di Michele Orlando

1541

Sertorio Quattromani nasce a Cosenza da Bartolo e da Elisabetta d’Aquino, lontana parente di Antonio Telesio. Il giovane Sertorio cresce in un ambiente legato alla nobiltà cosentina e alla sua cultura. Viene istruito attraverso le idee religiose valdesiane di Onorato Fascitelli (1502-1564), monaco benedettino (arcivescovo di Isola dal 1552 al 1562) e suo primo maestro, in rapporto con la famiglia aristocratica Bernaudo, di origine napoletana.

1555-1559

Il giovane Sertorio Quattromani assiste molto probabilmente alle lezioni pubbliche tenute da Bernardino Telesio (1509-1588) a Cosenza. Tra gli uditori, si contano personalità come Agostino Doni (1545/1550-dopo il 1582), Giovanni Battista Vecchietti (1552-1619), Giulio Cavalcanti e Giovan Paolo d’Aquino, cugino del Quattromani.

1560-1564

Dal suo epistolario desumiamo che in questo intervallo di tempo Quattromani si trasferisce a Roma, frequentando la Biblioteca Vaticana. Roma è una città colta ed erudita e, sottinteso non meno marginale, cattolica: qui, avendo la possibilità di intessere una trama strettissima di relazioni con i vari esponenti della cultura romana cittadina e cortigiana (non è trascurabile, ad esempio, che proprio in questi anni sia attiva a Roma l’Accademia delle Notti Vaticane, animata da Carlo Borromeo e da Curzio Gonzaga), Quattromani rivelò le sue prime indagini intorno al Canzoniere petrarchesco, alle sue fonti latine e duecentesche. A Roma egli ha modo di rivedere e confrontarsi con il Fascitelli, che vi trascorre gli ultimi anni della sua vita.

In una lettera inviata da Roma a Trento il 14 novembre 1561 a Vincenzo Bombini, impegnato nei lavori conciliari, il Quattromani informa l’amico cosentino dell’andamento dei suoi studi (nel termine di qualche anno, Bombini sarà raggiunto anche da Tommaso Telesio, a cui fu conferita da Pio IV, con bolla papale, la carica di arcivescovo di Cosenza dal 1565 al 1569; nelle sessioni conciliari tridentine del 1563, lo stesso Telesio rivestirà le funzioni di segretario).

«A Vincenzo Bombini a Trento.
Io per cominciare da quello che Vostra Signoria desidera sapere, in questi pochi mesi, che io sono stato a Roma, taccio l’altre cose buone che ho fatto, ho letto, et riletto più di cento volte il Petrarca, ho veduto con molta diligenza tutta l’Iliade, et tutta l’Odissea di Homero, et tutte le tragedie di Sofocle, Euripide, Senofonte, la poetica di Horatio, et di Aristotele, Macrobio, et Quintiliano, dai quali ho raccolto tanto frutto, che io mi confido quasi saper rendere conto di quanto sarò dimandato. Ho trascorso anchora molte altre operette, et tuttavia non cesso di lambiccarmi il cervello et di impennarmi l’ali, se io posso. Quanto al resto io ho composto molte cosuccie, le quali sono state assai commendate da tutti questi letterati di Roma. Ma io vorrei communicare il tutto con Vostra Signoria per imparare da lei quel che io non posso, né potrei sapere in mille anni. Et per Dio, che io non posso soffrire più lungo digiuno della vista del mio Signor Vincenzo. Intanto mi farà favore di darmi spesso contezza di ogni minutia, et come le piace la stanza di Trento, come vanno gli studij, et quando sarà per finire cotesto benedetto Concilio, ché io ancora farò il simile di Roma. Le cose mie vanno male, perché non è persona in Cosenza, che vi spenda una buona parola, anzi tutti si ingegnano di farmi il peggio che possono. Ma chi sa, forse un giorno mi vendicherò di ogni oltragio. Bacio a Vostra Signoria la mano, et nella sua buona gratia senza fine mi raccommando.
Di Roma, a’ 14 di Novembre, 1561».
(S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999, p. 5)

In una lettera del 24 luglio 1563, inviata da Roma a Cosenza, a Marcello Ferrao (Ferrai, o Firrao), apprezzato ammiratore della filosofia telesiana, letterato e poeta, vissuto tra la seconda metà del xvi e i primi decenni del xvii secolo, con lucidità esterna i suoi umori a proposito di una scoperta:

«Questi giorni di state per non perdere il tempo ho cominciato a fare un lungo discorso delle bellezze del Petrarca, perché sono infiniti, che il lodano, et non sanno per qual cagione egli merita di esser proposto a tutti gli altri poeti toscani; et ci ho aggiunto un altro discorso di tutti quei luoghi, che egli toglie da i scrittori latini, et da i compositori toscani. Et perché mi mancavano i poeti provenzali, de’ quali il Petrarca si è avvaluto assai, feci ciò intendere al mio gentilissimo Paolo Manutio, il quale desideroso di compiacermi, sapendo che erano nella libraria di Vaticano, ne ragionò col Papa, dalla cui santità impetrò che mi fussero aperte tutte le librarie quante volte io volea. […] Ho trovato primieramente tutto quello, che io andava cercando, cioè un diluvio di poeti provenzali, et fra gli altri Arnaldo Daniello, cotanto comendato dal Petrarca, et da Dante; et giuro a Vostra Signoria per la vita dell’Orsa, che io intendo la lingua provenzale poco men che l’italiana. Ho trovato ancora un fascio di poeti siciliani antichissimi, et sono quelli a punto, che racconta il Petrarca ne i Trionfi. […] Ho procacciato parimente le rime di Bruno Accurso Montemagno da Pistoia, il quale dal Petrarca in fuori scrisse meglio di tutti gli altri antichi, et alcune compositioni di Messer Cino. Ho trasc‹r›itto oltre ciò molte cosette di P. Iacopo Alighieri figliuolo di Dante, assai belle, et poetiche, et mi maraviglio del Bembo, che scrisse nelle sue Prose che costui fu molto minore, et men chiaro non solamente del padre, ma di Dino Fres‹c›obaldi, che non fu troppo vago, né culto poeta. Percioché per quelle poche rime, che io ho potuto vedere delle sue, mi par che habbia avanzato ambedue se non in altro almeno in leggiadria, et dolcezza. Il Signor Torquato Bembo ha proferto prestarmi il Canzoniero del Petrarca, trascritto di mano del proprio auttore, dove spero trovar molte belle cose, et mi certificarò affatto del modo, che egli tenea in comporre. Et come che io tenga per fermo, che non sia questa la prima forma delle sue rime, pure non sarà che io non ci trovi mille cosette mutate, et annullate, et aggiunte per migliorarle».
(S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 17-18).

22 settembre 1563

Sempre da Roma, il Quattromani invia una lettera a Bernardino Telesio, a Bologna, dopo l’incontro avuto da quest’ultimo a Brescia con il filosofo aristotelico Vincenzo Maggi, prestigioso professore a Padova e a Ferrara.

«Hoggi, che sono i 20 di Settembre, ho avuto due pieghi di Vostra Signoria, recatimi dal Signor Rinaldo Corso, l’uno degli otto e l’altro degli undici del medesimo mese. Andai subito subito dal signor Bernardo Cappello, et gli lessi le lettere, che ella scrive à me, et al Bianchetto. L’ascoltò assai volentieri, et rimase tanto contento, che non parea che capisse in se stesso. Non posso visitare hoggi il Padre Bencio, et il Signor Caro, perché ho à scrivere cento lettere, et, come non scrivo à tutti, mandano i gridi insino alle stelle. Ma dimani senza fallo vedrò di visitargli et gli farò partecipi di ogni cosa. Io non fo troppo schiamazzo, che l’opera di Vostra Signoria sia riuscita secondo il desiderio dell’animo suo, perché io sempre hebbi per fermo, che non potea esser di meno, et quella cosa, che agli altri è nuova, a me è vecchia di mille anni: pure me ne rallegro oltre modo, perché questi filosofi romani si imaginavano, che il Maggio non sarebbe mai concorso con lei, et l’affermavano securamente; et hora sono rimasti tanto arrossiti che non ardiscono di comparere fra gli huomini. Mando a Vostra Signoria quelle compositioni, che mi impose che io facessi per quello amico. Mi farà favore di non vederle altro occhio che il suo, poiché da che io mi allontanai da lei, quei spiriti, che in me erano generati dalla sua presenza, et che mi rendeano pronto, et ardito, sono tutti spenti, et con loro anco annullato, et venuto meno ogni giudicio, et ogni sapere. Et perciò non fia maraviglia se quel poco, che mi è rimasto, teme d’apparir fuori. Il nostro maninconico ha cominciato a sorridere, et spero fra pochi giorni farlo il più allegro huomo del mondo. Del Signor Guerriero non le so dire altro, se non che è tutto suo, et che non si può satiare di giocare a scacchi, et di tranguggiarsi ogni dì mille matti. E il Signor Emilio, liberalissimo sopra ogni altro, conoscendo l’humore dell’huomo, gli ne dà quanti ne vuole. In questo mezzo bacio a Vostra Signoria la mano, et nella sua buona gratia riverentemente mi raccomando.
Di Roma, a’ 22 di Settembre, 1563».
(S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 19-20).

1565

Prima di tornare a Cosenza, Quattromani si trasferisce a Napoli per circa due anni. È un anno decisivo sul piano del rinnovamento della scienza e della cultura filosofica, che rifiuta con grande vigore ed entusiasmo, a Napoli, l’autorità di Aristotele, e ponendo il senso a presupposto della nuova ricerca: l’antiaristotelismo più rovente riscopriva così nella pubblicazione romana del De natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una roccaforte inespugnabile. È ipotizzabile altresì che la ragione del soggiorno napoletano del Quattromani, sebbene non ci sia dato conoscerla in modo diretto, stia velatamente nel fatto che egli volle assistere da buon discepolo il maestro Telesio, mentre questi a Napoli tentava con autorevolezza di illustrare la sua opera, malgrado affanni notevoli. Nel giro di pochi anni il Telesio maturò il proposito di realizzare una riedizione dell’opera (che vide la luce proprio a Napoli nel 1570), e conosciamo attraverso le vicende posteriori relative alla proibizione delle opere telesiane (con la clausola attenuante dell’Index librorum prohibitorum «donec expurgentur», del 1596) gli sforzi compiuti dal Quattromani per evitare all’opera di Telesio la condanna della Chiesa, attraverso la sua mediazione nei confronti di Vincenzo Bombini (protonotaro apostolico nella Curia romana di Pio V e Gregorio XIII), al quale è dedicata l’ultima epistola dell’Egizio. Cfr. M. Egizio, Vita di Sertorio Quattromani gentiluomo & accademico cosentino scritta da Matteo Egizio tra gli Arcadi detto Timaste Pisandeo, in Di Sertorio Quattromani gentiluomo & accademico cosentino lettere diverse, Napoli, nella stamperia di Felice Mosca, 1714, p. xi; L. Firpo, La proibizione di Telesio, «Rivista di Filosofia», xlii, 1951, 1, pp. 30-47; F.W. Lupi, Alle origini dell’Accademia Telesiana, Cosenza, Brenner, 2011.

