Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 230

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moltiplicando tali popoli non inondino sopra la Ducea di Milano,
come han fatto a tempo di Romani spesso, è bene scemarli nel tuo
esercito di Fiandra e del Mondo nuovo e di Napoli sempre mantenendone
assai. E certo se questi popoli si avvedessero, l’Italia sarebbe loro,
ma mentre servono a diversi re e republiche, come hanno cominciato,
mai non si uniranno in moltitudine contro Italia, però bisogna cautelarsi
con tenerne assai di loro, ut supra.
L’altra minaccia d’Italiani è l’unirsi col Papa e Francia a danni del
re di Spagna. Ma questa cosa è delusa <se il Re vuole>, perché nissuno
di loro <solo> si fida di fare questo senza il Papa e Francia, poiché
a mantenersi a pena bastano, dunque non cercano acquistare, se
non per qualche gran rivoluzione, come fecero i Veneziani a tempo
delle guerre papali con li Imperiali e nel passaggio d’Oltramontani.
Dunque se il Re col Papa s’accosta, mai può temere, perché nessuno
re d’Italia senza suo volere mai si mutò.
E tutte le mutazioni di Napoli
egli le fece. E se il Papa vuol contra qualche duca o republica d’Italia
armarsi, subito vince, quando usa tutti i remedii, cioè bandire indulgenze
contro, e assolvere i vassalli dal giuramento, e chiamar a danno
loro altri, come fe’ Giulio <II> quando scomunicò i Veneziani e perdettero
ogni cosa.
Or ceda il Re al Papa l’exequatur, e li doni autorità dell’
ultime appellazioni che due vescovi col Re, come clerico, siano
giudici d’ogni appellazione, come faceva Constantino, e faccia patto
col Papa che gli altri <non cedendo, perdano lo stato, perché subito
degl’> italiani signori alcuni, o tutti, non cederanno, e così il Re come
giudice delle giurisdizioni papali con cruciate, ut supra, e altre forze

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