Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 132

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e governatori di baronie e provincie, e di quelli che son atti alle lettere
ne fa muftì e cadì, cioè sacerdoti e giudici. Laonde, benché seme turchesco
non si trovi e si effemini, mai a lui non mancano soldati forti,
massime che in ogni provincia ne fa nodrire dalli governatori suoi.
Così i Romani per aver gente cercaro di fare che ognuno ascenda a
grado appresso di loro per la virtù militare: onde Ventidio, Mario e
altri fortissimi e savii ebbero, e così fecero il mondo romano.
Spagna adunque, per levar questi due inconvenienti che patisce
nella sua milizia, deve osservar queste arti.

E prima, deve il Re o levar tutti i beni stabili del paese che occupa
novamente ai popoli, e dividere a loro i campi per coltivare, e dargli
il vitto e il vestito, e i figli farli soldati o agricoltori come meglio riescono,
e potrebbe farsi questo nei paesi che tiene con qualche occasione,
come fece Gioseppe in Egitto, sottoponendo ogni cosa a
Faraone, per sovvenirli al tempo della carestia, onde imparar i Turchi
quest’arte, perché così ognun procurarebbe d’esser soldato valoroso
per aver bene, e così i figli il medesimo procacciarebbero. Ma ci vuol
uomo assai savio per far questo nel nostro paese con bella occasione.
O vero, che il Re metta un mezzo legislatore (come fu Giuseppe
in Egitto, e come Platone chiedette d’essere in Sicilia da Dionisio re),
il qual per ogni regno riformi la politica di tre o cinque città, perché
le altre, vedendo l’utile che ne seguita da tal riforma, l’imitaranno da
se stessi. Però ci vogliono predicatori savii e buoni per questo, e io mi
riserbo cose secrete al Re per tal fine. O pure, se vuol seguitare il costume
cominciato, benché nel Mondo nuovo non mi piaccia, io dico
che deve provedere per avere moltitudine di vassalli e soldati in questo
modo.

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