Tommaso Campanella, Lettere, n. 13
A PAPA PAOLO V IN ROMA
Napoli, settembre 1606
Beatissimo Padre,
vinti giorni dopo scritto, non potendo mandar la lettera, intesi murmurar 
 dal barbiere e soldati che li
            Veneziani sono scommunicati da Vostra Beatitudine, 
 e che correno intrichi per questo. Il che mi fece lacrimare «quia tacui», 
 se ben non per colpa mia; e pensai
            che per questo li Reverendissimi 
 non me aiutano come deveno, per non guastar gli animi di príncipi. Però, 
            supplicando prima che mi dimanda, con condizione di rendermi a loro s’io 
 mento o che non finisca il negozio, finché Dio
            farà sereno, se li piace, vengo 
 a dirli una parte di revelazione ch’ho intorno a questo, serbando il resto, 
 ch’è
            assaissimo, a suo tempo e luogo. 
Or son tre anni, avendo interrogato il Demonio, che si facea angelo e dio 
 e compariva ad una persona da me instrutta a
            pigliar l’influsso divino, al 
 qual mi parea disposta dalle stelle per la sua natività che mirai, rispose di 
 tutti
            regni che dimandai, oltre di me e degli amici; e di Roma disse ch’al 
 1607 il pontefice perderà gran parte d’autorità, e
            che alli 1625 sarà scisma 
 di dui pontifici e si struggeranno l’un l’altro e abbasseranno il papato assai. 
 Poi sarà
            fatto un papa da gente meschina e povera e poca, fuor di Roma, 
 fiacco e di valor languido, e questo poi in breve sarà
            spento: è qui finirà tutta 
 la pontifical dignità e ’l senato di Cardinali sarà annichilato. Fra l’altre, 
 poi,
            visioni, vide una vecchia seguitata da fanciulli a pietre, ch’entrò in 
 una casa; ed esso, seguendo appresso, entrò e la
            vide sepolta in una cassa, 
 con queste lettere sopra: «C. V. C.». E dopo un mese ci dichiarò il falso angelo, 
 che
            volean dire: «Certo Venezia Caderà»; e disse che quella persona, 
 che vedea tali visioni, sarà mandata da esso Dio a far
            certi miracoli in Venezia, 
 e sarà da’ Veneziani carcerato; poi fuggirà di carcere e averà tutta l’Italia 
 in favore e
            struggerà Venezia. 
Dopo queste e moltissime altre visioni, che ci n’è un libro, io, accorto 
 ch’era Diavolo in molti segni e avvisando quella
            persona, dicendoli che dimandasse 
 segnali come Gedeone, e altre industrie, promesse il Diavolo 
 darli poi; ma
            comparse ad un signore in uno specchio, che trattava farmi 
 fuggire, e lo fe’ che mi tradisse e rivelasse; e fui posto in
            questa fossa 
 pur dal Diavolo medesimo predettami. Qui aspettai, per tal successo verificato, 
 scienze dal Cielo e
            libertà promesse dal Diavolo, perché il desiderio 
 del sapere e libertà mi facea esser mal giudice e non stavo certo ancora
            se 
 era diavolo. Passò il tempo della sua promessa, e vennero li diavoli spesso e 
 m’afflissero in varie forme in
            questo luoco; e questo mi servìo assai per accertarmi 
 della fede e pregai Dio: fui soccorso, ebbi revelazioni vere, e mi
 fûr dichiarati gl’inganni del Diavolo e di sue profezie, e detto che avvisassi 
 Vostra Beatitudine di molte cose –
            che non basta sei fogli di carta – da mia 
 sorella, che fu sibilla, e da san Paolo e san Pietro e san Bonaventura; e come
 li diavoli nelle stelle e nelle cause agenti veggono molti eventi, e per il 
 più essi s’ingannano e ingannano. Questo
            di Venezia antevidero nella congiunzion 
 magna del 1603 ed eclissi e comete ecc., e nell’animi di Veneziani, 
 che si
            governano più per ragion di Stato che per l’Evangelio; e che certo 
 sta in procinto di ruinare, se non fa penitenza, e
            scotendo il giogo del padre 
 pigliarà il giogo del padrone, e farà libri per provocar a gelosia il padre e 
 Dio, e mostrarà scherzare e poi
            farà da vero; ch’entraran Oltramontani, 
 scriveranno di libertà e saranno animati da gente forastiera alla vanità loro,
            
«et erit illis in ruinam et scandalum, nisi revertantur ad virum adolescentiae 
 suae». 
