di Emilio Sergio

1490

Intorno a questa data nasce Bernardino Martirano. Il padre, Giovan Battista, è uno dei principali esponenti dell’aristocrazia cosentina. Non conosciamo il nome della madre, ma con tutta probabilità Bernardino è il primo di quattro figli maschi (Coriolano, Giovanni Antonio e Girolamo). Conosciamo con esattezza la data di nascita di Coriolano, 1503.

Le antiche origini di questa famiglia della nobiltà cosentina sono narrate nel Ragguaglio di Cosenza e di trent’una sue nobili famiglie (Napoli, per la Vedova di Lazzaro, 1639) di Girolamo Sambiasi, e in un documento, rimasto inedito, dal titolo Commentariolum de aliquibus antiquioribus patritiis Consentinis familiis. Cfr. S. Quattromani, Istoria della città di Cosenza (Biblioteca Civica di Cosenza, Ms. 20187, vv. 69r-76v, ora in S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999, p. 259).

1499-1514

Bernardino riceve ai suoi inizi un’educazione familiare, accompagnata dalla formazione umanistica dei maestri di greco e di latino attivi in Cosenza tra fine Quattrocento e inizi Cinquecento. Tra essi c’è da annoverare Aulo Giano Parrasio (1470-1521), del quale sappiamo che restò a Cosenza fino al 1499, e fece successivamente ritorno in Calabria nel 1511, per istituire, tra il 1511 e il 1512, a Cosenza e nei casali vicini, una scuola di greco e di latino. Bernardino ricorderà il magistero ricevuto dal Parrasio nel 1531, nella introduzione al Commento (1531) dello stesso Parrasio all’Ars Poetica di Orazio (v. infra).

1523-1527

Secondo Salvatore Spiriti, nell’autunno del 1523 Bernardino è al seguito del vicerè Charles de Lannoy (1487-1527), quando questi si recò in Lombardia «per li torbidi allora surti tra ’l pontefice Clemente VII, e i comandanti delle Truppe Cesaree» (S. Spiriti, Memorie degli Scrittori Cosentini, 1750, p. 53), partecipando alla battaglia di Pavia (24 febbraio 1525), che si risolse con la sconfitta dell’esercito francese. Come ricorda Elena Valeri, «In occasione di quella missione, protrattasi per alcuni anni, il Martirano ebbe modo di conoscere il conestabile Carlo di Borbone, passato dal campo francese a quello spagnolo, e di divenire in breve tempo suo fidato collaboratore. Il nome del Martirano compare in un documento stilato a Milano il 1° gennaio 1527 in cui il Borbone, comandante delle truppe imperiali in Italia, reintegrava Girolamo Morone negli onori e nelle cariche – tranne in quella di cancelliere del Ducato di Milano – che aveva ricoperto prima di essere denunciato quale artefice di una congiura antimperiale. Alcuni mesi dopo, il 16 marzo, la firma del Martirano, accanto a quella del Borbone, sigillò un decreto emanato in favore dello stesso Morone, affinché gli fosse rifusa una taglia da lui anticipata per sedare un tumulto di soldati imperiali rimasti senza paga» (E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, 2008).

La memoria dello Spiriti pone qualche interrogativo nella ricostruzione del quinquennio 1523-1527, a partire dalle testimonianze della possibile presenza di Bernardino Martirano a Roma nelle fasi che precedettero l’invasione della città da parte delle truppe imperiali di Carlo V (6 maggio 1527), e per la presenza nella stessa città del fratello minore, Coriolano. Per questo, occorre sia pure brevemente ripercorrere la biografia di Charles de Lannoy. Quest’ultimo fu nominato da Carlo V vicerè di Napoli, carica che mantenne dal 16 luglio 1522 al 20 ottobre 1523. Alla fine del 1523 fu eletto anche capo delle armate imperiali. Nel 1524 prese parte alla campagna militare in Lombardia, e fu presente nella battaglia di Pavia (24 febbraio 1525). Charles de Lannoy si recò nuovamente a Napoli nel 1526 per far fronte alle pressioni della flotta francese, e il 1° dicembre si incontrò a Gaeta con Ascanio Colonna (ca. 1490-1557). Dopo essere stato battuto dalle truppe pontificie a Frosinone (30 gennaio), egli tentò, nel marzo del 1527, di trattare una tregua con Clemente VII (Giulio de’ Medici, 1478-1534). Nel frattempo, il duca Carlo di Borbone (Charles de Bourbon-Montpensier, 1490-1527) continuò la marcia verso Roma al comando delle truppe imperiali, perdendo la propria vita nelle fasi iniziali del conflitto. Il 6 maggio 1527 la città fu invasa dalle truppe di Carlo V e dalla milizia mercenaria di Georg von Frundsberg (1473-1528), e cominciarono i saccheggiamenti. Clemente VII capitolò il 5 giugno. Le armate occupanti lasciarono Roma solo nel febbraio del 1528, mentre Charles de Lannoy morì, colpito dalla peste, il 23 settembre 1527, a Gaeta.

