di Emilio Sergio

1482

Antonio Telesio nasce a Cosenza da Berardino Telesio (?-ca.1518/1519), nonno del filosofo Bernardino, e da Giovanna Quattromani (fl. 1470-1520).

Come il suo illustre conterraneo, Aulo Giano Parrasio (1470-1521), Antonio Telesio può aver ricevuto impulso e stimolo a dedicarsi agli Studia Humanitatis grazie al movimento umanistico che animò la cultura cosentina alla fine del xv secolo e agli inizi del xvi, grazie alla presenza di maestri illustri di lettere greche e latine, come Tideo Acciarino Piceno (che resta a Cosenza almeno fino al 1494) e Crasso Pedacio (del quale, attraverso l’epistolario parrasiano, si ha notizia almeno fino al lasso di tempo che va dal 1511 al 1514, periodo nel quale Parrasio si trova a Cosenza).

1517-1518

Antonio Telesio lascia la città di Cosenza e si reca a Milano, portando con sé suo nipote Bernardino. A Milano Antonio rimane verosimilmente fino al 1521, quando Prospero Colonna (1452-1523), alleato di Carlo V, caccia dal capoluogo lombardo il governatore francese Lautrec (Odet de Foix, 1484-1528). Al 1522 risalgono i tumulti che culminarono nella sconfitta, nella famosa battaglia della Bicocca, dell’esercito francese da parte delle truppe imperiali. È dunque probabile che Antonio si sposti da Milano, con il nipote Bernardino, già nel 1521. Di certo, nel 1523 si trasferiscono a Roma dove Antonio pubblica un’Epistola ad Alexandrum Cacciam Florentinum ob Clementis VII. Pontificatum Maximum (Romae, F. Minitium Calvum). L’epistola reca la data del 13 dicembre 1523.

febbraio 1519

Antonio Telesio compone e pubblica una Oratio in funere Ioh. Iacobi Trivultii (Mediolani, per Augustinum de Vicomercato), scritta in memoria di Gian Giacomo Trivulzio (1440-1518). L’orazione fu letta dal Telesio nel corso della solenne cerimonia funebre che si tenne il 19 gennaio.

La presenza di Antonio Telesio a Milano è confermata da diverse testimonianze. Oltre al Trivulzio, in questo periodo egli frequenta diversi membri dell’intellettualità milanese. Esercitando l’attività di professore di greco e di latino, Antonio ebbe tra i suoi allievi, oltre al nipote Bernardino, anche alcuni nomi illustri, fra cui Gian Giacomo Ammiano e Rodolfo Collino, che a partire dagli anni Venti ricopriranno rispettivamente gli incarichi di Rettore e professore di latino, l’uno, e di professore di greco, l’altro, nel celebre Collegio di Zurigo. Sul periodo milanese, la più autorevole delle fonti resta la biografia di Antonio Telesio scritta da Francesco Daniele nel 1762, pubblicata nell’edizione delle opere di Antonio Telesio (F. Daniele, Antonii Thylesii Consentini Vita, in Opera, Neapoli, excud. Fratres Simonii, 1762, pp. x-xi: «Hinc Mediolanenses singulari flagrantes studio patriam Academiam viris omni disciplinarum genere ornatissimis augendi exornandique, eum [Antonius Thylesius] amplo et magnifico constituto stipendio, acciverunt, ut publice Graecos Latinosque scriptores iuventuti suae interpretaretur [...]. Inter alios sollertissimos discipulos qui eum Mediolani docentem frequentes audivere, recensetur Johannes Iacobus Ammianus [...], Rodulphus Collinus [...] et Bernardinus Thylesius fratris filius, qui illuc Consentia se contulerat, quo commodius apud patruum bonis litteris vacaret». Già Matteo Bandello (1485-1561), nelle sue Novelle (edite per la prima volta in Lucca, per Vincenzo Busdrago, 1554), in una lettera a Mons. Giovanni Gloriero, ricorda Antonio Telesio a Milano, nel convento delle Grazie, in compagnia dei dotti Stefano Negro e Valtero Corbetta: «Sempre di voi (Mons. Giovanni Gloriero) sono stato ricordevole, dopo che un dì nel convento de le Grazie di Milano, in compagnia del dotto messer Stefano Negro, di messer Valtero Corbetta, uomo ne l’une e l’altra lingua erudito (e se male non mi sovviene, credo ci fosse anco messer Antonio Tilesio) dei Commentari delle lezioni antiche di Celio Rodigino a lungo ragionammo» (M. Bandello, Le novelle, in Tutte le opere di Matteo Bandello, a cura di F. Flora, Milano, Mondadori, 1942, p. 1521).