1567

Il 6 giugno di questo anno, in una missiva da Cosenza a Bernardino Rota, Quattromani acclude alcuni emendamenti alle imperfezioni (alcune cosette, le chiama il Quattromani) emerse nella arricchita seconda edizione veneziana delle Rime (1567) di Rota, impressa per i tipi di Giolito de’ Ferrari. Sotto il titolo di Vedovelle vaghe si raccoglievano, secondo Matteo Egizio, le tre canzoni composte in morte di Porzia Capece, «Dolor mi vince, ed è sì forte e novo», «Poiché la doglia mia, pietosa e larga», «Non perché d’ora in ora via più mi dolga» (cfr. S. Quattromani, Scritti, cit., p. 28).

1568

Il Quattromani è temporaneamente a Roma. Lo conferma un’epistola su questioni amorose datata al 6 ottobre, indirizzata a Tiberio Caputi in Cosenza, ben conosciuto tra gli accademici cosentini (cfr. S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 30-31).

5 agosto 1571

Sertorio invia da Cerisano, uno dei casali cosentini, una lettera a Cosenza a Giovan Battista Ardoino (o Arduini), suo cognato (avendone sposato la sorella Isabella), giureconsulto molto apprezzato dall’imperatore Carlo V e dalla corona spagnola, accademico cosentino (1590) e stimato per il Canzoniere dalle raffinate modulazioni petrarchesche. Nella lettera c’è un importante riferimento alla «nostra Academia» in «Cosenza», in cui il Quattromani esprime la sua preoccupazione circa i pericoli che il fermento culturale, che aveva animato il milieu filosofico-letterario cosentino negli anni precedenti, possa disperdersi. Si tratta di un’attestazione preziosa ed eloquente per la ricostruzione della genesi di una istituzione, che solo nell’ultimo decennio del xvi secolo assumerà una vera ufficialità, sotto la denominazione di «Cosentina Academia».

«[…] Datemi hora contezza di voi altri. Che si fa in cotesto mondo di Cosenza? Fassi nuovo preparamento da i cieli in roina della nostra Academia? Che fate voi? Che pensieri sono i vostri? Come la fate con le Muse, et con Apolline? Come trapassate i giorni di Agosto? Sono spenti o raffreddati i vostri ardori, et le vostre fiamme, o incalzate dalle canicola, si sono fatte intollerabili, et vi hanno già convertito in cenere? Per gratia, scriveteci ogni cosa minutamente, et con verità, et non ci meschiate delle bugie, perché ne sono nemico capitale, et non le saprei soffrire in persona che io amo. Io sto tuttavia intorno al Petrarca, et ho spiegato l’arte in parecchi sonetti. Sono arrivato a quel che comincia “Giunto mi ha amor fra belle, e crude braccia”, il quale per giudicio del Casa è il miglior di quanti ne habbia mai fatto il Petrarca; et ho havuto il maggior affanno del mondo a scoprire i segreti, che il rendono alto, et illustre sopra gli altri. Et spero col tempo, di por fine a tutti. In questo mezzo voi amatemi, et state sano.
Di Ceresano, a’ 5 di Agosto 1571».
(S. Quattromani, Scritti, cit., p. 34).

20 maggio 1572

Sertorio invia da Cosenza una lettera al futuro accademico cosentino Peleo Ferrao (o Ferrai o Firrai o Firrao), cosentino di nascita e celebre poeta volgare, scrittore di finissimi versi, attestati in due sonetti riportati da Salvatore Spiriti nelle sue Memorie degli scrittori Cosentini (Napoli, nella Stamperia de’ Muzi, 1750, pp. 97-98) e presenti nelle raccolte di don Scipione de’ Monti e nelle rime di Giovan Battista Ardoino (cfr. D. Andreotti, Storia dei Cosentini, Napoli, Stabilimento Tipografico di Salvatore Marchese, 1869, vol. ii, p. 226, G.B. Ardoino, Le rime ... in morte della Signora Isabella Quattromani sua Moglie, Vico Equense, Giuseppe Cacchi, 1590).
Peleo Ferrao, oltre ad avere «uno ingegno vivace, un giudicio maturo, e un discorso sensato, e ragion così bene di ogni soggetto che par ch’ogni cosa habbia su le dita. Scrive rare volte, ed è sempre ammirabile» (così riferisce l’Autore della Tavola, nella raccolta di Rime et versi in lode della illustrissima et eccellentissima Signora Donna Giovanna Castriota Carrafa, Vico Equense, Giuseppe Cacchi, 1585), si distinse anche come capace uomo d’arme, tanto che Quattromani in una missiva carica di tensione emotiva lo esorta a rinunciare alla Lega cattolica contro i Turchi e alla partecipazione ad una seconda spedizione contro Costantinopoli, nel corso degli ultimi scampoli della guerra di Cipro sulle acque del golfo di Corinto, dove avrebbe potuto incappare nella morte, circostanza notoriamente giunta all’acme nella sanguinosa battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571. Di lui si sa anche che «del molto che scrisse pochissimo ci resta» (cfr. Camillo Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, Tipografia Dell’Aquila di V. Puzziello, 1844, p. 127 e D. Andreotti, Storia dei Cosentini, cit., p. 226; S. Quattromani, Scritti, cit., p. 35).

1581

Il 7 ottobre Quattromani è ancora a Cosenza e invia una lettera a don Vincenzo Toraldo d’Aragona, futuro componente della Accademia degli Svegliati di Napoli e autore del dialogo La Veronica o del sonetto, stampato a Genova per i tipi di G. Bartoli nel 1589 (cfr. S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 36-39).

1583-1585

In questo triennio Sertorio Quattromani soggiorna a Napoli. Il 5 novembre del 1583 invia al cardinale Guglielmo Sirleto (1514-1585), bibliotecario della Vaticana, erudito e collezionista, una lettera di raccomandazione in favore di un suo amico, il commissario e visitatore apostolico del Regno di Napoli Giovanni Angelo Egizio, a Roma. Il 9 aprile 1585 invia una lettera a Cosenza a Giulio Cavalcanti (cfr. S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 42 e 43). Nello stesso anno, attende alla pubblicazione della raccolta di Rime et versi in lode della Ill.ma et Eccelentiss[ima] S[ignora] D[onna] Giovanna Castriota Carr[afa], Duchessa di Nocera, et Marchesa di Civita Santo Angelo, scritti in lingua toscana, latina, et spagnuola da diversi huomini illustri in varij, et diversi tempi et raccolti da Don Scipione de’ Monti (Vico Equense [Napoli], appresso Gioseppe Cacchi), per le cure di Scipione de’ Monti.

gennaio-ottobre 1588

È a Cosenza, tra gennaio e ottobre, come confermano rispettivamente tre lettere, a Fabrizio da Gaeta a Roma (23 gennaio 1588), a Giovan Antonio Pisano a Napoli (6 settembre 1588) e a Ferrante Carafa, duca di Nocera (cfr. S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 44, 45 e 46-47). L’ultima di esse, indirizzata a Ferrante Carafa, datata 15 ottobre 1588, costituirà l’epistola dedicatoria dell’opera che sarà pubblicata agli inizi del 1589, dal titolo La filosofia di Bernardino Telesio ristretta in brevità (v. infra).

ottobre 1588

Morte di Bernardino Telesio. Dopo la morte del filosofo, il Quattromani assume ufficialmente la direzione di quella che era stata la celebre Accademia del Parrasio prima e del Telesio dopo, un’accademia che sin dai suoi primordi aveva intensamente incoraggiato la cultura calabrese in direzione degli studi classicistici e filosofici, avviando una serie di rilevanti dispute anche sul versante scientifico. In questo contesto la città di Cosenza diviene un attivo ed efficace centro culturale che attira a sé diversi intellettuali calabresi. Fu proprio il Quattromani a dare, con il suo tenace contributo intellettuale, inedita vivacità all’Accademia cosentina, che visse, sotto la sua guida, gli ultimi anni di intenso fervore culturale e nella quale, a fianco agli interessi in prevalenza attinenti alla letteratura e alla cultura umanistica in genere, continuavano ad accostarsi interessi per argomentazioni di carattere puramente filosofico. Ne sono una efficace testimonianza il Ristretto sulla filosofia telesiana pubblicato dal Quattromani nel 1589, il Ragionamento (1591) di Iacopo di Gaeta, la Oratione in morte di Berardino Telesio (1596) di Giovan Paolo d’Aquino.

1588-1590

Da novembre risulta trattenersi a Napoli. E ci resta fino agli ultimi mesi del 1590.