 Seppi ancora ch’al clero soprastà gran procella di sangue e sarà ruina nel 
 papato, e poi surgerà un papa divino e altri
            spiriti buoni, e ch’averan lo Spirito 
 santo manifesto come gli apostoli, e convocaranno il mondo tutto ad 
 una legge,
            e li Turchi e Settentrionali correranno alla fede vera; e assai altre 
 cose di ciò e dell’Anticristo. Però, senza mirar al
            mio danno – ché, sapendosi 
 che scrivo, sarìa peggio per me – e perché mi fu questa carità inspirata 
 da Dio, mi parve
            avvisar Vostra Beatitudine che preghi Dio come Ezechia, 
 che almeno faccia «pacem in diebus nostris». E sappia che non
            caderà iota 
 di quanto fu rivelato a santa Caterina senese e a san Vincenzo ecc. E per 
 tutto si murmura tra’ savi e
            pii che Roma patirà nel secondo avvento quel 
 che patìo Gerosolima nel primo. Già siamo al tempo che predisse san Pietro:
            
«Venient illusores iuxta propriam conscientiam ambulantes, dicentes: 
– Ubi est promissio aut adventus eius? Ex quo
            dormierunt patres, omnia 
 perseverant ut ab initio creaturae». E si dice per proverbio il «citodell’Apocalissi»; 
 e tutti credono ad Aristotele, ch’il mondo sia eterno; e così allevata 
 la gioventù, né
            trovando lo Spirito santo in noi, se non gelato, pensono 
 che ’l Vangelio sia cosa d’astuto o di malinconico sciocco. Non
            volemo 
 creder li segni che Dio mostra, perché ci abbia a cogliere come ladro di notte. 
«Turtur et hirundo
            custodierunt tempus adventus sui; populus autem 
 meus non cognovit tempus visitationis suae. Vere mendacium operatus 
            est stylus mendax scribarum», dice Dio. Ci mandò san Gregorio e 
 sant’Ambrosio a mostrar li segni, e poi le femine per
            confonderci, Brigida 
 e Caterina, poi ci pose in burla de’ poeti Aretini, Franchi ecc,: né si fe’ 
 penitenza, se non
            in apparenza; e mo ci mostra li segni in fatti, non in parole, 
 ché Germania è il flagello delle creature fatto per purgar
            il tempio, mostrato 
 a santa Caterina, e Venezia lo fornisce. 
Santissimo Padre, non tener fede nelli prìncipi: «sunt baculi arundinei»; 
 han per Vangelio il Macchiavello, dato a loro per
            scandalo di rovinarli, 
 come si vede in tutti suoi discepoli. E perché li sacerdoti pur viveno 
 come quelli, seguendo
            la ragion di Stato, vedrete che «sunt canes muti nescientes 
 latrare». E Dio per li secolari e clerici dice: «Apprehendam
            sapientes 
 in astutia eorum» e: «qui adducit sacerdotes inglorios et optimates 
 supplantat et consiliarios in stultum
            finem». Per guadagnar l’entrate delle 
 chiese, tutti s’accordaranno. Spagna repugnerà, per non perder l’altro emisfero
            
 che sta unito con questo per lo vincolo della religione e, rotto questo, 
 certo si perdería. Abram per timore dirà
            che la moglie gli è sorella, e Faraone 
 la piglierà per sé, e al fine per flagello di Dio la renderà con refuso. 
