Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 142

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Il far che ogni parrocchia abbia a dare ogni anno un soldato, come
V.S. dice che un suo amico propose in Spagna, onde sono più di cento
mila soldati l’anno, è cosa buona se si fa col Papa l’unione predetta.
Di più, fare che ogni barone doni ogni tanto tempo tanti soldati
è meglio, e che vada egli in guerra quando va il Re, è ottimo, come
Spagna osserva: ma si deve far questo in tutti i regni, come ancora
che ereditino solo i primogeniti in ogni regno. Ma queste regole
mancano se il fondamento delle genti non si riforma, che è il matrimonio
e il seminario dei soldati che, con vitto e vestito solo, e con
la speranza d’aggrandirsi militando bene, faranno cose altissime e
meglio de giannizzeri turchi. Questo sia detto per avere soldati assai,
e non spopolare paesi.

I capitani de soldati non debbono essere i più oziosi, che oggi
s’appellano nobili, ma li più valorosi e fedeli della corona, e più
presto severi, come Annibale, che benigni, come Scipione, i quali si
caveranno dal numero de soldati che hanno ben combattuto, per
gradi arrivando a dignità, come Mario, Silla, Ventidio, Antonio di
Leva, Cicala, Occhiali, ecc. Ma per la somma dell’Imperio militare è
necessario un uomo di autorità, che sarà di casa del Re, e se ci fosse
paura che non s’insignorisca, sarà qualche barone attissimo a
questo negozio, uomo di poche ceremonie e fatti assai. E per assicurarsi
devono avere un consiglio di savii suoi fedeli, e di religiosi, per

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