1589

Pubblica e dedica a Ferrante Carafa duca di Nocera La filosofia di Bernardino Telesio ristretta in brevità, et scritta in lingua toscana dal Montano Accademico Cosentino [Sertorio Quattromani]. Alla Eccellenza del Sig. Duca di Nocera. Con Licenza de’ Superiori. In Napoli, Appresso Giuseppe Cacchi, 1589 (riedito con Introduzione e note a cura di Erminio Troilo, Bari, Società Tipografica Editrice Barese, 1914). L’epistola dedicatoria a Ferrante Carafa, datata 15 ottobre 1588, recita come segue:

«A Ferrante Carrafa, duca di Nocera.
I nostri secoli sono stati così felici e così ricchi di ingegni grandi e sublimi, che non hanno punto cagione di invidiare gli antichi, né quelli forse che verranno dopo noi. Impercioché hanno prodotto uomini, parte che sono stati eccellenti nelle discipline e nelle scienze, e parte che hanno trovato delle cose, che sono di molto utile, e di molto ornamento al vivere umano, et altri che, valicando diversi mari, hanno penetrato regioni, et paesi, non più conosciuti dalle primiere nationi. Ma la maggior maraviglia (se io non sono abbagliato, et se il soverchio amore, che io porto alla memoria di questo huomo non mi fa travedere) è stato Berardino Telesio il quale, non appagandosi a quel che hanno scritto gli antichi intorno alla philosophia, ha con la sottigliezza del suo ingegno, et con la fatica di molti anni, investigato una dottrina così vera, et così ben distinta, et così ben divisata, che non ha in sé pur una minima particella, che non sia conforme al senso, et alla ragione, et balla distesa in molti libri, et trattati. Ma perché i cieli non danno ogni cosa ad un solo, et non può in questo mondo trovarsi cosa che sia d’ogni parte intiera, et perfetta, egli, come huomo che intese tutto lo spatio della sua vita in esaminare gli scritti altrui, et in cercare nuove cose, et nuove ragioni, et che si diede assai tardi a distendere in carte i suoi concetti, spiegò questi suoi trovati in stile, quantunque grave, et latino, così malagevole ad intendersi, che non può huomo senza aiuto di voce viva, o senza molta fatica, et difficultà trarne i veri sentimenti. Laonde io per agevolar la via a chi desidera di inalzarsi alla cognizione di così fatti mistieri, e non è versato nei termini dei filosofi, ho ristretto in brevità et in parlar chiaro e vulgare una buona parte de’ suoi libri, perché possano i giovani non molto esperti apprenderla senza molta malagevolezza.
Ora, perché questa filosofia è stata inalzata e sollevata da Vostra Eccellenza e per opra della sua cortesia fu posta a luce, e perché non solamente io, che sono tanto suo antico servitore, ma tutte quelle persone nelle quali si scorge qualche ombra di letteratura, hanno ogni dì di molte grazie dalla sua magnanimità, e vivono in casa di lei una vita assai agiata e tranquilla, e non sono punto impiegate in esercizii comunali e domestici, ma sono lasciate a i loro studi et alle loro investigazioni, parmi ragionevole e dritto, che si dia a leggere a gli studiosi sotto la prottezione di lei. Perché ella la riceva come sua propria e con l’ombra della sua autorità abbia a darle vita e spirito, et a difenderla dalle percosse dei Peripatetici.
Né harà a sdegnarsi, che io faccia palesi, et comuni così fatti segreti a molti, perché ella ha sempre procacciato di far ciò senza perdonare a spesa, o a fatica niuna. Et io mi sono indotto ad ordire così fatto lavoro, più per secondare in ciò i suoi honorati pensieri che perché io havessi disegno di scrivere di così fatto soggetto. Prenda dunque Vostra Eccellenza con lieto animo questo mio picciolo libricciuolo, et gradiscalo volentieri, se non altro, almeno, perché sarà come un lumicino, che farà forse lume a tutti coloro, che haveranno vaghezza di rivolgere i molti, et diversi volumi, che ha scritto il Telesio. Che se io vedrò, che ella il rimiri con occhio amorevole, prenderò tanto di spirito, che mi disporrò a dar fuori tutti i libri del suo amato philosopho in favella pura, et toschana. Et con ogni affettione mi le inchino, et prego Iddio, che la faccia altretanto felice quanto l’ha fatto valorosa, et gentile.
Di casa, a’ 15 di ottobre, 1588.
Di Vostra Eccellenza
Servitore affetionatissimo et obligatissimo
Il Montano Academico Cosentino».
(S. Quattromani, La philosophia di B. Telesio ristretta in brevità, Napoli, G. Cacchi, 1589, pp. *2r-*4v).

1590

Escono a stampa le rime dedicate Al Ilustre S. Giovan Maria Bernaudo, in appendice a Le Rime del Sig. Giovanni Battista Ardoino Academico Cosentino, In morte della Signora Isabella Quattromani sua moglie, Napoli, appresso Gioseppe Cacchi.

1592

Quattromani soggiorna a Napoli pressappoco fino al 1599, all’infuori di qualche spostamento, di ristretta durata, a Cosenza.

1595

Esce la prima edizione del volgarizzamento di Giovanni Battista Cantalicio: Le historie de monsig. Gio. Battista Cantalicio vescovo di Civita di Penna, et d’Atri, delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando di Aylar, di Cordoua, detto il Gran Capitano, tradotte in lingua toscana dall’Incognito Academico Cosentino. A richiesta di Gio. Maria Bernaudo. In Cosenza, per Luigi Castellano. Come si può notare, non figura esplicitamente il nome del traduttore, il quale si nasconde dietro l’appellativo di «Incognito Academico Cosentino».

1597

Esce la seconda edizione del volgarizzamento del Cantalicio: Le historie de monsignor Gio. Battista Cantalicio, vescovo di Civita di Penna & d’Atri delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando de Aylar di Cordova, detto il gran capitano, tradotte in lingua toscana dall’Incognito Academico Cosentino a richiesta di Gio. Maria Bernaudo; nuovamente corretta & ristampata. In Cosenza, per Leonardo Angrisano e Luigi Castellano. Ad instanza di Enrico Bacco libraro in Napoli. Anche in questa edizione è occultato il nome del traduttore. Una terza edizione apparve a Napoli nel 1607, postuma, ad opera del Carlino e, per la prima volta, vi comparve anche il nome di Sertorio Quattromani (Le historie di monsig. Gio. Battista Cantalicio delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando di Aylar, di Cordova, detto il Gran Capitano, tradotte in lingua toscana dal signor Sertorio Quattromani, detto l’Incognito Academico Cosentino, Napoli, appresso Gio. Giacomo Carlino, 1607).

20 ottobre 1598

Quattromani invia da Napoli una lettera a Giovanni Battista Vecchietti, allora residente a Roma. Nella lettera, Quattromani rinvia a due scritti telesiani rimasti inediti dopo la pubblicazione, da parte di Antonio Persio (1542-1612), dei Varii et de naturalibus rebus libelli (Venetiis, apud Felicem Valgrisium, 1590), cioè il Quomodo febrius faciunt, causis (1586) e il De fulmine (1583).

«Io ho qui i Dialoghi dell’Imprese, et porterolli meco, perché ricevano dal giudicio di Vostra Signoria quel lume, et quella perfettione, che non possono sperare da me. Il procaccio di Cosenza havea a venir qui questa sera, et non è venuto; verrà dimani, et havrò di casa ciò che io chiedo, et senza aspettar altro mi porrò in camino, et ella ha il torto a sospettare della mia fede. Ma io mi protesto, che non mi bastano le accoglienze, che mi farà Vostra Signoria e il Signor Girolamo, ché vo’ anco che me facciano altri per cagion loro, altrimenti me ne tornerò volando, et se non mi basterà Napoli, trapasserò insino a gli estremi fini della Calabria. In non ho qui il libro Delle febri del Signor Telesio; ho procurato che mi venga da Cosenza, insieme con un bellissimo Discorso, che egli fa di quel folgore, che cadde in forma di ferro in Castrovillari gli anni a dietro, et ho da portare tante altre cose, antiche et nuove, che ne potrei inondare tutta Roma. Et se il Signor Fulvio Orsino ne havesse sentore, procaccierebbe d’havermi al numero de i suoi servitori, et non mi darebbe bando dalla sua gratia. Ma non vo’ più assordarla con queste ciancie. Et le bacio la mano.
Di Napoli, a’ 20 di Ottobre, 1598».
(S. Quattromani, Scritti, cit., p. 157).

1599-1603

Quattromani si trasferisce a Cosenza, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Al 28 maggio 1603 risale la sua ultima lettera dell’epistolario, curato dal Rossi nel 1624, indirizzata A Francesco Antonio d’Amico, a Casole.

«A Francesco Antonio d’Amico, a Casole.
La lettera di Vostra Signoria mi ha tutto rallegrato, et tolto da ogni noia, et da ogni sospetto, perché io credea o che ella fusse inferma a letto, o che si fusse dimenticata et di me, et di tutti i suoi. Ma lodato sia il cielo, ché io mi ho pure certificato che ella sta bene, et che non ci ha bandito affatto dalla sua memoria, et dalla sua gratia. Ho ricevuto la sestina del Signor Moccia, ma così come io ce la diedi. Vorrei che ella ci havesse rasettato qualche cosetta, sì come ci proferse di voler fare. Qui si aspetta il Signor don Lelio Orsino, et viene con molta potestà et con molto desiderio di fare un Vespro Siciliano di tutti i cattivi. Venga felicemente. Hieri nel parlamento generale si conchiuse, che si vivesse per gabelle, et non per taglione; et sono stati eletti diece, i quali insieme col reggimento habbiano ad investigare sopra che cose habbiano a porsi queste gabelle. Credo che habbia inteso gli infelici successi de i Rhai, et perciò non gli scrivo. Sono molti dì, che io sono stato in cruccio, et in iscretio con Pacuvio, et non sono stati bastanti i prieghi del Signor Fra Mauritio, né di molti altri heroi a rappacificarci. Finalmente per chiamata et commandamento della madre, la quale veramente è una reina delle donne, hiermattina ci rappacificammo, et spero che non saranno più risse fra noi, et che da qui innanzi viveremo in eterna pace. La nemicitia era durata dal dì che partì Vostra Signoria, insino ad hieri mattina, et fu con gran torto di lui, sì come è avvenuto sempre. Qui è giunto il Signor Giovanni Maria, con la Signora Cornelia, e il Signor Mutio Sersale, i quali si raccommandano senza fine a Vostra Signoria, et ragioniamo spesso di lei, et delle sue honorate qualità, et tutti si dogliono, che habbia voluto abbandonare la patria, et tanti suoi amici, et parenti, per starsi hora in un casale, et hora in un altro. Ma perché ella vuol così, è di mestiere che ce ne diamo pace. Il Signor Guido le fa riverenza, et poiché ella non degna di honorare la sua picciola villetta con la presenza di lei, le farà parte delle frutte di quella. Il Signor Cosimo fa ogni dì nuovi sonetti in lode della Signora Cornelia, et è in molto pregio appo tutte queste Signore. L’altro dì, stando a tavola, il Signor Giovanni Maria gli volle mandare un pastone, con certe altre cose, et la Signora Cornelia non volle, et disse: “Io non vo’ in conto alcuno subornare i poeti; se pare a loro che in me sia qualche merito, scrivano di me quel che a lor piace, ché io non vo’ comprar queste lode. Oltre a ciò le lode, che ci dà il Signor Cosimo, non hanno a pagarsi con una cosuccia così bassa, ché a pena bastano i regni a pagarle”. Et, rispondendo il Signor Giovanni Maria, che ciò si facea, per segno d’amorevolezza, la Signora Cornelia soggiunse: “Et per segno d’amorevolezza io vo’ fare qualche cosa di zucchero, et mandarcela”. Et hora tutti sono addosso al Signor Cosimo, e il pregano, che faccia lor parte d’un tanto duono. Ma egli si beffa di tutti, et gode di questa sua felicità. Et le bacio la mano, et fo riverenza alla Signora Fulvia.
Di Cosenza, a’ 28 di Maggio, 1603».
(S. Quattromani, Scritti, cit., pp. 209-210; cfr. Lettere di Sertorio Quattromani gentil’huomo, & academico cosentino. Divise in due libri. Et la tradottione del quarto dell’Eneide di Virgilio del medesimo auttore, Napoli, Per Lazzaro Scoriggio, 1624, pp. 111-113).