 Vero rimedio secondo Dio è che tutto il clero, rosso o bianco o verde o 
 negro, vadano alle chiese scalzi e
            digiunino e bevan vino romanesco e pan 
 plebeo mangino: «Expergiscimini qui bibitis vinum in dulcedine, quia periit 
            ab ore vestro». Ma se noi ci privaremo da per noi, non ci privarà la creatura 
 per flagello di Dio: «Si nosmetipsos
            iudicaremus, non iudicaremur». E non 
 si pensino d’ammalarsi o morire. Dio pose mèta alla vita: «praeteriri non poterunt»,
            
 dice Iob. Nell’altre cose s’obedisca alli medici, non negli atti religiosi. 
 Romoaldo, Geronimo, Antonio, Paolo e
            tanti altri ’remiti vissero lunga 
 vita con l’astinenza: la crapula l’abbrevia nelli sacerdoti d’oggi e le piume 
            ecc.; e lo grasso spirito «nil coeleste sapit», dice san Geronimo, allegando 
 pur Galeno medico: e però prevale la ragion
            di Stato, la prudenza carnale, 
«Deo non subiecta». Quando san Pietro usò la ragion di Stato a Cristo, 
 dicendo che
            non tornasse in Giudea, ché saria ammazzato, e non era bene, 
 ma si dovea conservar per utile d’altri, Cristo rispose:
            «Vade retro, Satanas, 
 non enim quae Dei sunt scis, sed quae sunt hominum»; e fu in quel dì che 
 lo fece papa. Ecco
            dunque che tutti siamo Satana a Cristo quando seguemo 
 la ragion umana, opposta – non dico la sottoposta – alla divina:
            «nisi granum 
 frumenti» ecc.; «qui amat» ecc. 
So che non mancaran teologi venduti a dir il contrario, dicendo che la 
 penitenza è tentar Dio; e com’è scritto: «Sanabant
            contritionem filiae populi 
 mei, dicentes: – Pax, pax! – et non erat» ecc.; e altrove di questo tempo fu 
 detto:«Peribit cor regis, cor principum, obstupescent sacerdotes et prophetae 
 consternabuntur». Leggiamo ben san Paolo: «Erunt
            in novissimo homines 
 se ipsos amantes» ecc., «voluptatum amatores magis quam Dei» ecc., 
«speciem habentes pietatis»
            (idest religionis), «virtutem vero abnegantes». 
 Dunque manco si fidi Vostra Beatitudine delli vescovi, che faran come in
 Germania; e li teologi diranno: – La Chiesa di Dio non può mancare –, e 
 mille baie; ma si pensono ch’essi son Chiesa
            di Dio. «Nolite confidere in 
 verbis mendacii templum Domini» ecc., ché a Dio non manca Chiesa fuor 
 di Roma e per
            tutto il giro del mondo; anzi è necessario, per meglio piantare, 
 che primo «evellat et destruat et postea aedificet». Di
            questo pure 
è scritto: «et stridebunt cardines templi» ecc., idest: «percute cardinem et 
 movebuntur superliminaria.
            Avaritia enim in capite omnium» ecc.; «et sacerdotes 
 in mercede docebant» ecc.; e, perdendo la moglie, Ezechiel fu simbolo
            
 di questo fatto: «Ego enim polluam sanctuarium meum, superbiam imperii 
 vestri» ecc. 
