Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 232

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del papa, ad uno ad uno l’abbasserà tutti sotto il suo dominio, e
mentre cede al Papa, guadagna l’animo e le forze sue, e de principi italiani
le forze.
Questo si può fare a tempo suo, ma stando le cose come oggi
stanno, deve forzarsi il Re di tenerli disuniti servendosi di Parma e
d’altri e gli altri non curando, e chiamando i Veneziani padri d’Italia
per onorarli, e dimandare da loro alcuni giudici nobili per mandarli al
governo di Fiandra, perché quei popoli più si conformano con li Italiani,
massime Veneziani. E poi il Re guadagna li animi de Veneziani,
e li deve premiare di qualche baronia, già assicurato che essi sono
giusti e non magnanimi, onde a mantenere e non ad acquistare sono
buoni, e procurare che gli Olandesi piglino leggi da Veneziani, ut
infra
. Ma se potesse con tal arte indurre i Veneziani alle mercanzie del
Mondo nuovo, levandoli quelle d’Alessandria e Soria per il mar Rosso
con le navi portughese, sarebbe un insignorirsi di Venezia come di
Genova.
Però per assicurarsi da Veneziani, non solo è buona l’armata che
costeggia l’Italia, ma le forze dell’arciduca di Gratz ancora e i Grigioni
lor confini, servendosi di quelli in guerra, con suo utile e paura di
Veneziani.
Di Toscana poi e Venezia deve il Re ricettare tutti li banditi, e servirsi
di loro in guerra, e remunerarli perché chiamino li altri, e li abbia
opportuni contro la patria loro, come spesso fece il Duca di Milano, e
il re di Francia de fuorusciti Genovesi e Fiorentini, onde oggi il Piccolomini
e lo Strozzi insieme con don

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