È dunque evidente che Bernardino abbia potuto sostare solo per breve periodo a Roma, e cioè, al seguito del Lannoy, a partire dal 25 marzo del 1527. Altrettanto evidente è l’ipotesi di una più duratura presenza a Roma del fratello di Bernardino, cioè Coriolano; ciò che lascia pensare che la famosa lettera inviatagli da quest’ultimo, più volte citata dai biografi telesiani come testimonianza di una collaborazione dei Martirano alla presunta scarcerazione di Bernardino Telesio (1509-1588) durante le prime fasi del sacco (giugno o luglio 1527), consista di fatto nell’avvertimento, di Coriolano al fratello, di prendere in considerazione che a Roma, durante i tumulti del 1527, si trovassero personalità di rilievo, come il giovane Telesio, che andavano trattate con un certo riguardo. Citiamo di seguito l’epistola di Coriolano, che riveste a questo punto un notevole interesse storico-biografico, non solo perché si tratta di uno dei documenti che più hanno fatto discutere, nell’ultimo trentennio, i biografi di Telesio, ma anche perché accerta che il fratello minore di Bernardino Martirano si trovasse già da qualche tempo stabile a Roma, consentendo di attribuire una volta per tutte una datazione precisa alla stessa lettera, che non potè essere scritta e inviata da Coriolano più tardi del luglio del 1527:

«Thilesius iunior, etiam si non Patruum Thilesium haberet: ob suam indolem, et egregias virtutes nobis charissimus esse debebat. Adde quod civis est; et ab illa familia, cum qua consuetudo nobis, veterrima intercessit. Eum si tibi commendem: videar iniuriam nostrae cum Thilesiis amicitiae facturus. Tum etiam tuae consuetudinis oblitus; tantum te admoneo quicquid huius causa feceris: te in Thilesii nepotem, in iuvenem egregium, in civem, in nostri quam amatissimum collaturum».
(C. Martirano, Epistolae familiares, [G.A. Simonetta], 1556, foll. 8r-v).

Il passaggio contenuto nelle Memorie degli Scrittori Cosentini (1750) di Salvatore Spiriti conferma ulteriormente che Bernardino Martirano sia stato coinvolto nel «saccheggiamento» di Roma, seguendo gli spostamenti e le manovre militari del Lannoy e del Borbone:

«Indi il Vicerè D. Carlo Lanoya avendo dovuto passare in Lombardia per li torbidi allora surti tra ’l pontefice Clemente VII, e i comandanti delle Truppe Cesaree, volle condurlo seco, per avvalersi della sua avvedutezza, e maturo consiglio in quella spinosa congiuntura: nella quale avendo Bernardino dovuto spesso abboccarsi col Borbone primo Capitano delle armi Imperiali in Italia, seppe acquistarsi la confidenza di quello, in guisa, che lo avrebbe ricolmo di ricchezze, e di onori, se non seguiva disgraziatamente a piè delle mure di Roma la morte di sì gran Principe, mentre lo esercito suo vincitore si portava al saccheggiamento di essa»
(S. Spiriti, Memorie degli Scrittori Cosentini, 1750, p. 53).

1526

Nel corso degli eventi che toccarono la vita di Bernardino Martirano nel periodo summenzionato, il padre, Giovan Battista Martirano, è protagonista di un memorabile incontro con Leandro Alberti (1479-1552), durante il passaggio di quest’ultimo a Cosenza nel 1526. Dall’Alberti Giovan Battista Martirano sarà successivamente ricordato, insieme ad altri «ingegni», quali Antonio Telesio (1482-1534), Aulo Giano Parrasio (1470-1521) e Giovanni Crasso Pedacio (ca. 1560-1535), come «huomo di rado et curioso ingegno, che colle sue argute et ornate rime volgari, à gli mortali da intendere l’altezza, sottilità, et dilicatezza della sua dottrina. Assai sono obligato à tanto huomo per l’humanità da lui a me dimostrata, et anche aiutandomi a conoscere gli antichi luoghi di questa Regione, ritrovandomi quivi nel 1526» (L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna, per Anselmo Giaccarelli, 1550, f. 187v). Il riferimento dell’Alberti ad Antonio Telesio, al Parrasio e a Giovanni Crasso va inteso come un richiamo alle personalità più eminenti del plesso cosentino nel primo quarto del xvi secolo, che si erano distinti nel campo degli studia humanitatis: nel 1526, il Parrasio era già scomparso da cinque anni, mentre di Antonio Telesio sappiamo con sicurezza che si trovava a Roma ad insegnare eloquenza. L’unico, forse, tra gli autori sopra citati, ad accompagnare effettivamente il Martirano nella visita dell’Alberti fu Giovanni Crasso, un intellettuale originario di Serra Pedace, che sappiamo, sempre da un riferimento indiretto dello Spiriti, essere scomparso non prima del dicembre del 1535, in quanto autore di uno scritto dal titolo Ad Augustum, et invictissimum Carolum V Caesarem pro Tunetana expeditione (Romae, apud Minitium Calvum, 1535; cfr. S. Spiriti, Memorie degli Scrittori Cosentini, 1750, p. 30).