Questa è la chiave della natura e della profezia: quel che fu sarà. Perché 
 le cose passate son simili alle future: e quanto
            fu detto di Babilonia s’intende 
 di tutte monarchie che a quella successero e imitâro, come li pomi del futuro 
 anno
            son simili a quelli del passato; e quel che si dice di Ierusalem, s’intende 
 di Roma per figura. Però sempre dice: «Filia
            Sion, turris gregis, usque 
 ad te veniet potestas prima, regnum filiae Ierusalem». Ecco Roma filia
                Ierusalem, 
 perché, come dice Crisostomo, «Iudaea secundum fidem mater est 
 gentium». Era Babilonia e fu fatta Ierusalem,
            come profetò Osea con 
 san Paolo: «Erit in loco ubi dictum est. – Non plebs mea vos, ibi filii Dei 
 vocabuntur». E di
            Venezia simile a Tiro: «Erit siccatio sagenarum». 
E però mira, santo Padre, che è detto: «Auferam a Ierusalem et Iuda 
 omne robur panis et omne robur aquae, validum et fortem
            iudicem et prophetam, 
 ariolum et senem principem,et consiliariun sapientem de architectis 
 et prudentem eloquii
            mystici» ecc.; e dopo dice che non ci trovarà chi voglia 
 esser principe. Non tanto si brama il cardinalato quanto si
            fuggirà. E la 
 Sibilla: 
Tunc tu, purpureo in poenis nudata nitore, 
 flebis ecc.
 a Roma. A Filadelfia fu promesso
            nell’Apocalisse da chi ha le chiave di David, 
 che al vincitor scrivarà in fronte il nome di Dio e della città di Ierusalem
            
 e il suo nome novo: questo è certo di Roma per il simbolo delle chiave e di 
 Ierusalem: ché pur Philadelphia vuol dir «amor fraterno», e Roma, inversis 
 literis, est Amor=Roma. 
E di più li promette serbarla dall’ora della tentazione ch’ha da venir sopra 
 tutt’il mondo; e che li nemici suoi adoraranno
            alli suoi piedi, alludendo 
 a quel che si fa al papa da tutti prìncipi e popoli basciando i piedi, come al 
 Messia fu
            promesso: «inimici eius terram lingent». Ma non per questo resta 
 che li guai di Gerosolima non le tocchino, così come li
            beni, perché dove 
 ci entra il peccato si scioglie il patto. Ma perché «sine poenitentia sunt dona 
 Dei», al fine le
            reliquie, dopo la rovina, s’edificaranno in novo tempio e 
 nova Ierusalemme. La lettera parla della figlia di Sion, per
            usanza di Scritture, 
 per la stessa populazione che in quello abita, e della figlia del popolo 
 per lo stesso popolo,
            e della figlia di Babilonia per la stessa Babilonia; ma lo 
 Spirito, che intende fin al fine del mondo non evacuarsi le
            profezie, parla di 
 tutti descendenti e consimili a loro. Questa è chiave imparata in Cielo per 
 intender le
            Scritture. Chi è spirituale sa quel che dico. 
I. Dunque, o sanctissimo Padre, il primo rimedio è la penitenza pubblica 
ex toto corde, come quella d’Isaia, d’Ezechia e di Ninive. E per farla parere 
 in fatti, che
            l’inimici perdano l’ardire e li popoli non credano a li teologi loro, 
 profeti venduti iezabeliti, bisogna governar lo
            Stato ecclesiastico di modo 
 che ogn’altro popolo l’invidii e desideri star sotto la Chiesa. Dove è la 
 differenza
            tra’ popoli ecclesiastici e gli altri? Le pene, li tributi, le carceri, 
 li tormenti, l’angarie son simili per tutto.
            Dunque tutti caminano per una 
 via; e così li prìncipi credono che ‘l papato sia simile al dominio loro, e l’obbediscono
            
 per servirsi di lui, non per servir a lui: e questo viene perché noi 
 ci servimo di Dio, ma non servimo a Dio. E così
            si perde la fede. 