1521-1522

Antonio Telesio si trasferisce a Roma, ricoprendo la cattedra di eloquenza che era stata affidata al Parrasio sotto Leone X. Paolo Giovio (1483-1552) ricorda nei suoi Elogia: «At Romae in Gymnasio Horatium comiter, et tenere professus sacerdotium a Gilberto promeruit, effugitque cladem Urbis, ut in patria non plane senex interiret» (P. Giovio, Elogium virorum litteris illustrium, Basileae, Petri Pernae, 1577, p. xxiii). Una notizia analoga è riportata da Giuseppe Carafa nel suo De Gymnasio Romano: «Antonius Tilesius Consentinus excelluit Gloria Oratoriae Artis, atque Poeticae in Romano Gymnasio» (G. Carafa, De Gymnasio Romano et de eius professoribus … libri duo, Romae, typis Antonii Fulgonii, 1751, lib. ii, cap. i, p. 313). Sempre Carafa riporta, a proposito del soggiorno milanese del Telesio: «Docuit etiam Mediolani, uti testatur Gesnerus in Bibliotheca, qui Telesium magnis laudibus extollit videndi» (ibid.).

1523

Antonio Telesio pubblica in data 13 dicembre un’Epistola ad Alexandrum Cacciam Florentinum ob Clementis VII. Pontificatum Maximum (Romae, F. Minitium Calvum).

1523-1527

Antonio frequenta l’ambiente della corte pontificia di Clemente VII e della biblioteca Vaticana, animata da diversi intellettuali e patroni, come Paolo Giovio (1483-1552), Gian Pietro Carafa (1476-1559), Tommaso De Vio (Cajetanus, 1469-1534; a Roma nel 1524 e nel 1527); Gian Matteo Giberti (1495-1543, datario papale, sebbene nel lasso di tempo che va dal 1522 al 1527 egli si trovi a Roma solo per brevi periodi), Marcello Cervini (esperto di astronomia e allievo del Piccolomini a Siena, a Roma dal 1524 al maggio del 1525). Il Giovio a Roma fu titolare della cattedra di filosofia morale nel 1523-1527. Nell’ambiente della Biblioteca Vaticana, i Telesio possono avere conosciuto personalità eminenti come Gian Giorgio Trissino (1478-1550) e Giano Lascaris (1445-1534/35). Una prova tangibile del fermento culturale presente nel quinquennio antecedente al Sacco di Roma (1527) ci viene dalla quantità di opere pubblicate dallo stampatore apostolico Francesco Minizio Calvo (ca.1499-1548). Dal 1523 al 1527 troviamo, oltre alle opere del Telesio (Poemata, 1524; De Coronis, 1525; In Odas Horatii Flacci Auspicia ad Juventutem Romanam, 1527), scritti e raccolte di Angelo Poliziano, di Paolo Giovio, di Iacopo Sannazaro, di Erasmo da Rotterdam, di Niccolò Machiavelli, e classici del pensiero greco e latino, come Ippocrate, Galeno, Virgilio e Plutarco.

Nel 1526, in occasione delle nozze tra Scipione Capece (ca.1480-1551) e Giunia Caracciolo, Antonio Telesio fa pubblicare un Epithalamium in Nuptias Scipionis Capycii & Iuniae Caracciolae (Neapoli, Evangelistam Papiensem). Il testo è un documento importante che testimonia l’esistenza di un rapporto tra il Telesio e una delle figure più importanti della intellettualità del viceregno.

maggio-luglio 1527-novembre 1529

Nel maggio 1527, durante il Sacco di Roma, compiuto dalle truppe imperiali di Carlo V, che si avvalsero per l’occasione anche di una milizia mercenaria reclutata dal Frundsberg, Antonio Telesio riesce a riparare e a fuggire nella Repubblica di Venezia, seguito verosimilmente dal giovane Bernardino. A Venezia, Antonio Telesio ottiene l’incarico di professore di latino presso il Consiglio dei Dieci, cominciando il suo corso di lezioni il 17 ottobre 1527. Nella repubblica veneta Antonio resta insieme a Bernardino fino al settembre-ottobre del 1529. Al periodo compreso tra l’estate del 1527 e l’estate del 1529 risale presumibilmente il soggiorno dei Telesio a Padova. Dall’opera di Giacomo Morelli, in cui sono riportate alcune parti dei diari di Marin Sanudo (1466-1536), leggiamo: «ex Ephemeridibus manuscriptis Marini Sanuti, Thylesium Venetiis anno 1527, humanas litteras scribis reipublicae innoribus publico stipendio tradere coepisse, idque munus ad an. 1530» (Iacobi Morellii Bibliothecae Regiae, tomus primus, Bassani, ex Typographia Remondiniana, 1802, 456-458, qui p. 458). Cfr. F. Daniele, Antonii Thylesii Consentini Vita, in Carmina et Epistolae (Neapoli, ex Typographia Regia, 1808, pp. xxii-xxiii).

giugno 1528, maggio 1529

Antonio Telesio pubblica a Venezia, presso lo stampatore Bernardino Vitali (fl. 1494-1539), il De coloribus libellus e l’Imber Aureus. Le opere sono accompagnate da una serie di poesie.