1527-1530

Nei mesi immediatamente successivi al sacco di Roma, Bernardino Martirano si mette al seguito di Filiberto d’Oranges Châlon (1502-1530), che prende il posto del duca Carlo di Borbone. Con il principe d’Oranges Bernardino partecipa a diverse imprese e azioni militari: si sposta a Napoli nel 1528, e il conflitto franco-spagnolo del 1528-1529 viene ricordato, con la menzione dello stesso Martirano, dal poema di Camillo Querno (1470-1530), il De bello Neapolitano (Neapoli, Ioannis Sultzbach, 1529; ried. La guerra di Napoli, a cura di Bebora D’Alessandro, Napoli, Loffredo, 2004). La collaborazione del Martirano con il principe d’Oranges culmina nel lungo assedio di Firenze (i primi conflitti cominciano nell’ottobre del 1529, ma la resa della città giunge solo il 12 agosto 1530), dove Filiberto d’Oranges perde la vita. Sia pure succintamente, questo episodio è riportato dallo Spiriti, che scrive: «Pianse amaramente egli la perdita del suo protettore [Charles de Lannoy], ma non ebbe a durar fatiga a ritrovarne un altro, poiché incontrò la stessa buona grazia appo Filiberto di Scialon Principe di Oranges succeduto al luogo dello estinto Borbone, e che poi nel fervor di una battaglia presso Firenze non dissimil fine rinvenne» (S. Spiriti, Memorie degli Scrittori Cosentini, 1750, p. 53).

Il 2 gennaio 1529 Bernardino riceve l’ufficio di doganiere delle saline di Altomonte, in provincia di Cosenza, «con provvisione di annue once dodici che prima si teneva da Giov. Ant. Del Tufo, e ciò in considerazione dei servigi resi dal Martirano nella invasione nemica» (Archivio di Stato di Napoli, Collaterale. Privilegiorum, vol. 19, f. 16). Come riferisce Elena Valeri, «il documento riporta per la prima volta la qualifica di “secretario regio” riferita al Martirano, che evidentemente doveva avere assunto la carica durante gli ultimi due mesi del 1528. La medesima qualifica compare il 3 marzo 1529 in un altro documento, sempre firmato da Filiberto di Châlons, in cui si dava corso alla nomina del fratello del Martirano, Coriolano, a nuovo doganiere del maggior fondaco di Gaeta» (E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, 2008).

3 giugno 1530

Coriolano Martirano, fratello di Bernardino, «anno xxvii aetatis suae», è nominato da Clemente VII vescovo di S. Marco Argentano, nella provincia di Cosenza (cfr. F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, Roma, Gesualdi, vol. iii, 1974, docc. 16875 e 16876).

1531

Ormai stabile a Napoli, Bernardino pubblica per i tipi di Johannes Sultzbach, il commento di Parrasio all’Ars Poetica di Orazio (A. Iani Parrhasii Cosentini in Q. Horatii Flacci Artem Poeticam Commentaria luculentissima, cura et studio Bernardini Martyrani in lucem asserta, Neapoli, Ioannis Sultzbachii, vi Idus Iulias, 1531). L’edizione è corredata da una importante epistola dedicatoria di Bernardino al cardinale Benedetto Accolti (1497-1549). Scrive Elena Valeri: «La lettera al cardinale Benedetto Accolti premessa al testo rappresenta l’unico scritto del Martirano dato alle stampe in vita, fatta eccezione per alcuni versi dedicati all’umanista campano Giovanni Francesco (Giano) Anisio, che li inserì nei suoi Variorum poematum libri duo (Napoli, G. Sultzbach, 1536, f. 32)» (E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, 2008). L’epistola al cardinale Accolti esprime anche, come ha osservato Francesco D’Episcopo, «una professione di fede del discepolo nel messaggio culturale del maestro», cioè Aulo Giano Parrasio (F. D’Episcopo, Aulo Giano Parrasio, fondatore dell’Accademia Cosentina, Cosenza, Pellegrini, 1992, p. 34).

febbraio 1532

Agli inizi del 1532, Giano Piero Ciminio, allievo del Parrasio e membro del cenacolo umanistico del Martirano, attende alla realizzazione di un’edizione della Grammatica di Flavio Sosipatro Carisio con le annotazioni di Aulo Giano Parrasio (Flavius Sosipatri Charisii Institutionum grammaticarum libri quinque a Jano Parrhasio olim inventi ac nunc primum a J. Pierio Cymmino Jani auditore in gratiam adulescentium Consentinorum editi, Neapoli, J. Sultzbach, 1532). L’opera è dedicata a Coriolano Martirano, e nell’epistola dedicatoria indirizzata a quest’ultimo, l’autore ricorda la statura intellettuale di Antonio Telesio e la giovane età del nipote Bernardino, chiamato per l’occasione «Thylesinus» («eruditissimus vir Antonius Thylesius noster, qui ante cineres aeternitatis nomen est assecutus, nec non bernardinus Thylesinus ita pangento carmini ac orationi salutae promptus, ut Thylesii patrum alumnus merito videatur»). L’epistola conferma l’ipotesi della permanenza di Antonio e di Bernardino Telesio a Napoli nel corso del 1532.