Perché la gente, che sua guida vede 
 pur a quel ben ferire ond’ella è ghiotta, 
 di quel si pasce e
                più oltre non crede,
 disse Dante parlando del papato. Vedo Satana metter fuoco in tutti cuori 
 di prìncipi che
            tolgano il gladio materiale al papa, e che l’imperatore dimandi 
 Roma, dicendo che era invalida la donazione e non
            prescrisse; e che li 
 religiosi han la libertà de iure humano, e che essi, lor prìncipi, la pônno
            levare, 
 crescere e mancare per meglio della republica loro; e che li beni stabili 
 son dannosi al clero; e se li
            usurparanno sotto specie di riformarlo. E cento 
 teologi venduti scriver in favor loro; e tutti Oltramontani in secreto e
            poi in 
 publico fomentare la guerra grammaticale, e alli prìncipi chi fanno la volontà 
 madre della ragione e non la
            ragione della volontà, come se lo Figlio procedesse 
 dallo Spirito santo e non questo da quello, trovando ragioni, libelli,
 sillabe, dizioni torte, accenti e ipsilon, che parerà ch’ogni dottore dica a modo 
 loro, perché Dio stesso «immutat
            cor principum et decipit eos, ut» ecc., 
 per li peccati nostri e loro. 
La riforma universale è il rimedio. Né si può far riforma se lo clero romano 
 non si riforma da sé. Invan si muove il remo,
            le sarti, il velo e gli altri 
 ordegni per drizzar una nave, se il timone non si tocca [a] proposito da un 
 che
            l’intenda. Quando li regi d’Israel erano buoni, li popoli erano megliori; 
 quando li regi tristi, essi pessimi. Far ben per
            forza è proprio delle bestie; 
 ma degli uomini proprio è far bene per imitazione degli megliori. E chi 
 in publico è
            buono, in secreto è diavolo, se non ha chi imitare in sentimenti 
 veri esposti con verità. Ma questo rimedio solo bastarìa
            a riformar tutte le 
 religioni: far che nullo tenga chiave di cella particolare né di cassa; ma sia 
 la chiave doppia,
            d’una banda, comune al dormitorio e alle porte, dell’altra, 
 alle celle: così non si pônno lamentar li frati di ordinazioni
            e bolle sopra bolle, 
 e son forzati a non tener danari né robba, se non in deposito commune, 
 né terran cose vane, né
            libri proibiti, né processi, né prediche scritte per recitarle 
 come comedia a fin di guadagnare. So che ripugnaran li
            satrapi e diranno 
 che li frati faran male l’un all’altro, e pur teneranno robba fuor della 
 religione. Ne credas. È meglio tener la peste fuori che dentro: «avaritia est 
 idolorum servitus». E l’idoli
            d’oro Mosè e altri zelanti fecero in polvere 
 e gittâro a fiume. Almen si leva il pensiero di tesorizzare: mal non può
            seguire 
 altro, si mirano nelli Capuccini. Ma questo non s’usi sopra li novizi e 
 conversi e non sopra li maestri ecc. 
II. Perché li prìncipi cercano gittar a terra li canoni e alzar le lor prammatiche 
 e constituzioni, seguendo Vostra
            Beatitudine la pietà, che dice: 
«Solve fasciculos deprimentes», abbrevii le cause, «velociter reddens quod 
 iustum
            est». Questo fu profetato dal Messia nella persona di Vostra Beatitudine. 
 Dunque tolga la legge civile, ché basta sola la
            canonica; e di questa, 
 che son tre tomi e replicano lo stesso o ritrattano, se ne faccia un solo, come 
 il Deuteronomio dove basta un
            libricello a tutte le cause. Così si toglie la 
 lunghezza delle liti, l’adulterio delle leggi per li dottori, la difficultà
            lunga 
 dello studio, e si leggeran li Padri e non le glosse varie. E tutt’i prìncipi, vedendo 
 quanto è buono,
            piglieran questo modo, «acclamantibus populis», e 
 cessarà la grande iniquità, che «sedet loco iudicii», e l’inganno della
            plebe 
 meschina; né saria se non bene che sian volgari ad ogni nazione. Di più, faccia 
 che tutti li religiosi
            avvochino ad defensam, in particolare li clerici regolari; 
 e li frati di Gioan di Dio e di san
            Gioan Colombino siano medici e speciali, 
 e leggano medicina e agricoltura, e servano a tutto il popolo gratis. E 
 così «omnia traham ad me ipsum» cum gaudio populorum.
