Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 479

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specie del caldo et del freddo contrarie nell’intelletto indivisibile et
incorporeo? D'onde viene la fatiga nell’intendere et la mancanza
della digestione et del polso etc., se l’intelletto agente e passivo
vengono di fuori e son uno in tutti gli huomini, come dice
Averroè? Qual fato lo stringe a chiudersi, et perché più negli
huomini che nelle bestie? Et perché non ci ricordiamo di quel
che innanzi seppe l’intelletto negli altri huomini? Et se il corpo
lo fa scordare, come può essere, essendo egli impassibile et né
misto in materia né legato all’organo? Et se questo
pate, come ci entra ne corpi, dove in tanta ignoranza di sé
stesso et miseria incorre? A questo non può rispondere il Peripatetico
senza Legge Christiana. Et s'è uno, perché io e tu
intendiamo diverse cose, et quel che sai tu non lo so io, tanto
più che la fantasia è un suo oggetto, ma non è virtù? Et la
medesima pietra si vede da molti insieme per una luce, che
sembra l’intelletto agente. E se il passivo è uno, non si fugge
l’argomento. Avicenna dice che la memoria è nel senso passivo,
et però ci scordiamo. Ma Aristotile suo dice che le specie
s'imprimono nell’intelletto passivo perché si fa in atto, dunque
in lui sono. E d'onde viene l’oblio? Alessandro mette
un intelletto agente et passivi molti, ma pate la medesima difficultà
nel formare l’universale. Et Averroe toglie la forma propria
dell’huomo. I Latini dicono essere due potenze dell’anima, l’agente
e la passiva; ma Aristotele pone l’una mortale l’altra immortale,
l’una potenza e l’altra atto, dunque son dui. Et se ogni un ha
l’anima immortale, bisogna dire che vadino di corpo in corpo,

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