1532-1535

Dopo l’elezione del nuovo vicerè, Pedro de Toledo (1484-1553), Bernardino Martirano continua a svolgere la mansione di segretario del Regno nel Regio Consiglio Collaterale (composto da un segretario, tre consiglieri e quattro reggenti) fino all’anno della sua morte, il 1548. È a partire dalla prima metà degli anni Trenta che il Martirano avvia verosimilmente i lavori di allestimento e ristrutturazione della sontuosa villa Leucopetra, sita presso Portici. La villa di Portici costituì da subito un punto d’incontro e di riferimento dell’intellettualità calabrese e napoletana, in un periodo segnato dalla scomparsa di Iacopo Sannazaro (1530) e dall’esaurirsi delle attività della Accademia Pontaniana. Il cenacolo di letterati ed eruditi che prese a riunirsi a Leucopetra riprendeva in parte gli ideali umanistici e l’ispirazione filologica del Parrasio, dando al movimento culturale iniziato da quest’ultimo una forma e una struttura più ampie.

La primissima attività poetica del Martirano è ricordata dall’umanista pugliese Giovanni Filocalo (1497-1561), nel suo Carmen nuptiale in Fabritii Maramauri nobilis et strenui ducis et Portiae Cantelmiae coniugis rarissimae nuptiis (Neapoli, imprimebat Ioannes Sullzbacchius Hagenovensis Germanus, 1533). E l’erudito Benedetto Di Falco, autore nel 1535 della Descrizione de’ luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto (ried. a cura di Ottavio Morisani, Napoli, Libreria scientifica, 1972), nel suo Rimario (Napoli, Mattia Cancer, 1535), loda la composizione, da parte del Martirano, di uno scritto in prosa, nel quale si narravano, in lingua volgare, Gli amori di Ismene e Ismenia di Eustazio Macrembolita. La composizione di Bernardino Martirano, andata perduta, è ricordata da Coriolano Martirano nelle Epistolae familiares (f. 19v) e da Luigi Tansillo nelle Stanze a Bernardino Martirano, nonché in un sonetto sempre a lui dedicato (cfr. L. Tansillo, Il Canzoniere, edito ed inedito. Secondo una copia dell’autografo ed altri manoscritti e stampe, 2 voll., a cura di E. Percopo, T.R. Toscano, Napoli, Liguori, 1996, ii, pp. 178-181). Nel Carmen nuptiale, il Filocalo presenta anche un elenco degli esponenti coevi più illustri del mondo letterario meridionale, successivi a Iacopo Sannazzaro, tra i quali figurano Giano Anisio (1475-1540), Girolamo Borgia (1475-1550), Marcantonio Epicuro (1472-1555), Benedetto Di Falco (c.1500-c.1568), Berardino Rota (1508-1585), Scipione Capece (ca.1480-1551). A questi ultimi bisogna aggiungere quegli intellettuali calabresi che, sia pure per breve periodo, si trovarono a frequentare il milieu di Leucopetra: Antonio Telesio, Bernardino Telesio, Niccolò Salerno, Giano Teseo Casopero, Giano Piero Ciminio, Aulo Pirro Cicala, Leonardo Schipano.

Nel réseau culturale napoletano sopra citato figurano, accanto ad autori come Scipione Capece e Antonio Telesio, anche personalità come Johann Albrecht Widmanstetter (1506-1557), Agostino Nifo (1469/70-1538) e Simone Porzio (1496-1554), allievo del Nifo. La studiosa Eva Del Soldato ha ricordato di recente che, «Quando nel 1525 il maestro [Nifo] fece ritorno a Napoli, Porzio lo seguì. Insegnando a partire dal 1529 presso lo Studio partenopeo [affiancato dal Nifo nel 1531], divenne in breve tempo una figura di riferimento della vita culturale cittadina. Entrò in tal modo in contatto con religiosi come Girolamo Seripando, poeti come Luigi Tansillo e Marcantonio Flaminio, liberi pensatori come Ortensio Lando, medici come Paolo Grisignano e Giovanni Filippo Ingrassia, e ricevette onori e stima da parte del viceré Pedro de Toledo e anche del signore di Salerno, Ferrante Sanseverino» (E. Del Soldato, Simone Porzio (1496-1554), in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, 2012). Seppure negli anni Trenta il Porzio non vantasse ancora la produzione filosofico-scientifica che vedrà la luce delle stampe negli anni successivi (produzione che non passò inosservata a Bernardino Telesio), non c’è dubbio che egli costituì, nel distretto napoletano, insieme al Nifo, al Capece e a molti altri, un interlocutore di rilievo per le discussioni sulla filosofia naturale nel secondo quarto del xvi secolo. Sulla presenza del Nifo a Napoli, cfr. Margherita Palumbo, Nifo, Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 78, 2013; e Carlo De Frede, Docenti di filosofia e medicina nella università di Napoli dal secolo xv al xvi, Napoli, Litografia editrice A. De Frede, 2001, pp. 58-62.