III. Si faccia in Roma una ruota di conseglio comune, dove entrino tutti 
 l’ambasciatori di prìncipi e republica con altri
            tanti Cardinali da lor chiamati, 
 che ognun abbia ius d’introdur un seco. Pigli l’infimo luoco chi
            si tiene il 
 più nobile; questo si appelli il «collo della Cristianità». E quel che si determina 
 da tutti insieme con
            Vostra Beatitudine in materia di Stato, tutti prìncipi 
 abbino a seguitare; e chi non ubbidisce, tutti gli altri prìncipi
            siano obligati 
 ad esserli contra in guerra aperta. Questo servirà per non ribellarsi dalla 
 Sedia apostolica, come
            fece il re d’Inghilterra; e perché cessi la gelosia che il 
 grande non opprima il picciolo, e che ’l grande possa far
            guerra contra infideli 
 senza sospetto che l’altri lo molestino in casa sua assente, come facea 
 re Francesco a Carlo
            V; e per rappresentar l’unità de’ Cristiani, con spavento 
 d’infideli, sotto il padre. E non posso dir li innumerabili beni
            che da questo 
 consiglio nasceriano. Uomini di spirito e di gran lettere ci vuol a persuader 
 li prìncipi a questo,
            che per interesse di tutti è ottimo, come io dimostrai 
 nel libro della Monarchia di Cristiani che
            sta in man dell’illustrissimo San 
 Giorgio. 
IV. Perché negano a Vostra Beatitudine il gladio materiale con gran malizia, 
 ché ignoranza non può esser a chi ha giudicio
            potissimo, e Cristo disse 
 che in tempo di bisogno non solo «sacculum et peram et tunicam» debbiano 
 pigliare, ma «qui
            non habet, gladium» ecc.; instando la passion della 
 Chiesa, si faccia una religione in mare de’ «cavalieri Cefei», cioè di
            san Pietro, 
 e una in terra di «Paolini», cioè di san Paolo, crociati con chiave e spada 
 attraversate in croce varia,si bene ex Coelo audivi. E sian di preminenza 
 maggiori a tutti cavalieri, vivano
            religiosamente, eleggano il vice–maestro da 
 sé. S’esercitino in ogni sorta d’armi, di navigare, nuotare, correre, saltare,
            
 cavalcare, ferire, figurati dalli «Cerethi» e «Phelethi» di David, «quia summus 
 pontifex est regno David», dice san
            Bernardo, così come «est antiquitate 
 Adam, primatu Noë, patriarchatu Abraham, sacerdotio Melchisedech, 
 potestate
            Moyses, iudicatu Samuel, apostolatu Petrus, unctione Christus». 
 Dunque mostrisi quel ch’è. Sian gli soldati religiosi,
            pii, mansueti alli cittadini 
 di Cristo, fieri alli nemici, come li descrive Platone nella sua Republica,
 a guisa di cani molossi. Li sbravacci non valino; si scelgano ex robore corporis 
 et
                virtutis, non ex nobilitate carnis. Gli uni guarderan le galere, gli altri 
 [le fortezze] di tutta la Chiesa in
            terra. Saran conventi loro li castelli e priori 
 li castellani, guardaranno la persona del papa e tutte le terre
            importanti, viveranno 
 in comune, legeranno d’arte militare e navigatoria alli popoli, e faranno 
 spesso mostre della
            gente e popolazione dove stanno, e insignaranno 
 mecanica. Così la Chiesa s’assicura, non bisognerà pagare soldati strani,
            li 
 Latini e Marchiani non saranno sbirri d’altri prìncipi, come fanno per l’instinto 
 naturale all’armi, e riuscirà
            stupendo aiuto da questo fra dieci anni. Li 
 Cefei per prede e industrie averan cinquanta galere sotto di sé in difesa
            della 
 Chiesa e scorrendo contra infideli; e questi di terra saranno arbitri dell’armi 
 de Cristianità, votati al
            martirio tutti quando fia bisogno pigliarlo. 