19 novembre 1603

A 10 novembre 1603 risale, secondo Luigi De Franco, la data della sua morte (L. De Franco, La biblioteca di un letterato del tardo Rinascimento: Sertorio Quattromani, «Istituto Universitario Orientale di Napoli. Annali. Sez. Romanza», 38, 1996, pp. 49-77). La datazione si desume dal testamento del Quattromani, lasciato nella data appena riferita. Nel testamento vengono elencati tutti i beni del Quattromani, la maggior parte beni librari, ereditati per donazione dalla nipote Lucrezia della Valle. Cfr. C. De Frede, I libri di un letterato calabrese del cinquecento: Sertorio Quattromani (1541-1603), Napoli, Accademia Pontaniana, 1999.

 

Appendice

Dall’Istoria della città di Cosenza, manoscritto conservato
presso la Biblioteca Civica di Cosenza (ms. 20187, ff. 69r-76v).

Il seguente capitolo è stato pubblicato in S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, 1999, pp. 257-269. Il testo che segue presenta alcune differenze rispetto alla trascrizione curata da Lupi. Per comodità di consultazione e di riferimento, ho suddiviso il capitolo in paragrafi, corredando il testo di un apparato di note di carattere bibliografico.

 

Di Giano Parrasio ‹e altri cosentini›

<Aulo> Giano Parrasio
c. 69r-c. 70r

Giovanni Paolo Parisio, detto poi in tempo che i letterati si cambiavano i nomi Aulo Giano Parrhasio, fu uomo di molto giudizio e di molte lettere, e così dotto nella lingua greca e nella latina, che se ne portò il pregio di quanti valenti uomini fiorirono all’età sua. Lesse molti anni publicamente a Milano, e con tanta dottrina e con tanta eloquenza e con tanta soavità di voce che Gio. Iacopo Triulzio, capitano di estremo valore e pieno di anni e di gloria, era spesso ad ascoltarlo, quando egli leggea in catedra. Fu chiamato da Leone decimo a Roma, e con assai oneste [c. 69v] condizioni, dove lesse qualche tempo, non senza molta sua loda. Al fine, assalito dalla podagra, non essendo ancora molto vecchio se ne tornò alla patria, dove si morì fra gli abbracciamenti de’ suoi. Scrisse un commento sopra i tre libri di Claudiano Del ratto di Proserpina, sopra l’Ibi d’Ovidio, un volume delle cose che gli furono cercate dagli amici per lettere, diviso in XX libri, ma non ne furono dati fuori fuor che tre, i quali furono impressi a Parigi e dedicati a Ludovico Castelvetro. Costui fu d’ingegno così ferace e compose tanti libri, che se io non gli avesse veduti cogli occhi propri, non crederei mai che egli ne avesse potuto comporre un numero così grande. Ma egli portò al suo perfetto tutti questi libri, i quali si conservano tutti nella libraria di san Giovanni a Carbonara, che è in Napoli. Una esposizione sopra i tre libri dell’Epistole ad Attico, sopra il primo dell’Oratore, e sopra i Paradossi di Cicerone. Alcune annotazioni sopra Livio e sopra Lucio Floro e sopra i Commentari di Cesare, e sopra Valerio Massimo e sopra le Selve di Stazio. Un commento sopra l’Elegie di Tibullo, e sopra le Satire di Giovenale e di Persio, e sopra i sei primi libri dell’Eneide di Virgilio. Alcune annotazioni sopra i tre libri di Cornelio Tacito e sopra l’Epistole di Ovidio e sopra il primo libro dell’Ode di Orazio e sopra Valerio Flacco. Un trattato di Sibari e di Crati e della città di Turio. Un libro di epistole scritto a diversi amici. Un libro di tutti i suoi versi, dove sono così vaghe elegie e così nobili hendecasillabe, che non cedono punto agli antichi. Un libro di versi e di lettere scritte da diversi amici al Parrhasio. Un commento sopra il libro Degli uomini illustri, che va sotto nome di C. Plinio e che egli vuole, che sia di Cornelio Nepote. Portò da greco [c. 70r] in latino Pausania, scrisse una Rettorica in latino, che non è punto da sprezzare, un libro di proemi, sopra quegli libri che egli avea esposto nelle cattedre, et ultimamente una Apologia contra un certo Furio, che l’avea tocco e trafitto, piena di tanta dottrina e di cose così riposte, che io in questo genere non mi ricordo di aver letto cosa migliore.

Cfr. Auli Iani Parrhasii In Cl. Claudiani de raptu Proserpinae Libros commentarius longe eruditissimus, Basileae, R. Winter, 1539), un commento sopra l’Epistola di Orazio a’ Pisoni (rinvio a In Q. Horatii Flacci Artem Poeticam commentari luculentissima, cura et studio B. Martyrani in lucem asserta, Neapoli, I. Sultzbach, 1531; ma vd., in aggiunta, I. Parrhasii Liber de rebus per epistolam quaesitis, Parisiis, H. Stephanus, 1567). Utile il rinvio agli emendamenti di Quattromani a Gabriele Barrio (vd. il ms. GG 3 35/2, Roma, Biblioteca Angelica, cart., sec. XVI, cc. 25; ril. con Gab. Barrii Francicani De antiquitate et situ Calabriae Libri quinque, Romae, Apud Iosephum de Angelis, 1571. Alle cc. 1r-24r: Annotationes D.ni Sertorii Quattrimani in Barrium; mentre a c. 10v si legge: «Annotationes edidit potius Parrasius in Nasonis Ibin, quam Commentarios» (aveva edito, al contrario, le Epistolae heroides). L’auctoritas di Ermolao Barbaro (Castigationes Plinianae et in Pomponium Melam, Roma, E. Silber, 1492-93) spinge Parrasio a convalidare che negli emendamenti al libro 15 di Plinio, cap. 24, il libretto solito attribuirsi a Plinio Degli uomini illustri (che ha origine da Proca, re degli Albani) non sia di Plinio ma di Cornelio Nepote. Cfr., infine, Iani Parrhasii Rhaetoricae compendium, Basileae, I. Oporinus, 1539. 

Antonio Telesio
c. 70r-c. 70v

Antonio Telesio ebbe molte lettere e molte risposte, e fu il più pulito scrittore che fusse stato a’ suoi tempi. Lesse anche nella sua giovenezza publicamente a Milano e poi in Roma, e con molto applauso di tutta quella nobiltà; ed andavano spesso ad udirlo cardinali ed altri personaggi e signori; scrisse un libro dei colori ed un altro delle corone in prosa, e due libri di epistole, che non sono ancora date fuori, e con un stile puro e latino, e non lontano dire di Cesare e di Cicerone. Un libro di poemi, che s’impresse in molte città d’Italia e di Germania ed il quale da’ tedeschi e da molti valenti uomini, e franceschi ed italiani, è tenuto in molta stima. Un volume di poemi assai più vaghi dei primi e scritti con miglior stile, che non sono ancora dati in luce. Una tragedia intitulata Imber Aureus, che pose in maraviglia tutti i germani e che fece ammutire il Trissino. Una tragedia intitulata Orpheus, che è come una reina di quante tragedie si trovano oggi al mondo; siami lecito di usare così fatte parole: la quale non è ancor data fuori. Ma alcune brevi sposizioni, che egli fa sopra tutte le composizioni di Orazio e di Vergilio e di Giovenale e sopra le XII Vite di Svetonio e s‹opr›a le Filippiche di M. Tullio, le quali non so io perché siano tenute nascoste e con tanto danno dagli studiosi delle belle lettere, sono cose da metter meraviglia a [c. 70v] chiunque ha vaghezza di così fatte leggiadrie, perché non dice se non cose riposte e sottili e scioglie i nodi e le malavolezze con tante poche parole, che par che contenda di brevità con gli stessi autori che egli ha impreso a dichiarare.

Di Antonio Telesio cfr. le due raccolte curate da F. Daniele, Opera, Neapoli, Fratres Simonii, 1762; Carmina et epistolae quae ab editione neapolitana exulant, Neapoli, ex Typographia Regia, 1808; e A. Telesio, Poemata, Romae, in aedibus F. Minitii Calvi, 1524: la raccolta è dedicata a Giberti («Antonius Thylesius ad Io. Matthaeum Gybertum virum amplissimum Clementis VII P.M. Datarium opt. et sapientiss. Patronum suum»), comprendente i seguenti componimenti: Cyclops; Hortulus; Lucerna; Nenia de obitu patris; Nautarum labor; Turris de coelo percussa; Reticulum; Galatea; Tibia; Parma; Aeneas; De Prometheo et Cupidine; De iuvene personato; Prosopopeia ad rus suum; Alae cupidinis (carmen figuratum).

Bernardino Martirano
c. 70v

Bernardino Martirano fu di molta eloquenza ed ebbe molta cognizione e delle lingue e delle scienze. Ma fatto segretario del Regno di Napoli, assalito e quasi oppresso dalla molta quantità dei negozi, non poté darne molti frutti del suo ingegno pronto e vivace. Scrisse un libro di pistole assai pure e latine, e Gli amori di Aretusa, e di Narciso in ottava rima. E scrisse in lingua latina un libro delle famiglie di Napoli e di Cosenza, ma non se ne trovano se non pochi frammenti, poche reliquie e molti poemi in verso latino, che si leggono con gran diletto degli studiosi.