Molti membri dell’intellettualità napoletana trovarono nel circolo del Martirano (attivo, a Napoli, insieme al circolo di Scipione Capece) un nuovo punto di riferimento culturale. Esso si faceva erede del patrimonio intellettuale di Pontano, di Sannazaro e soprattutto del Parrasio, traendo ispirazione dallo studio dei classici greci e latini, attraverso l’attività letteraria dei suoi membri e patroni. Troviamo tracce di tale ispirazione ‘neo-classicista’ nei poemi e nelle epistole di Bernardino e Coriolano, di Antonio Telesio e di molti altri membri del circolo, come nello stile ellenico dei monumenti e delle decorazioni che adornavano la villa. Oggi nulla rimane di quell’antico splendore, e tuttavia traccia della bellezza architettonica e decorativa della villa è sopravvissuta nel poema Aretusa di Bernardino Martirano, nelle Epistolae familiares di Coriolano (vedi Leges Geniales, ff. 40r-41v; nell’epistola è stilato un elenco di suggerimenti e consigli circa le attività da realizzare nel Ninfeo della villa), nei Poemata (1536) di Giano Anisio, nelle Stanze a Bernardino Martirano (1540) di Luigi Tansillo, nell’ecloga Leucopetra di Bernardino Rota (cfr. B. Rota, Carmina, Neapoli, apud Iosephum Cacchium, 1572, p. 34), nella Descrittione della città di Napoli (1617) di Giuseppe Mormile. Tra queste testimonianze, una delle più significative riguarda la descrizione del Ninfeo, ossia del luogo in cui i Martirano amavano ricevere i loro ospiti e clientes. Come narra il Mormile, «nel mezzo della magnifica sala, s’apriva una fonte, da dove zampillavano sottili intrecci di acqua della sorgente; in mezzo alla fonte, su d’un letto di conchiglie, sta coricata una bellissima Aretusa di marmo ignuda [...]. Accanto alla statua, un epigramma sculto nel marmo, narrava l’amorosa istoria di Aretusa» (G. Mormile, Descrittione della città di Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli, Tarquinio Longo per Pietro Antonio Sofia, 1617, ried. Napoli, Gio. Francesco Paci, 1670, p. 71). La grande fontana monumentale era abbellita con dei portici e decorata con alcune iscrizioni e suggestivi affreschi; lungo il loggiato, come una corona, erano dipinti i segni dello Zodiaco; e tutto intorno esedre, nicchie e grotte artificiali ricreavano una scenario simile a quello dei templi dell’antica Grecia.

A riprova del rilievo rappresentato dal milieu del Martirano presso il ceto intellettuale, la classe dirigente e l’aristocrazia del viceregno, nonché dell’importanza che rivestì la stessa villa Leucopetra nel corso degli anni Trenta, c’è da segnalare la presenza di Carlo V nel novembre (dal 22 al 24) del 1535: durante il viaggio di ritorno dalla vittoriosa spedizione di Tunisi, egli decise di sostare alcuni giorni nella dimora dei Martirano, in attesa che si completasse l’allestimento degli apparati per il suo ingresso trionfale nella città di Napoli. Scrive Elena Valeri al riguardo: «Un privilegio assoluto, quello concesso dall’imperatore al Martirano, una sorta di riconoscimento ufficiale, al massimo livello del potere politico, del prestigio acquisito dall’alto funzionario della corte vicereale, come prontamente registrò un raro opuscolo a stampa del 1536, redatto da Agostino Landolfi e intitolato Le cose volgari (Napoli, M. Cancer). Nell’opera, infatti, il Martirano compare nell’allegra e selezionata brigata di “alquanti segnalati principi e signori, a sua Maiestà più cari” (c. B2r), mentre anima, con piglio da protagonista, un acceso incontro accademico-letterario sul concetto di fortuna svoltosi al cospetto di Carlo V nei giardini della villa aragonese di Poggio Reale, durante il soggiorno dell’imperatore» (E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, 2008).

Nel novembre del 1535 si trovava a Napoli anche il poeta e umanista Francesco Maria Molza (1489-1558), al seguito del cardinale Giovanni Salviati, per decidere del destino del Ducato di Firenze. Franco Pignatti rammenta che «la circostanza offrì al Molza l’occasione di intrattenersi con i letterati napoletani: fece la conoscenza di Bernardino e Coriolano Martirano, con i quali mantenne rapporti negli anni successivi, Pietro Summonte, Giovan Francesco Alois, Galeazzo Florimonte, il giovane Berardino Rota» (F. Pignatti, Molza, Francesco Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 75, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2011).