Padre santo, miri che non parlo solo. Per cominciare, si disfaccino le religioni 
 disutili e li predicatori donino la metà
            della lemosina che litigano come 
 paga, e li prelati la decima delle loro per dieci anni. A questo Vostra 
 Beatitudineè avvisata da Dio ed è nata a cose grandi. Mi contentarei morir 
 subito, se parlassi con Vostra Beatitudine e li mostrassi
            l’animo e che non 
 parlo per allongar la vita. Chi ha visto quel ch’io vedo, non desidera la vita 
 sotto questo
            caliginoso aere pieno di diavoli, ma sopra il globo lunare, tanto 
 più sottile e puro quanto più l’aere nostro dell’acqua.
            Le cose ch’ho promesso 
 al Re, più prometto a Vostra Beatitudine. So che molti me glosaranno, 
 mi biasmaranno, andando
            a caccia di dizioni e accenti, senza spirito di Dio, 
 giudicando me a lor modo. Io mi serbo agli effetti. Questo
            avvertisco: che 
 tutti li profeti, chi «loquuntur vobis placentia et dicunt tenebras lucem», 
 si serviranno di questo
            che dico e fingeranno che son baie ed errori. E di più 
 le dico che non sanno difender Cristo se non come un settario, e
            Vostra Beatitudine 
 come capo di setta, ognun tirando la autorità e ragioni a suo modo. 
La Scrittura è di carta, più fiacca delle tavole di pietra dell’Ebrei; e se li 
 Farisei torceano quella a lor modo, peggio
            si fa della nostra dalli novi Farisei 
«speciem habentes pietatis et virtutem abnegantes» ecc., «inimicos crucis 
            Christi; quorum finis interitus et gloria in confusione ipsorum: qui terrena 
 sapiunt» ecc., «et non opponent se murum pro
            domo Israël in die Domini». 
 Della podestà chi dicon directe, indirecte, in temporalibus, in
                spiritualibus, 
 per se, per accidens, dicono qualche cosa, ma con logica umana, non 
 divina, ch’è questa:
            Cristo è prima Ragione, Sapienza, Verbo di Dio padre. 
 Dunque tutte le cose del mondo, sendo guidate dalla Ragione prima,
            son 
 soggette a lui in Cielo e in terra, «quia est primogenitus omnis creaturae» 
 ecc., «et ipse est ante omnes et
            omnia in ipso constant». Che più? «est caput 
 corporis Ecclesiae, ut sit in omnibus primatum tenens». Dunque, se il papa
            
è suo vicario, sarà capo e pastor di tutta la Chiesa solo, non degli elementi 
 e dell’altre creature dove ha posto
            altri capi «iuxta genus suum». Dunque 
 il vicario della prima Ragione e della prima Sapienza è capo e pastor di 
 tutti gli uomini ragionevoli; dunque di tutto il mondo umano. Dunque pur 
 di Turchi e d’infideli; ma quelli
            son membra ribelli e sudditi ribellanti e decisi 
 chi s’hanno a perdere. 