Sulle opere di B. Martirano, cfr. Biblioteca Nazionale di Napoli, Brancacciani, III.A.16: Ex commentariis Bernardini Martirani Panitti Caroli quinti Caesaris a secretis in hoc Regno Neapolitano De familiis Consentinis (altre versioni Ibid., Ms., XIII.C.65; XIV.E.12; Ibid., Società Napoletana di Storia Patria, Ms., XX.C.12: Commentariolum de aliquibus antiquioribus patriciis consentinis familiis; Ibid., Biblioteca Oratoriana dei Girolamini, Ms., Petri Lasenae Vita et alia: Ex commentariis Bernardini Martirani (versione del Commentariolum datata 1505); Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Ms., 630 (Codd. Ital., 303). Cfr. B. Martirano, Il pianto d’Aretusa, dato alle stampe postumo ne La seconda parte delle stanze di diversi autori (Venezia, G. Giolito, 1563, pp. 7-51, 133-150), curata dall’umanista lucano Antonio Terminio; Id., Il pianto d’Aretusa, a cura di T.R. Toscano, Napoli, Loffredo, 1993; Id., Aretusa; Polifemo, introduzione di A. Crupi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002. La prima edizione a stampa del Polifemo si trova in F. Fiorentino, Bernardino Telesio ossia studi storici su l’idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze, Le Monnier, 1874, vol. ii, pp. 420-465.

Coriolano Martirano
c. 70v-c. 71r

Parrà forse ad alcuno che io parli con troppa animosità degli scritti di Coriolano Martirano. Ma chi esaminerà con giudizio e con diligenza i suoi onorati componimenti, giudicherà che io dico assai meno di quello che dovrei. Costui ha un dire così candido, così grande, così breve e così latino, che può eguagliarsi con tutti quei antichi, che scrissero nei felici secoli di Cicerone. Anzi, se è lecito dirsi, si mostra più latino e più puro di quanti hanno mai scritto in questa lingua, perché quei grandi uomini erano forzati a non allontanarsi molto dalla favella dell’età loro, ma egli, che nacque in tempo nel quale la lingua latina non si parla più per le piazze e per luoghi publici, non togli nulla dal vulgo e sceglie dai libri dei migliori tutto l’oro puro e senza mondiglia, e tutte le gemme e tutti i fiori, e ne abbellisce [c. 71r] in maniera i suoi scritti, che non può vedersi più vaga pittura della sua. Di costui solea dire il cardinal Cantareno che egli scrivea più latinamente di quanti sono stati da M. Tullio in qua. E monsignor Giovanni Della Casa dicea che egli era signore dello stile, e che il volgea a suo modo come più gli piacea. Tradusse da’ Greci queste tragedie, la Medea, la Electra, le Bacche, le Phenisse, l’Ippolito, il Ciclope, e il Prometeo, e inalzati tanto con la divinità del suo ingegno, che va di pari con Euripide, con Sofocle e con Eschilo. Fece latine le comedie, intitolate il Pluto e le Nubi, e contende di purità di favella e di arguzia di motti con l’istesso Aristofane. Tradusse dodici libri della Odissea di Omero, e cinque dell’Iliade, e con tanta felicità, che l’istesso Omero, padre di tutti i poeti, non ha a sdegno di ragionare fra i Latini con la lingua di un tanto uomo; tradusse la tragedia intitolata Cristo da Gregorio Nazianzeno, ma se lascia dietro di molto spazio; scrisse due libri di lettere e uno di orazioni, così candide e così schiette e così pure e in istilo così attico, che paiono più tosto dettati o da Terenzio o da altro antico scrittore, che da moderno, perché tiene un certo dire, come mezzo fra Cicerone e Plauto, e così dolce, che non può dirsi più soave armonia di questa sua; portò anco da greco in latino gli Hinni di Omero, nel qual libro egli si compiacea assai più che in qualunque altro de’ suoi. Ma questo è perduto, o è ratenuto in carcere da persona che non crede che conti molto che si perdano i tesori della lingua latina.

Cfr. Coriolano Martirani cosentini, Epistolae familiares, Neapoli, 1556. Libro assai raro. In Napoli non ne esistono che due esemplari: uno posseduto dalla Società Storica Napoletana; l’altro, fra le edizioni quattrocentine della Bibl. Nazionale. Cfr. Christus Coriolani Martirani Cosentini episcopi tragoedia. Il Cristo tragedia di Coroliano Martirano vescovo di Cosenza trasportata in versi toscani, Parma, dalla Stamperia Reale, 1786 (anno della rappresentazione, come si legge nel verso della carta che precede il frontespizio).

Pietro Paolo Parisio
c. 71r-c. 71v

Pietro Paolo Parisio, dottor di legge, lesse molti anni la ragion [c. 71v] civile in Padova e in Bologna, e con molto suo onore e sodisfazione di tutti quei popoli, ed ebbe stipendio dal publico. Fu poi fatto auditor della camera, dove governò molti anni con molta singerità, e prudenza ultimamente fu inalzato alla dignità del cardinalato da Paolo terzo, e fu mandato al Conseglio di Trento insieme al cardinale Contareno e col cardinal Sadoleto. Compose quattro volumi di Consegli, i quali sono in molta stima, così appresso a coloro che spongono i nodi delle genti a’ studenti. Fece le aggiunzioni alle lettere di Bartolo, e commentò anche i Digesti e il Codice; ma gran parte di questi suoi scritti, che non furono pochi, né di picciolo pregio, si sono smarriti e perduti, e non sono per venire mai più in luce.

Su Pietro Paolo Parisio (1473-1545) cfr. S. Spiriti, Memorie degli scrittori cosentini, Napoli, Stamperia de’ Muzi, 1750 (rist. anast., Sala Bolognese, 1970, pp. 42-46); la voce a cura di F.L. Berra, in Novissinio Digesto Italiano, XII, Torino 1976, p. 398. Cfr. anche l’edizione dei Consilia, in quattro parti, Venezia, Sub signo Aquilae, 1593.  

Bartolo Quattromani
c. 71r-c. 72r

Bartolo Quattromani fu molto avanti nelle belle lettere e fu molto accorto scrittore, così in prosa, come in verso, e così nell’una, come nell’altra lingua scrisse alcuni versi, e fe’ alcuni motti da mettersi nei trofei e negli archi trionfali, quando l’imperatore Carlo V entrò in Cosenza, che furono grandemente lodati e dal Bembo e dal Molza, e ammirati da tutti. Ebbe molta cognizione delle lingue e della poesia, e in intendere il Petrarca ed Orazio e Lucrezio e tutti gl’altri poeti latini, e toscani trapassò tutti i letterati de’ suoi tempi. Scrisse tre libri di ode, e tre di epigrammi; fa un discorso sopra tutti gli istorici, che è degno di esser letto e mandato a memoria da chiunque si intende di così fatti mistieri. [c. 72r] Ma i suoi scritti s’avvennero in mano di fanciulli, i quali non sapeano, che importassero così fatti tesori, e non ne fecero molta stima, e furono la maggior parte lacerati e mandati via. Fu molto ben veduto ed accolto da tutti quei signori che furono in compagnia dell’imperatore, quando venne in Cosenza. Ad Alfonso Davolo, marchese del Vasto, disse che non avea udito persona che ragionasse meglio di lui e che gli desse più sodisfazione di lui.

Sul solenne ingresso trionfale di Carlo V in Cosenza, col testo delle allegorie e delle imprese che decoravano gli archi trionfali lungo il percorso del corteo imperiale, cfr. Il segnalato et bellissimo apparato nella felicissima entrata di la Maestà Cesaria in la Nobile città di Cosenza facto con lo particular ingresso di essa Maestà ordinatissimamente descritto, impressum Neapoli, s.t., 1536, Die XV Martii (adesso leggibile integralmente in D. Zangari, L’entrata solenne di Carlo V a Cosenza, Napoli, Casella Editore, 1940, pp. 25-30). 

Giovanni Antonio Pantusa
c. 72r

Giovanni Antonio Pantusa, vescovo della città di Lettere di Gragnano, fu uno dei primi teologi e filosofi de’ suoi tempi. Fu molto amato da Clemente settimo, e, quando egli o desinava o cenava, ordinava che il Pantusa proponesse qualche dubbio, e che poi il disputasse con quei valenti uomini che si trovano presenti quando egli era a tavola. E quando si ebbe nuova a Roma che il vescovo, che era allora nella città di Lettere, era passato in miglior vita, Paolo Terzo Farnese, che era allora pontefice, disse: «Io vo’ che il vescovato di Lettere si dia a persona che è letterato da dovero». E fra molte persone che gli si paravano innanzi ne scelse il Pantusa. Nel Conciglio, che si celebrò a Trento in tempo di Pio quarto, dove concorse la maggior parte dei prelati e de’ teologi di Europa, egli fu tenuto il primo fra tutti, e faceasi più stima del parer suo, che di qualunque degl’altri. Compose molte opere, le quali vanno per le mani degli studiosi. Egli fu tenuto fra i primi, e il suo parere fu sempre riputato savio e cattolico, e fu stimato al pari d’ogni altro dai migliori, ch’erano in q‹ue›l collegio. 

Bernardino Telesio
c. 72v-c. 73r

[c. 72v] Io non mi distendo in raccontare molte cose di Bernardino Telesio, perché la sua vita è stata scritta e dipinta da troppo più gran maestro, che non sono io, e da troppo più valorosa mano, che non è la mia. Scrive contra i princìpi, anzi contra tutta la filosofia di Aristotele. Ora io non vo’ far giudizio, qual di questi due grandi uomini si avvicini più al vero. Dirò questo solo, che la filosofia del Teleseo è tanto breve, che si apprende tutta in un dì, che l’una proposizione dipende dall’altra, che, come s’intende una sola volta, non si dimentica più, e che co’ i suoi princìpi si scioglie ogni dubio; e, quel che è di maggior momento, che è conforme al senso ed alla ragione, e che si avvicina più d’ogn’altra alle sagre lettere, e tanto quanto è lecito alle cose humane di avvicinarsi alle cose divine. Ma che maggior cosa può dirsi di costui, se egli dopo tanti secoli ha avuto ardire di formare una filosofia nuova e di tirarla dal principio insino al fine con li suoi propri princìpi e di abbattere tutta la dottrina di Aristotele, che è stato adorato come un dio da tutti i secoli, e da tutte le nazioni. Ma l’età che verranno dopo noi e che non saranno ingombrate da odio e da passione, daranno sovra ciò sano e singero giudizio. Quanto egli non sia stato eccellente nella poesia ed in comporre cose latine, si può comprendere che quei pochi versi che egli fe’ in lode d‹i› Giovanna Castriota, duchessa di Nocera, i quali sono tali, che sarebbono ammirati da Virgilio et dagli altri antichi, se essi fussero in vita e potessero farne giudizio. [c. 73r] Qualche altro epigramma, che altri ha fatto comporre da altri in lode delle sue istorie, e publicatolo come fatto dal Telesio e col nome del Telesio, non è mica suo; e maravigliomi come altri ardisca di vestirsi di quelle cose che non sarebbe per dir mai, se ben fusse posto al martirio. In tanto domestico di Giovanni Della Casa, che non si allontanò mai dal suo lato, e quando il Telesio non era col Casa, il Casa gli scrivea sempre di sua mano. Egli ha scritto tante delle lettere, che se ne potrebbe scrivere un volume ben grande.