1536-1539

Agli anni successivi al 1535 risale la stesura da parte del Martirano del poemetto intitolato Il pianto d’Aretusa, dato alle stampe postumo ne La seconda parte delle stanze di diversi autori (Venezia, G. Giolito, 1563, pp. 7-51, 133-150), raccolta curata dall’umanista lucano Antonio Terminio. Il poemetto, che nell’edizione di Terminio si compone di 153 ottave, è stato riedito da Tobia R. Toscano (B. Martirano, Il pianto d’Aretusa, a cura di T.R. Toscano, Napoli, Loffredo, 1993), confrontandolo con il manoscritto rinvenuto nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco di Baviera (contenuto nella collezione di Johann Albrecht Widmanstetter), consistente in una stesura di 162 ottave.

Come ha efficacemente sintetizzato Elena Valeri, «il testo narra un inedito intreccio del mito classico di Aretusa con quello di Narciso, su cui l’autore innesta il racconto della metamorfosi della ninfa Leucopetra, trasportato nel contesto storico delle guerre d’Italia, tra la battaglia di Pavia (1525) e la conquista imperiale di Tunisi (1535)», ripercorrendo «i successi spagnoli nel decennale conflitto contro la Francia» (E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, 2008). Nell’opera compaiono diversi riferimenti alla figura di Carlo V e all’impresa di Tunisi («Quando la prima nave il mar divide / Tanti col buon Giason non canta Orfeo / Quanti con Carlo invitti armati vanno / D’Africa, e d’Asia a la ruina e danno. / Da la nobil cittade à gli otij nata / Che ’l nome tien de la bella Sirena / Gente di ferro e di valore armata / Per racquistar questa più degna Helena / Chi sovra nave, e chi galea spalmata / Drizza il suo corso e l’Africana arena / Ove l’avaro e perfido Enobarba / Guardar si vanta il gran regno d’Hiarba», stanze 5-6; cfr. anche stanze 109-113).

Il protagonista del poema, Narciso, innamorato di Aretusa, decide di imbarcarsi per l’impresa di Tunisi. È solo alla fine della guerra che Narciso, di ritorno in patria, scopre che l’amata è stata trasformata in pietra. La costruzione del mito di Aretusa, attraverso la sua metamorfosi in statua, posta al centro di un Ninfeo, sono l’occasione, per Bernardino Martirano, per celebrare la bellezza e l’incanto della dimora di Portici, che proprio dalla bellezza della ninfa aveva preso il nome (Leucopetra è il corrispettivo greco di Pietrabianca, che è per l’appunto la località presso cui fu edificata la villa). Una dettagliata descrizione del Ninfeo ricorre nelle stanze 69-86.

Il poemetto circolò probabilmente in versione manoscritta, nei primi anni Quaranta, presso eruditi e letterati degli ambienti romani, come risulta dal riscontro riferito dal fratello Coriolano in una lettera a Bernardino: «Arethusam, nullus est Romae fere, qui non viderit in hostilem modum» (C. Martirano, Epistolae familiares, f. 20v).

13 luglio 1541

Pietro Bembo invia da Roma una lettera a Bernardino Martirano, in risposta ad una lettera di quest’ultimo, nella quale il Bembo era ringraziato per alcuni favori concessi al fratello Coriolano:

«A M. Bernardino Martirano Secretario Regio. A Napoli.
Non bisognava che Vostra Signoria mi rendesse grazie di quelli ufficj, che io ho fatti per Monsignor vostro fratello. Perciocchè tutto quello, che altri fa per la verità, come ho fatto io, lo fa per debito, e non sarebbe buono né veridico, se da sé non lo facesse. Ma Vostra Signoria che è molto cortese, vuole anco delle cose, che io per me sono a far tenuto, ringraziarmi. E di ciò meglio sta a me il ringraziarvene. Accetto le amorevoli profferte, che mi fate, le quali userò assai confidentemente, qualora uopo me ne verrà. In questo mezzo Vostra Signoria stia sana, e me tenga per molto suo.
A’ 13 di luglio 1541. Di Roma».
(P. Bembo, Opere, vol. vii, Lettere di M. Pietro Bembo […] divise in undici libri, vol. iii, Milano, Della Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1810, p. 450; cfr. P. Bembo, Lettere, 1537-1546, a cura di Ernesto Travi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1993, vol. iv, p. 362).

