Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 519

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in sé stesso senza contrasto di contrarietà esterna o di
piacere che l’alletti fuor di sé. Dunque ci bisogna procacciarlo
da gli altri enti, accommodando quelli al nostro
utile, facendoli cibo et bevanda et stanza et coperta nostra.
Et per i mistieri acquistare ci vuole una facoltà nativa nel
trattare le cose: questa virtù si dice solertia o industria.
Da questa nascono tutte l’arti mechaniche: agricultura,
pastorale, statuaria, mercatura etc. <Et è> segno di spirito
grosso e puro, atto ad imitare la natura et a conoscere il
vantaggio. Ma chi è più industrioso che non
deve, in troppo travagliare si consuma in vece di conservarsi:
il suo vitio è detto ansietà, segno di spirito vile et
sconfidente, copioso, habitante in vasi aperti dove spesso
essala. Chi non cura d'acquistare et è inetto ad acquistarsi
il bene, ha un vitio che si dice inertia et dapocagine, segnale
di spirito grosso fuliginoso et ristretto in densi vasi.
[AVERTIMENTI.]
[a. La solertia non fu conosciuta da Aristotile,
perché egli seguitò il numero delle virtù posto da altri, et non
investigò dal vero scopo il loro numero.

b. l’arte ricerca l’uso, ma non il sapere, se non per unirsi
alle cose da sapere.]

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