Cfr. Ad Iohannam Castriotam carmen, in Rime in lode della Ill.ma et ecc.ma S.D. Giovanna Castriota Carrafa, Duchessa di Nocero, et Marchesa di Civita Santo Angelo, Scritte in varii tempi da diversi huomini illustri, Et raccolte da Don Scipione de’ Monti, Stampato nella Città di Vico Equense dell’Illustrissimo Signor Ferrante Carrafa, Marchese di San Lucido, Appresso Gioseppe Cacchi, 1585. 

Giovan Battista Amico
c. 73r-c. 73v

Furono nella nostra città tre valenti uomini in uno istesso tempo, e tutti amici e compagni, ed usciti da una istessa scuola, i quali passarono i nomi loro insino all’estreme parti del mondo. Coriolano Martirano, Bernardino Telesio, dei quali abbiamo già ragionato, Gio. Bat‹tis›ta d’Amico, che non fu punto inferiore a questi due. Costui fu molto esperto nella lingua latina e così fu intendente della lingua greca e della ebrea, che la ragionava così bene, come la calavrese. E portò molti libri, così dall’una, come dall’altra nella favella latina, e con molta sua loda. In intendere le cose di Platone ed Aristotele, ebbe assai pochi pari a suo dì. In così grande astrologo, che, non appagandosi di quel che avea scritto Tolomeo e gli altri astrologi illustri, si diede ad investigare nuove vie e nuove ragioni e non più intese, o pensate, dagli antichi, e compose nei primi anni della sua gioventù un libro, dove salva tutte le apparenze dei moti dei pianeti, senza usare eccentrici, o epicicli, cosa grande e di meraviglia, e tentata molte volte e sempre intorno dagli astrologi [c. 73v] antichi. Passò da questa a miglior vita, non avendo ancora fornito il venticinquesimo anno della sua età. E se i cicli avessero disteso il corso della sua vita a più longo termine, avrebbe aggiunto tal lume alla patria, che non si sarebbe mai estinto dalle tenebre della oblivione.  

Giovan Pietro de’ Buoni
c. 73v

Gio. Pietro de’ Buoni si diede tutto all’imitazione di Orazio e l’espresso in maniera che non ha a pentirsi di averci consumata molta fatica e molti anni. Scrisse quattro libri di ode e due di satire e due di pistole ed una Poetica in verso hesametro, co’ i quali si ha procacciato eterno nome fra gli uomini. Ma non è minore la gloria, che si ha acquistato colle prose, siccome si comprende dalle molte orazioni, che ha composto in lode di molti prencipi, e dalle molte lettere, che scrive a diversi amici. Fu tanto amato da Antonio Telesio e da Coriolano Martirano, che non si sono sdegnati inalzarlo co’ i loro scritti insino alle stelle. 

Carlo Giardino
c. 73v-c. 74v

Carlo Giardino fu valente uomo in grammatica e fu molto intendente delle minuzie della lingua latina, e non fu in tutto ignorante delle bellezze della lingua greca. Fu in tanto pregio appresso i nostri maggiori, che ogni suo detto era tenuto come uno oracolo. Insegnò molti anni lettere a’ giovani di Cosenza e dalla sua scuola, come dal cavallo troiano, uscirono molti uomini eccellenti, come Gio. Berardino Telesio, Coriolano Martirano, Gio. Bat‹tis›ta di Amico, ed altri senza numero. Fece una lunga sposizione, sopra Valerio Flacco, ed una breve sopra le Vite dei grammatici ed oratori illustri, scritte da Svetonio [c. 74r] Tranquillo, le quali non sono da sprezzarsi. Ma, perché i suoi libri pervennero in mano di persone poco intendente di queste cose, si sono perduti con gran danno degli uomini studiosi. La cura delle cose famigliari, che sostenne Girolamo del Maio, mentre egli visse, le poche facultà, che gli assegnò la fortuna, avendo riguardo a’ suoi meriti, la improvisa morte, che gli fu tosto addosso, non lasciò distendere il suo nome per tutte le parti del mondo abitabile, come era ragionevole che avesse a distendersi, se egli avesse potuto rassettare i suoi scritti. Passò molto a dentro nelle cose greche e latine, e fu tanto domestico, di Omero, e di Demostene, e di Aristotele, e di Platone, e di Cicerone, e di Virgilio, e di Orazio, e degli altri antichi Greci e Latini, che intese tutte le loro bellezze e penetrò tutti i loro segreti. Né lasciò di diportarsi con gli scrittori nostri toscani e di esaminargli minutamente. Non si legge parole in tutte le composizioni d’Ippocrate e di Galeno e di Cornelio Celso, che egli non l’avesse a mente e su le dita. Parrà forse a molti che io non mi allegro punto dal vero. Distese molti trattati e scrisse molte cose, così in prosa, come in verso. Ma perché i suoi scritti caddero in mano di persone poco intendenti, e di fanciulli e di femine, e furono malmenati e dispersi, non sono pervenuti alla luce degli uomini. Ma quantunque egli non abbia lasciato niuno parto del suo felicissimo ingegno, lasciò non dimeno così onorati figliuoli, che facevano in vivo ritratto delle virtù del padre e della beltà della madre; e se non fussero stati sempre [c. 74v] infestati e combattuti da diverse sventure, e se non fussero stati sopragiunti dalla morte negli anni quasi puerili, avrebbono disteso le glorie del padre, e della nostra patria insino ai termini dell’oceano. Ecci pure rimasto così nobil pegno di lui, che può ristorare la perdita di tutti gli altri suoi parti. E questo è una figliuola nomata Urania, di beltà così rara e così incomparabile, che è stata mirata dal mondo, come un miracolo, dove la natura abbia adoprato ogni suo ingegno e ogni sua forza. Né è stato minore in lei il valore, l’ingegno, la honestà della vita, e la pietà verso Dio. E se il cielo ci avesse conceduto scrittore, che avesse raccolto i suoi pregi e intessuto la istoria delle sue lodi, la patria nostra potrebbe opporre questa sola a quante mai ne ha prodotto la Italia e la Grecia.

Cfr. N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli, Bulifon, 1678, pp. 58-59; Girolamo Marafioti, Chroniche et Antichità di Calabria, lib. IV, p. 253.

Francesco del Mojo
c. 74v

Francesco del Moio fu quasi uguale a Girolamo suo fratello, in molto più avanzati, se è lecito dirsi, nelle cose grec‹h›e. Ma non ebbe ingegno, così vago e così poetico.  

Vincenzo Ponterio
c. 74v-c. 75r

Vincenzo Ponterio avanzò forse nelle medicine quanti mai sono stati da molti anni in qua, né perciò lasciò mai di investicare i secreti della filosofia e della lingua greca e latina; fece una sposizione sopra i sei libri di Lucrezio, così dotta e così piena di dottrina e di cose scelte e riposte, che parea che fusse scritta da M. Varrone, o di qualche altro valente uomo di quei tempi. Ma fugli involato e caddene in tanto dispiacere, che, dopo questa perdita, non fu veduto mai ridere. Ed è maraviglia come in tanto dolore egli non si fusse morto. [c. 75r] Fece un libro di annotazioni sopra l’Istoria Naturale di C. Plinio, le quali avrebbono fatto stare a dietro Hermolao e quanti mai vi hanno scritto sopra; ma tolto dal mondo, per mano d’un micidiale scellerato, non ebbe spazio di condurlo al suo fine. Ebbe in molta riverenza Coriolano Martirano, ed il Martirano fe’ molta stima del Pontano. E leggonsi tante lettere dall’uno all’altro, che se ne potrebbe formare un volume ben grande. 

Francesco Vitale
c. 75r

Francesco Vitale, essendo chiamato da molte città dell’Italia a leggere publicamente nei loro studi, come buono ed amorevole cittadino, preferì la patria a tutte l’altre città, e lesse publicamente ed ammaestrò la gioventù cosentina nelle belle lettere. Della sua scuola ne sonno usciti molti valenti uomini, e, fra gl’altri, Giulio Cavalcanti, Peleo Ferrao, Francesco e Fabrizio Della Valle e Marc’Antonio Telesio, i quali fanno conoscere di che eccellenza sia stato il libro maestro: hanno portato le lodi del maestro dall’una parte del mondo insino all’altra. Ha scritto molte orazioni e molte epistole e un libro di annotazioni sopra diversi autori e due apologie contra un suo adversario, che l’avea grandem‹en›te offeso, e un volume intiero di lettere a Sartorio Quattromani, il quale egli amò sopra tutti gli altri discepoli. Fece un commento sopra i tre libri Delle leggi di M. Tullio, nel quale si ha lasciato di molto spazio a dietro Petro Ramo ed Adriano Turnebo. Cominciò un libro Dei magistrati romani, ma non ebbe tempo di portarlo al suo fine.

Cfr. Francisci Vitalis consentini Pro amplissimo viro Fabricio Pignatello, Marchione Circlarii, Praeside in Brutiis, Oratio ad Viros provinciales, et Patres consentinos, Neapoli, M. Cancer, 1566.

Alfonso Marzano
c. 75v

[c. 75v] Alfonso Marzano, perché era di vita santa e rimessa e perché cuoprìa sempre con l’ombra della sua umiltà i raggi della sua dottrina, non fu mai posto in numero dei letterati grandi, ma egli fu tale, che la città nostra ha a gloriarsene eternamente. Fu molto dotto nelle lettere greche e latine e scrisse assai bene e publicamente e nell’una lingua e nell’altra, et in prosa ed in verso. Mostransi alcune sue ode, alcune sue pistole assai pure e latine e scritte all’usanza de’ buoni; laonde sono grandemente commendate da chi s’intende di così fatto mistiero. E più cose avrebbe scritto, se non fusse sempre stato rattenuto dalla sua molta modestia. Prese ultimamente ordine sacro, e dessi tutto allo studio delle sacre lettere, e fecemi tanto profitto, che avrebbe potuto stato a fronte con i primi maestri in divinità, che sono stati a’ tempi nostri. Compose molti poemi su le istorie del Testamento vecchio, i quali, se si daranno mai fuori, faranno conoscere al mondo che egli non fu meno eccellente poeta, che teologo.

Cfr.Rime et versi in lode della illustrissima et eccellentissima Signora Donna Giovanna Castriota Carrafa, Vico Equense, Gioseppe Cacchi, 1585, p. 76. 