1 aprile 1542

In una lettera inviata a Pietro Bembo, il vicerè Pedro de Toledo si raccomanda al cardinale affinché intervenga presso i benedettini della Congregazione di Montecassino per la cessione di un terreno a  Bernardino Martirano:

«Il Secretario Martirano oltra lo essere quel suddito et fedel servitore che è de la Maestà Cesarea: è tanto mio amico et servitore che io non posso ne debbo mancarli, anzi debbo esistimar le cose sue non altramente che le proprie. Mi fa intendere come desidera fabricare un palazzo qui in Napoli in uno Territorio che è del Monastero di Santo Severino della congregatione di Monte Cassino, et ne ha gia ragionato con lo Abate di detto Monasterio, il quale gli ha risposto che bisogna farne motto nel Capitolo generale. Et perche detto Secretario non ricerca questo, se non con utile evidentissimo della Chiesa, mi ha parso scrivere la presente a Vostra Signoria Reverendissima, per la quale le fo intendere che quanto farà in persona di detto Secretario intorno a questo negocio in farle ottenere il predito Territorio, tutto riceverò in persona propria, et mi obligarà perpetuamente: perche la supplico che voglia far di maniera che questo gentil’huomo resti consolato di quel che desidera, et io ne le resti in obligo, et essendo quella Vice protettor di detta congregatione, mi rendo certo che per una lettera sua indirizzata a chi lei meglio parerà si haverà l’intento compitamente: et perche so che ella farà meglio che io non saprei dirle con questa non sarò più lungo, aspettando la risposta conforme al desio: et nostro Signor Dio doni a Vostra Signoria Reverendissima quanto desia.
Di Napoli. A di 1 Aprile 1542.
Alli servitij di Vostra Signoria Reverendissima Prontissimo
Il Vice Re di Napoli»
(Delle lettere da diversi re, et principi, et cardinali, et altri huomini dotti a mons. Pietro Bembo scritte. Di nuovo stampato, riveduto, et corretto per Francesco Sansovino, Venetia, appresso Francesco Sansovino et compagni, 1560, ff. A4r-v).

15 febbraio 1546

Il cardinale Pietro Bembo invia una lettera a Bernardino Martirano, in cui mostra apprezzamento per un poemetto inedito, il Polifemo. Nella lettera il Bembo include alcune emendazioni al testo, che il Martirano puntualmente realizzò, come si evince dalle stanze citate nella Vita di Sertorio Quattromani di Matteo Egizio, presente nella edizione delle opere del Quattromani (S. Quattromani, Lettere diverse…, Napoli, Felice Mosca, 1714). Citiamo di seguito i contenuti salienti della lettera del Bembo:

«A M. Bernardino Martirano
Ho volentieri veduto e letta la vostra operetta, la quale m’è paruta molto piena d’invenzione e d’ingegno, e stimo che ella porgerà molto piacere a chiunque la leggerà, siccome soglion far tutte le cose vostre. Ho notate in essa alcune cosette di poca importanza, più per soddisfazion di Vostra Signoria che per altro, delle quali ella farà quel conto, che le parerà e non più. […] Ho voluto ubidirvi, né tacervi cosa, che mi sia venuta nel pensiero. Stia sana Vostra Signoria e me tenga per molto suo.
A’ 15 di Febbraio 1546. Di Roma».
(P. Bembo, Opere, vol. vii, Lettere di M. Pietro Bembo […] divise in undici libri, vol. iii, Milano, Della Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1810, pp. 451-452 e 453).

16 novembre 1548

Muore a Napoli Bernardino Martirano. Nella chiesa di S. Domenico Maggiore fu inscritto il necrologio: «Bernardinus Martiranus Regius Collateralis Consiliarius, et secretarius Regni obiit Neapoli die 16 novembris 1548 hora noctis seguentis prima, et die 17 eiusdem mensis humatus fuit in Eccl.a S. Dom.ci de Neap.».

 

Bibliografia

Fonti e studi

L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Bologna, per Anselmo Giaccarelli, 1550.

G. Anisio, Variorum poematum libri duo, Napoli, G. Sultzbach, 1536.

A. Asor Rosa, Filocalo, Giovanni Tommaso, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 47, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1997.

P. Bembo, Opere, vol. vii, Lettere di M. Pietro Bembo […] divise in undici libri, vol. iii, Milano, Della Società Tipografica de’ Classici Italiani, 1810.

P. Bembo, Lettere 1537-1546, a cura di Ernesto Travi, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1993.

F. Sosipatri Charisii Institutionum grammaticarum libri quinque a Jano Parrhasio olim inventi ac nunc primum a J. Pierio Cymmino Jani auditore in gratiam adulescentium Consentinorum editi, Neapoli, J. Sultzbach, 1532.

G. C. Pedacio, Ad Augustum, et invictissimum Carolum V Caesarem pro Tunetana expeditione, Romae, apud Minitium Calvum, 1535.

F. D’Episcopo, Aulo Giano Parrasio, fondatore dell’Accademia Cosentina, Cosenza, Pellegrini, 1992.

C. De Frede, I lettori di Umanità nello Studio di Napoli durante il Rinascimento, Napoli, L’Arte Tipografica, 1960.

C. De Frede, Docenti di filosofia e medicina nella università di Napoli dal secolo xv al xvi, Napoli, Litografia editrice A. De Frede, 2001.

E. Del Soldato, Simone Porzio (1496-1554), in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, 2012.

Delle lettere da diversi re, et principi, et cardinali, et altri huomini dotti a mons. Pietro Bembo scritte. Di nuovo stampato, riveduto, et corretto per Francesco Sansovino, Venetia, appresso Francesco Sansovino et compagni, 1560.