Dunque li Veneziani e li prìncipi, se governan con ragion li Stati e loro e 
 on a caso, son soggetti al luocotenente della
            prima Ragione; ch’essi non 
 pônno mostrar privileggio in Scrittura santa che sian luogotenenti: e se si 
 dicono dii,
            il papa «est deus deorum», «princeps regum terrae»: per Christum 
«omnis anima subdita sit potestatibus sublimioribus». Ergo omnis 
 anima est subdita papae, cuius
                potestas est suprema: male intenderanno san 
 Paolo e Crisostomo e Dionisio. Al senato di Cardinali fu
            detto:«Venient 
 alieni et pascent pecora vestra, et filii alienorum agricolae et vinitores vestri 
 erunt. Vos autem
            sacerdotes Domini; ministri Dei, dicetur vobis; fortitudinem 
 gentium comedetis et in gloria earum superbietis» ecc., e:
            «nimis honorati 
 sunt» ecc., e: «constitues eos principes» ecc. Dunque habet gladium 
 contra
                rebellantes «utraque parte acutum». E quando si compirà la profezia: 
«reget eos in virga ferrea», dopo che fu
            compita: «quare fremuerunt»? 
E quando ecc., «in promptu habentes ulcisci omnem inobedientiam? 
 cum impleta fuerit eorum obedientia»; perché «nunc autem
            regnum meum 
 non est hinc». Ma erit quando? «Quando evacuabit omnes principatus» 
 ecc., e
            s’intende: di terra e di Cielo; e alibi: «Gens et regnum, quod non servierit 
 tibi, peribit»; infine: chi non è soggetto
            alla ragione, non è soggetto 
 al papa. E ’l papa omnia potest; ma, come lo dice san Paolo due volte,directissime 
 in omnibus: «Omnia possumus pro veritate, nihil possumus contra 
 veritatem»
            ecc., e: «ad aedificationem, non ad destructionem vestram». 
Questa è la distinzion di san Paolo in temporalibus simul et spiritualibus. Il 
 ragionevole «et
            spiritualis omnia iudicat, et ipse a nemine iudicatur» ecc.; 
«an nescitis quod angelos iudicabimus, quanto magis ista
            saecularia?»; 
«non angelis subiecit orbem terrae» ecc. Se Cristo ha di dominar il mondo 
«et praenunciavit Spiritus
            priores passiones et posteriores glorias», chiaro è 
 che questa gloria sarà in terra e più in Cielo; e dopo questa gloria
            sorgerà 
 Gog e Magog, ch’in Cielo non sorgerà. 
Dunque son vanità e desiderii di licenza, «Habens velanem malitiae libertatem», 
 sottraggersi dalla giurisdizione del
            luocotenente della prima Ragione. 
 E li teologi contrari o son ignoranti, o maligni macchiavellisti, o venduti 
 a
            Iezabel, senza Spirito. «Quia excussimus Spiritum, utimur Scriptura», dice 
 san Crisostomo, «cum in cordibus debuisset
            vivere lex»; e la Scrittura è 
 torta; e non si pensa ch’ogni lettera costa un fiume di sangue e ogni dizione 
 un mare
            alla Chiesa per lucerna sostenere nel caliginoso tempo che successe 
 agli apostoli. Se Spirito ci fosse, non ci bisognaria
            libro a saper questo, ch’ognun 
è soggetto al Padre e alla Ragione viva, e si burlaria dell’alleganze di 
 qualsivoglia
            dottore, ché ognun può errare, se non è testimonio e organo di 
 Dio, necessario ad informar altrui ecc. Sant’Agostino e
            Lattanzio si burlavano 
 dell’altro emisfero, e ’l testimonio delli marinari di Colombo li convince 
 d’errore. Dunque, non parlâro come
            testimoni di Dio in questo; e molti altri 
 in altre cose. E le profezie fûr mal intese dagli antichi, e li santi fûr
            soggetti 
 alli prìncipi tiranni; ma oggi si va scoprendo il vero: «et erunt capientes eorum 
 qui se ceperant; et
            possidebit eos Israël in servos et ancillas». È meglio 
 servire, che star libero, in compagnia di chi più sa e meglio sa.
            «Felix necessitas, 
 quae cogit ad bonum» ecc. 