Giovanni ‹Paolo› Cesario
c. 75v-c. 76r

Giovanni Cesareo fu d’una memoria tenacissima: avea a mente tutte l’opere di M. Tullio, tutti i poeti e tutti gl’istorici e tutti i grammatici. Tutte le voci della lingua latina e della greca e tutte le istorie e quante favole furono mai scritte, o ricordate, dagli scrittori. Ebbe tanta cognizione delle minuzie della lingua latina, che tutti i valenti uomini, che dimoravano in [c. 76r] Roma, ricorrevano a lui per consiglio, come Marc’Antonio Flaminio, Honorato Fascitello e Gabriello Faerno ed altri. Né ardivano di dar fuori le cose loro, se prima non erano rivedute dal Cesareo. Ma non fu molto felice in comporre, così prose, come versi, e non facea cosa che corrispondesse alla grandezza della sua fama.

Cfr. Giovanni Paolo Cesario, Commentarius in triginta duas Horatii Flacci Odas, pubblicato dal tipografo romano V. Lucchini nel 1565 e indirizzato al fratello Petronio. Cfr. anche G. Cianflone, Nella scia del Parrasio: i due Cesario, «Archivio Storico per le Province Napoletane», lxxx, 1961, pp. 255-267. 

Petronio Cesario
c. 76r

E Petroneo Cesareo, suo fratello, il quale non aggiungea alla terza parte della sua letteratura, fu miglior poeta di lui, e facea versi più vaghi e più dolci. Lesse molti anni in Roma nello studio publico, e non senza sua loda, ma con non molta sodisfazione di alcuni ingegni delicati e bizzarri, perché egli si diffendea tutto nella dichiarazione dei vocaboli, e nello spiegamento delle favole e delle istorie, e rare volte dicea cosa sottile, o riposta, che appartenesse, o alla intelligenza, o all’arteficio dell’autore, che egli sponea. E dimandato perché egli leggea a quel modo, rispondea, perché i suoi discepoli, i quali erano giovanetti di prima barba, non sarebbono stati capaci di quegli artifici, e sarebbono abbagliati e confusi. Compose un libro di orazioni, e un altro di versi, ma sono più latini, che vaghi. Fece una lunga sposizione sopra il primo libro delle Ode di Orazio, che non è da sprezzarsi, perché vi sono raccolte di molte cose, che non sono sapute se non da pochi.  

Matteo Catroppo
c. 76r-c. 76v

Matteo Catroppo fu uomo di belle lettere e di pulito giudizio, facea versi senza pensarci ed improvisava così in latino, come in toscano. E questi versi erano tali, che pareano pensati molti anni e scritti con molta cura. Fu fatto poeta dalla natura, ma egli accrebbe questo duono [c. 76v] con l’arte e con l’esercizio, e divenne tale in questo mistiere che i nostri cittadini hanno a gloriarsene eternamente. Compose un libro di versi latini e un altro di rime, e più avrebbe fatto, se non fusse stato costretto a procacciarsi il pane con difendere i suoi clienti in corte. 

Fabrizio Della Valle
c. 76v

Fabrizio Della Valle fu veramente un miracolo di natura. Ebbe così bene la lingua latina buona e dei secoli antichi, che la parlava senza molta malagevolezza. Scrivea sei e sette lettere in un matino e non mica brevi, come altri fa nella lingua propria e natia, e così pure e latine, che parea, che fussero state dettate nei secoli di Cicerone. Ebbe così grande cognizione delle bellezze della favella toscana, che non ebbe da invidiare i più esperti maestri, che sono in quella. Intese anco i segreti della lingua spagnuola, e della francesca, e così bene, fra Francesi parea francese, e fra Spagnuoli spagnuolo. In molto avanti nelle poesie e nell’arte oratoria, ed ebbe assai buona cognizione delle istorie così greche, come romane. Fu il più vago e il più dolce e il più accorto parlatore che fusse stato da molti anni in qua, e sapea trattenere i prencipi e i gran maestri con ogni maniera di ragionamento. Fu liberale e cortese ed assai più di quel che conviene a privato gentiluomo, e cosumò in assai poco tempo da ventimilia fiorini in servigio degli amici e compagni; passò poi in Roma, e perché non vi potea vivere, come era visso negli anni a dietro; trapassò con un suo amico alla guerra di Borgogna dove si morì d’infermità non senza universale dispiacere di quante persone il conobbero.

 

Bibliografia

Manoscritti

a)    Città del Vaticano, B.A.V., Reg. Lat. 1602, cart., misc., sec. xvi ex.-xvii, cc. 423, mm. 185x130.

Contiene i seguenti scritti di Sertorio Quattromani:
cc. 7r-9r, Sonetto di Ms. della Casa esposto dal Sr. Sertorio Quattromani Achademico Cosentino
cc. 9r-12v, Oratione di Marco Catone tradotta dal medesimo S.rio Q.ni
cc. 236v-237v, Giuditio di S. Q. sopra alcune stanze di Torquato Tasso

b)    Città del Vaticano, B.A.V., Reg. Lat. 1603, cart., misc., sec. xvi ex.-xvii, cc. 574, mm. 190x130.

Contiene i seguenti scritti di Sertorio Quattromani:
cc. 19v-22v, Commento a tre sonetti del Casa
cc. 22v-23v, Lettera ad Annibal Caro
cc. 23v-24r, Lettera a Francesco Mauro
c. 24r, Lettera al S. Principe della Scalea
c. 28r-v, Lettera a G.B. Ardoino
cc. 28v-29r, Lettera a Vincenzo Bombino
c. 29r-v, Lettera a F.A. d’Amico
c. 30r-v, Lettera a Fabrizio Marotta
cc. 31r-35r, Oratione di Marco Catone
cc. 49r-50v, Lettera a Gio. Maria Bernaudo
cc. 50v-52r, Lettera a G.V. Egidio
cc. 52r-54r, Lettera a Vincenzo Bilotta
cc. 140r-144v, Parallelo tra il Petrarca et il Casa del Q.ni
cc. 147r-157v, Delle metafore
cc. 220r-223r, Parallelo tra il Petrarca et il Casa
cc. 255r-280v, Poetica di Orazio tradotta da Quattromani (in prosa)
cc. 284v-285r, Sentimento del Q.ni della Poet.ca d’Orat.o
cc. 285v-306r, La Poetica d’Orat.o volgarizzata da Sartorio Q.ni (in versi)
cc. 320r-324r, Oratione di Marco Catone
cc. 327r-332r, A Torquato Tasso Il Monta.no Acc.co Cose.no
cc. 332r-344v, Delle metafore
cc., 426v-427r, Lettera ad Horatio Pellegrino
cc. 427r-428r, Lettera a Teseo Sambiase
c. 428v, Lettera alla Duchessa (probabilmente si tratta della duchessa di Nocera)
cc. 428v-429r, Lettera a Teseo Sambiase
cc. 430r-431v, Lettera a Teseo Sambiase
cc. 431v-433r, Lettera a Teseo Sambiase
cc. 433v-434v, Lettera a Teseo Sambiase

c)    Città del Vaticano, B.A.V., Reg. Lat. 2020, parte i, misc., sec. xvi, diversi formati.

Contiene:
c. 231r, Autografo della Lettera al Cardinale Guglielmo Sirleto, 1583.

d)    Cosenza, Biblioteca Civica, ms. 20187, cart., sec. xvii ex.-xviii in., cc. 3r-76v, mm. 265x190; ex libris: “Bibliothecae Marchionis D. Matthaei de Sarno”:
Istoria della Città di Cosenza | Di Sertorio Quattromani
(ora in prima edizione moderna, trascrizione integrale a cura di Michele Orlando, tesi di dottorato di ricerca in Italianistica, Università di Bari, 2006).

e)    Cosenza, Biblioteca privata della Famiglia De Bonis, cart., 1889, pp. I-60, mm. 290x200:
Copia | delle | Lettere Originali | Del Sigr. Sertorio Quattromani | dirette Al Sig.r Giovanni Maria Bernaudo | da una raccolta | (cucite in fascicolo) | Favoritami dal Sigr. Frascritto Bombini | 1889

f)    Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Palatino 1036, cart., sec. xvi ex., cc. 71, mm. 205x150; ex libris: “Vinc[entii] M[ariae] Kar[aphae]”:
Luoghi difficili del Bembo

g)    Napoli, Biblioteca Nazionale, XIII E 50, cart., misc., sec. xvi, cc. 48, diversi formati. Manuscripta autographa P. Summontis et aliorum aetate eius clariorum, p. 431:
c. 29r, Autografo della Lettera a S. Reski, 1599

h)    Roma, Biblioteca Angelica, GG 3 35/2, cart., sec. xvi, cc. 25; rilegato con Gab. Barrii Francicani De Antiquitate et situ Calabriae libri quinque, Romae, Apud Iosephum de Angelis, 1571:
cc. 1r-24r, Annotationes D.ni Sertorii Quattrimani in Barrium.

 

Opere a stampa

a) La philosophia di Berardino Telesio ristretta in brevità, et scritta in lingua toscana dal Montano Academico Cosentino, alla Eccellenza del Sig. Duca di Nocera. Con Licenza de’ Superiori. Marchio ed., Napoli, appresso Giuseppe Cacchi, 1589.

b) Al Ilustre S. Gioan Maria Bernaudo, in Le Rime del sig. Gio. Batt. Ardoino ... In morte della signora Isabella Quattromani sua moglie, In Napoli, Appresso Gioseppe Cacchi, 1590.

c) Le historie de monsig. Gio. Battista Cantalicio, vescovo di Ciuita di Penna, et d'Atri, delle guerre fatte in Italia da Consaluo Ferrando di Aylar, di Cordoua, detto il gran Capitano, tradotte in lingua Tosgana dall'Incognito Academico Cosentino, a richiesta di Gio. Maria Bernaudo, In Cosenza, per Luigi Castellano, 1595.

d) Le historie de monsignor Gio. Battista Cantalicio, vescouo di Ciuita di Penna, & d'Atri. Delle guerre fatte in Italia da Consaluo Ferrando de Aylar, di Cordoua, detto il gran capitano. Tradotte in lingua toscana dall'incognito academico Cosentino, a richiesta di Gio. Maria Bernaudo, Nuouamente corretta, & ristampata, In Cosenza: per Leonardo Angrisano, e Luigi Castellano, 1597 (In Cosenza, ad instanza di Enrico Bacco libraro in Napoli, 1597).

