut supra>, dove son atti per natura ed esercizio, e non a caso, e a poco
a poco farli dimenticare delle vecchie usanze, non repente, ecc. con li
novi ordini e comunicazioni d’arti, scienze, governi e offici, e
riempir i paesi voti d’agricoltori e artefici, perché questi esercizii
faceano i Mori e Giudei, e adesso Spagna, perciò non ha
pane né quel che bisogna e tutti de navigar, perciò van fuori.
D’essi, in Italia sono buoni officiali, ma non in Fiandra, ma Spagna
d’officiali italiani si deve temperare, e in essa tutte le felicità si
devono trovare, sendo la sedia dell’imperio, come tutte le virtù,
scienze, giustizia e religiosità e abondanza, a fin che godano le altre
nazioni di spagnolarsi, vedendo che essi felicemente godono. Ma se

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