Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 228

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ogni dì in Calabria. Però è utile armare i populi stessi contra i Turchi,
e fare che chi piglia un Turco abbia almeno la metà dell’utile, che così
avrà il regno difensori ricchi e animosi, e il Re si assicurerà che essi
non desiderino novo dominio per mali trattamenti.
Deve di più deprimere gli uomini troppo fiscali che rovinano il
Re, mentre si mostrano zelanti di vendicare il Re contro i poveretti, e
fanno severissime prigionie e lunghe senza sapere per che causa, le
quali cose e modi d’obviare furo detti, quando della giustizia si
ragionò.
L’armata di più assicura dal nemico e dall’amico, ma li soldati nelli
alloggiamenti poco dall’uno e manco dall’altro. Solo si devono presidiare
le terre marine e tenere i popoli con benevolo timore.
La parte d’Italia che il Re non possiede dalli proprii principotti,
che sospettano della potenza di Spagna, è incitata a odiare i Spagnoli.

Però essi in due cose minacciano il Re: una è col chiamare il Francese
sopra lo stato di Milano, al che il Re può con provisioni di presidiare
bene i confini provvedere, e levar via li villaggi senza mura che son
preda delle prime scorrerie, e fare che all’usanza d’Ongheria tutti i
beni stiano nelle città, e gli stromenti dell’arti meccaniche ancora,
acciò dentro ridotti i popoli abbino da lavorare e mangiare in qualche
assedio o scorreria che venisse. Ma Genova è opportunissima a soccorrere,
e Napoli ancora, quando il Re facesse la predetta armata, perché
il signore del mare sempre della terra fu anco signore, che quando li
piace e dove li piace sbarca le sue forze osservando il tempo e luogo.
Ma neanco i Francesi passano senza chiamata: onde, per meglio
ovviare, deve il Re tenere confederazione con Svizzeri e Grisoni
suoi convicini, e pagare trentamila di quelli ordinariamente con
mezza paga come fanno i Veneziani, e al bisogno opponerli ad ogni
possanza. E acciò che

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