e) Le historie di monsig. Gio. Battista Cantalicio, vescouo d'Atri, et di Ciuita di Penna; delle guerre fatte in Italia da Consaluo Ferrando di Aylar, di Cordoua, detto il gran capitano, tradotte in lingua toscana dal signor Sertorio Quattromani, detto l'Incognito Academico cosentino, a richiesta del sig. Gio. Maria Bernaudo, In Napoli, appresso Gio. Giacomo Carlino, ad istanza di Henrico Bacco, alla libraria dell’Alicorno, 1607.

f) Sposizione delle Rime di Monsignor della Casa, stampata dietro le Rime e Prose d'Orazio Marta, in Napoli, appresso Lazzaro Scoriggio, 1616.

g) Lettere di Sertorio Quattromani gentil’huomo, & academico cosentino. Divise in due libri. Et la tradottione del quarto dell’Eneide di Virgilio del medesimo auttore, All’Illustrissimo, & Eccellentissimo Signor Marchese Della Valle, & c., In Napoli, Per Lazzaro Scoriggio, 1624.

h) Sertorio Quattromani Gentilhuomo & Accademico Cosentino, Lettere diverse. Il 4. libro di Vergilio in verso Toscano. Trattato della Metafora. Parafrasi Toscana della Poetica di Orazio. Traduzione della medesima Poetica in verso Toscano. Alcune annotazioni sopra di essa. Alcune poesie Toscane, e Latine, Napoli, nella stamperia di Felice Mosca, 1714.

i) Gabrielis Barrii Francicani, De Antiquitate et situ Calabriae libri quinque, nunc primum ex authographo restitutos ac per capita distributi. Prolegomena, Additiones, et Notae. Quibus accesserunt animadversiones Sertorii Quattrimani patricii consentini, Romae, ex Typographia S. Michaelis ad Ripam Sumptibus Hieronymi Mainardi Superiorum permissu. 1737.

j) Sertorio Quattromani, Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli nel MDCCXIV da Matteo Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da Luigi Stocchi, Castrovillari, Dalla Tipografia del Calabrese, 1883.

 

Fonti e studi

L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza, Tipografia Municipale, 1869-1877, vol. ii, p. 87.

A. Altamura, Noterelle sul Cinquecento calabrese, «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», xix, 1950, pp. 54-57.

D. Andreotti, Storia dei cosentini (Napoli 1869-1874), a cura di S. Di Bella, Cosenza, Pellegrini Editore, 1978, pp. 137-154, 217-230, 304-311.

R. Bondì, Introduzione a Telesio,Roma-Bari, Laterza, 1997.

A. Borrelli, “Scienza” e “scienza della letteratura” in S. Quattromani, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, Napoli, Guida, 1992, pp. 271-296.

L. Borsetto, La “Poetica d’Horatio” tradotta. Contributo alla studio della ricezione oraziana tra Rinascimento e Barocco, in Orazio e la letteratura italiana: contributi alla storia della fortuna del poeta latino,Atti del Convegno (Licenza, 19-23 aprile 1993, celebrazioni del bimillenario della morte di Quinto Orazio Flacco), Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, pp. 188-193.

L. Borsetto, Quattromani Sertorio, in Enciclopedia oraziana, vol. III, sezione 15, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1998, p. 447.

L. Borsetto, “Pulzelle” e “Femine di mondo”. L’epistolario postumo di S. Quattromani, in Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di A. Chemello, Milano, Guerini e Associati, 1998, pp. 143-171.

I.C. Capacius, Illustrium mulierum et illustrium litteris virorum Elogia, Neapoli, I.I. Carlinus & C. Vitale, 1608, pp. 328-329.

B. Chioccarello, De illustribiis scriptoribus Regni Neapolitani (1642), Biblioteca Nazionale di Napoli, ms. XIV A 28, cc. 198v-199r.

T. Cornacchioli, Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, Cosenza, Pellegrini, 1985.

F. Cozzetto, Aspetti della vita e inventano della biblioteca di S. Quattromani attraverso un documento cosentino del Seicento, «Periferia», 27, 1986, pp. 31-53.

P. Crupi, Storia della letteratura calabrese. Autori e Testi, vol. ii, Cosenza, Periferia, 1994, pp. 15-22, 25-59, 209-251

L. De Franco, Filosofia e scienza in Calabria nei secoli XVI e XVII, Cosenza, Periferia, 1988, pp. 63-64, 123-127.

L. De Franco, Introduzione a Bernardino Telesio, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1995.

L. De Franco, La biblioteca di un letterato del tardo Rinascimento: S. Quattromani, «Annali dell’Istituto Universitario Orientale», xxxviii, 1996, pp. 49-77.

C. De Frede, I libri di un letterato calabrese del Cinquecento (S. Quattromani, 1541-1603), Napoli, Accademia Pontaniana, 1999.

C. De Frede, Un letterato del tardo Cinquecento e i suoi libri (S. Quattromani, 1541-1603), «Atti dell’Accademia Pontaniana», n.s., xlvi, 1997/1998, pp. 119-129.

P. De Seta, L’Accademia Cosentina, Cosenza, Editrice Casa del Libro, 1965.

S. Debenedetti, Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino, Loescher, 1911, pp. 17, 38, 180-181, 267.

M. Egizio, Vita di Sertorio Quattromani Gentiluomo, & Accademico Cosentino scritta da Matteo Egizio tra gli Arcadi detto limaste Pisandeo, in Sertorio Quattromani gentiluomo & accademico cosentino, Lettere diverse, Napoli, nella stamperia di Felice Mosca, 1714 (rist. in S. Quattromani, Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli nel MDCCXIV da Matteo Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da Luigi Stocchi, Castrovillari, Dalla Tipografia del Calabrese, 1883, pp. 17-56).

G. Ferroni, A. Quondam, La “locuzione artficiosa”, teoria ed esperienza della lirica a Napoli nell’età del Manierismo, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 149-164.

E.E. Filice, Sertorio Quattromani. Accademico cosentino, Cosenza, Ardor, 1974.

L. Firpo, La proibizione di Telesio, «Rivista di Filosofia», xlii, 1951, 1, pp. 30-47.

A. Fratta, Il “Ristretto” di S. Quattromani nell’ambito delle traduzioni scientifico-filosofiche del secondo Cinquecento, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, a cura di R. Sirri e M. Torrini, Napoli, Guida, 1992, pp. 297-314.

E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 19792.

L. Giustiniani, La Biblioteca storica e topografica del Regno di Napoli, Napoli, Nella stamperia di Vincenzo Orsini a spese del libraio Vincenzo Altobelli, 1793, p. 24.

G. Gorni, Un commento inedito alle “Rime” del Bembo da attribuire a S. Quattromani, «Schifanoia. Notizie dell’Istituto di Studi Rinascimentali di Ferrara», 15-16, 1995, pp. 121-132.

F. Lattari, Nuove notizie su S. Quattromani, in S. Quattromani, Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli nel MDCCXIV da Matteo Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da Luigi Stocchi, Castrovillari, Dalla Tipografia del Calabrese, 1883, pp. 369-374.

A. Lombardi, Discorsi accademici ed altri opuscoli, Cosenza, G. Migliaccio, 1836.

F.W. Lupi, Telesio, Della Casa e Quattromani, «Quaderni del Rendano», ii, 1988, 3, pp. 81-85.

F.W. Lupi, S. Quattromani interprete di Tasso, in Torquato Tasso quattrocento anni dopo, a cura di A. Daniele e F.W. Lupi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997, pp. 91-113.

F.W. Lupi, Alle origini della Accademia Telesiana, Cosenza, Brenner, 2011.

F. Mango, Gli amori del Quattromani, in Note letterarie, Palermo, Tipografia “Lo Statuto”, 1894, pp. 36-45.

R. Meliadò, Sertorio Quattromani, Reggio Calabria, Tipo-Lito La Rocca, 1969.

C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli, Tipografia Dell’Aquila di V. Puzziello, 1844.

V. Napolillo, La poetessa Lucrezia della Valle e il disegno culturale di S. Quattromani, «Calabria Letteraria», xlv, 1997, pp. 33-36.

V. Napolillo, Fabrizio della Valle nelle lettere e nel profilo storico del Quattromani, «Calabria Letteraria», xlv, 1997, pp. 82-84.

V. Napolillo, Aulo Giano Parrasio e l’Accademia Cosentina, «Atti dell’Accademia Cosentina», 1993-1994, pp. 223-238.

L. Nicodemi, Addizioni copiose … alla Biblioteca Napolitana del Dottor Nicolò Toppi, Napoli, Salvator Castaldo Regio Stampatore, 1683.

M. Orlando, Un progetto storiografico di fine Cinquecento: l’Istoria della città di Cosenza di Sertorio Quattromani, in Forme e generi della tradizione letteraria italiana, Bari, Graphis, 2005, pp. 53-73.

M. Orlando, L’identità regionale della Calabria nella cultura dell’Umanesimo italiano ed europeo, «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», lxxii, 2005, pp. 31-81.

M. Orlando, Sertorio Quattromani. Istoria della città di Cosenza: introduzione, testo, note, Tesi di Dottorato di ricerca in Italianistica, xviii ciclo, Università degli studi di Bari, 2006.

M. Orlando, Sulla cultura umanistica in Calabria, «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», lxxiii, 2006, pp. 121-144.

A. Protetty, La critica e le lettere di S. Quattromaniaccademico cosentino del sec. XVI, Catanzaro, Stabilimento Tipografico G. Silipo & Comp., 1908.

S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1999.

E. Sergio, Bernardino Telesio. Una biografia, Napoli, Guida, 2013.

S. Spiriti, Memorie degli scrittori cosentini, Napoli, Muzi, 1750 (rist. anast., Bologna, Forni, 1970), pp. 7-13.

G. Tancredi, Sertorio Quattromani (umanista e critico). Appunti per una monografia, Siracusa, Tipografia La Provincia, 1899.

G. Terracina, Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Napoli, Nicola Gervasi, 1757.

N. Toppi, Biblioteca napoletana et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli, Bulifon, 1678, pp. 229-233.

C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese: Aulo Giano Parrasio, Manziana, Vecchiarelli, 1987.

E. Troilo, Sertorio Quattromani, introduzione a Montano Accademico Cosentino (S. Quattromani), La filosofia di B. Telesio, Bari, Società. Tip. Editrice Barese, 1914.

D. Zangari, Di un manoscritto inedito di S. Quattromani e delle sue relazioni col Tasso, «La Cultura Calabrese», 1930, pp. 1-25.

A. Zavarrone, Bibliotheca calabra, Neapoli, J. de Simone, 1753 (rist. anast., Bologna, Forni, 1967), pp. 112-113.