Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 514

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ne segue che sia virtuoso colui che sa conoscere il migliore
et con manco difficoltà l’apprende.
Quinci è che la sapienza
sia la vera virtù che guida la forza et
l’appetito, che non essequiscono né appetiscono se non quelle
cose dove ci è più di bene che di male; et determina che il
sommo bene sia quello ch'è in se stesso perfetto et non
ha bisogno d'altri et è fine di tutti gli appetiti et operationi.

«Adunque, dice Dio, egli non è la voluttà, perché
questa è senso del bene o vero o falso, et sperare che
invita al bene, perché il piacere del magnare et di venere -
più de gli altri possente - <non è fine>, ma mezzo ad
acquistare la vita et la conservatione. Et il gioire non basta
a sé stesso senza il sapere, <poich'egli è un sentire del
bene a sé congionto, et ogni sentire è sapere. Né anco
il sapere>è sommo bene, perché ogni scienza s'impara
per acquistare la conservatione et la vita, governando sé
stessa et gli altri et guidando al fine; et manca
al sapiente assai, et non è sufficiente a sé senza gli altri
beni. Né il primo bene è l’operatione, perché questa è
mezzo per acquistare il bene
». l’honore poi nasce dall’apparenza
humana, che honora li potenti li sapienti et
li benefattori come atti a far bene; dunque egli è segnale
della virtù, ma non suo scopo. Dunque perché la conservatione
è fine della sapienza della voluptà et dell’honore
et dell’operatione, et ogni ente la desidera per esser sempre
et immortalarsi in vita eterna, et aborrisce ogni cosa che

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