C. Fanelli, Studia humanitatis e teatro prima di Telesio: tra Cosenza e l’Europa, «Bruniana & Campanelliana», xvi, 2010, 1, pp. 125-137.

C. Fanelli, Umanesimo e teatro in Calabria prima di Telesio: l’attività di Coriolano Martirano, in Bernardino Telesio tra filosofia naturale e scienza moderna, a cura di Giuliana Mocchi, Sandra Plastina, Emilio Sergio, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2012, pp. 23-36.

F. Fiorentino, Bernardino Telesio ossia studi storici su l’idea di natura nel Risorgimento italiano, 2 voll, Firenze, Le Monnier, 1872-1874.

G. Formichetti, Di Falco, Benedetto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 39, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1991.

E. Imbrogno, Un episodio di mecenatismo all’ombra di Carlo V: ville e raccolte d’arte dei fratelli Martirano, in Dal Viceregno a Napoli. Arti e lettere in Calabria tra Cinque e Seicento, a cura di I. di Majo, Napoli, 2004, pp. 13-69.

P. Manzi, La tipografia napoletana del ’500. Annali di Giovanni Sultzbach, Firenze, Olschki, 1970.

B. Martirano, Il pianto d’Aretusa, a cura di T.R. Toscano, Napoli, Loffredo, 1993 (una riedizione dell’Aretusa, e comprendente anche il Polifemo, è stata pubblicata a cura di Pasquino Crupi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002).

C. Martirani Cosentini, Epistolae familiares, [G.A. Simonetta], 1556.

G. Mormile, Descrittione della città di Napoli e del suo amenissimo distretto, Napoli, Tarquinio Longo per Pietro Antonio Sofia, 1617, ried. Napoli, Gio. Francesco Paci, 1670.

M. Palumbo, Nifo, Agostino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 78, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2013.

A. Iani Parrhasii Cosentini in Q. Horatii Flacci Artem Poeticam Commentaria luculentissima, cura et studio Bernardini Martyrani in lucem asserta, Neapoli, Ioannis Sultzbachii, vi Idus Iulias, 1531 (l’introduzione è stata riedita da Francesco D’Episcopo nel volume Aulo Giano Parrasio, fondatore dell’Accademia Cosentina, Cosenza, Pellegrini, 1992, pp. 67-73).

F. Petrucci, Colonna, Ascanio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982.

F. Pignatti, Molza, Francesco Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 75, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2011.

F. Pometti, I Martirano, «Atti della Regia Accademia dei Lincei. Memoria della classe di scienze morali, storiche e filologiche», ccxciii, 1896, iv, pp. 57-184.

A. Prosperi, Clemente VII, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 26, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1982.

A. Prosperi, Clemente VII, in Enciclopedia dei Papi, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000.

S. Quattromani, Lettere diverse…, a cura di Matteo Egizio, Napoli, Nella Stamperia di Felice Mosca, 1714.

S. Quattromani, Scritti, a cura di Filiberto Walter Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999.

C. Querno, De bello Neapolitano, Neapoli, Ioannis Sultzbach, 1529; ried. La guerra di Napoli, a cura di Bebora D’Alessandro, Napoli, Loffredo, 2004.

A. L. Redigonda, Alberti, Leandro, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 1, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960.

G. Rosso, Historia delle cose di Napoli sotto l’imperio di Carlo Quinto cominciando dall’anno 1526 per infino all’anno 1537, scritta per modo di giornali, Napoli, nella stamperia di Giovanni Domenico Montanaro, 1635.

B. Rota, Carmina, Neapoli, apud Iosephum Cacchium, 1572.

G. Sambiasi, Ragguaglio di Cosenza e di trent’una sue nobili famiglie, Napoli, per la Vedova di Lazzaro, 1639.

S. Spiriti, Memorie degli Scrittori Cosentini, Napoli, Stamperia De’ Muzj, 1750.

L. Tansillo, Il Canzoniere, edito ed inedito. Secondo una copia dell’autografo ed altri manoscritti e stampe, 2 voll., a cura di Erasmo Percopo, Tobia R. Toscano, Napoli, Liguori, 1996.

A. Terminio, La seconda parte delle stanze di diversi autori, Venezia, G. Giolito, 1563 (ried. 1580).

V. Tisano, Formazione e scelte linguistiche di un corrispondente meridionale del Bembo: Bernardino Martirano, in Lingue e culture dell’Italia meridionale (1200-1600), a cura di Paolo Trovato, Roma, Bonacci, 1993, pp. 327-344.

E. Valeri, Martirano, Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2008.

E. Valeri, Martirano, Coriolano, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2008.

M. A. Visceglia, Il viaggio cerimoniale di Carlo V dopo Tunisi, in Carlos V y la quiebra del humanismo político en Europa (1530-1558), 4 voll., a cura di José Martínez Millán, Madrid, Sociedad Estatal para la conmemoracion de los centenarios de Felipe II y Carlos V, 2001, vol. ii, pp. 133-172 (disponibile on line in versione aggiornata).