Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 86

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acquistato sempre; gli oziosi ignari perdettero sempre. Però dico che
deve andare in guerra il re nell’imprese grandi per acquistar nome
almeno di guerriero, se non ci fosse, massime quando è securo di vincere.
Onde Joab, stando per prendere una città d’Ammoniti, scrisse a
David suo re: Vieni tu adesso, perché a te s’attribuisca la vittoria, onde
i popoli ti ammirino più da vero re, etc.. Ma nelli gran pericoli e singular
battaglie il Re non si deve mettere, perché s’estingue la lucerna
d’Israel (disse Joab a David), e Alessandro Magno fu temerario
entrando in una città de nemici il primo per le mura con più ferite,
perché avventurò la monarchia d’un mondo sopra la sua persona.
Deve anco di propria mano premiare i soldati vecchissimi, e quelli
porre in governo delle fortezze, e i nuovi alle scorrerie.
Ogni re che governa è o lupo, o mercenario, o pastore dei popoli,
come dice l’Evangelio e Omero. Il lupo è il tiranno, il quale per proprio
utile guarda il gregge, e sempre ammazza il più grasso, cioè il più
savio e forte, per ingrassare, dominare, rubare e sfugare senza contesa.

E se due di questi saranno, Spagna perderà ogni cosa, come i Dionigi
di Siracusa, Ezzelino da Padoa, Caligola, Nerone, Vitellio, ecc.
Mercenario è chi non ammazza, ma si piglia l’utile, cioè il tributo
e l’onore, i guadagni e servitù di soldati e vassalli del paese, ma non li
difende da lupi, i quali predano gli animi con le false dottrine, ovvero
i corpi con l’armi. Mercenari di <Cipro furo i Veneziani, che non lo
difesero dal Turco, e di> Sagunto furono i Romani, che non li difesero
da Annibale, e il duca Filippo Maria Visconti fu mercenario di
Genova, che si servia di lei, ma non la reggeva, <come anche

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