Tra le opere di Antonio Telesio pubblicate in questi anni, particolare menzione merita il De coloribus, uno dei testi più importanti del xvi secolo, ristampato innumerevoli volte, e più volte citato da letterati e umanisti del Cinquecento e del Seicento, nel quale troviamo, oltre ad una ricca terminologia sui colori, importanti suggestioni filosofiche – sul rapporto fra natura e arte, e sull’universalità del sentire –, filtrate da testi virgiliani e ciceroniani, che lasciarono un’impronta indelebile nella mente del nipote Bernardino.

ottobre-novembre 1529

Nel 1529 Telesio si imbarca per fare ritorno in Calabria. Le circostanze avventurose relative al loro rientro (l’imbarcazione che li trasportava rischiò di naufragare all’altezza del canale di Otranto, e solo fortunosamente riuscì a sbarcare sulle coste dell’Alto Jonio, «apud Rossanum Calabriae urbem») sono narrate in una lettera di Telesio all’amico Benedetto Ramberti (1503-1547), datata 25 novembre 1529 (Antonii Thylesii Consentini Carmina et epistolae, pp. 40-45).

Intorno all’anno 1529 sono databili verosimilmente due lettere di Coriolano Martirano al Telesio (Antonii Thylesii Consentini Opera, pp. 235 e 236-237).

1530-1531

Agli inizi del 1530 risale una lettera di Giano Teseo Casopero (1509-1537/1538), un umanista originario di Cirò (Psychro), datata 12 gennaio 1530. Nella lettera Casopero ringrazia il Telesio per il dono di una copia dell’Imber Aureus (Carmina et epistolae, pp. 55-57).

Intorno a questo biennio ha inizio il soggiorno napoletano di Telesio. Dal carteggio con Benedetto Ramberti, si può stabilire che Telesio si trova a Cosenza almeno fino alla fine del 1529: l’ultima lettera inviata da Cosenza al Ramberti reca come data il 25 novembre 1529, e la prima inviatagli da Napoli è datata 17 gennaio 1531 (cfr. Carmina et epistolae, pp. 40-45 e 46-47).

Nel 1531 muore il fratello di Antonio Telesio, Giovan Battista, padre di Bernardino.

1531-1533

A Napoli, ospite presso la villa Leucopetra di proprietà dei fratelli Martirano, il Telesio soggiorna almeno per tutto il 1531-1532 e per buona parte dell’anno seguente. Il 12 aprile 1532 scrive una lettera al Ramberti (Carmina et epistolae, pp. 48-49); il 12 settembre dello stesso anno, una lettera a Galeazzo Capella (ivi, pp. 50-52). Sempre a Napoli, il Telesio riceve una seconda lettera di Giano Teseo Casopero, datata 9 gennaio 1533 (ivi, p. 58).

Quest’ultima lettera non conferma la presenza di Telesio a Napoli nel 1533, ma è anche una preziosa testimonianza dell’esistenza, nella villa dei Martirano, di una scuola per l’istruzione dei giovani figli dell’aristocrazia napoletana: «Miraris fortasse, mi Thylesii, cur praeter expectationem tuam, atque etiam meam Neapoli tam subita profectione decesserim, nec tibi saltem nunciaverim. Deos testor, atque amicitiam nostram, nequaquam fuisse mihi animum discendendi, nisi te salutato, ut decebat; atque prius tibi consiliis de abitu communicatis. Sed audi. Quum ad Martyriani aedes, atque ad tuam peculiariter aulam me contulissem, inveni obserata omnia, introeundique potestatem abnegantia, puero in vestibulo duntaxtat reperto, a quo accepi, te equum conscendisse, nec ideo quo destinaveras me potuit edocere».

Nel biennio 1532-1533 si trovano a Napoli altre figure di intellettuali calabresi, come Giano Piero Cimino, Leonardo Schipano, Aulo Pirro Cicala: il primo è autore di un’edizione dell’Ars grammaticalis di Flavio Sosipatro Carisio, a cui aveva originariamente lavorato il Parrasio (Institutionum grammaticarum libri quinque a Jano Parrhasio olim inventi ac nunc primum a J. Pierio Cymmino Jani auditore in gratiam adulescentium Consentinorum editi, Neapoli, ex officina J. Sultzbachii Hagenovensis Germani, 1532); mentre lo Schipano e il Cicala sono autori di una raccolta di Elegiae et alia Poemata (Neapoli, per J. Sultzbachium, 1534), in cui compare anche il nome del Parrasio.

Occorre anche ricordare che nella prima metà degli anni Trenta del xvi secolo Napoli visse in quegli anni un periodo di grandi trasformazioni politiche, ma anche di una certa rifioritura delle lettere e delle arti, grazie al contributo di diversi esponenti di spicco dell’intellettualità cosentina e napoletana, che si riunivano periodicamente presso la dimora di Scipione Capece, a Napoli, e nella villa dei Martirano, a Portici. Une delle grandi figure della cultura meridionale presenti a Napoli nello stesso periodo, è Agostino Nifo. Tra il 1531 e il 1532, il Nifo tenne presso lo Studium napoletano dei corsi di filosofia.

1534

Morte di Antonio Telesio. La data della morte è desunta da un frammento dell’epistola dedicatoria del Liber De Coena Domini (Romae, Bladum de Asola, 1534) del teologo cosentino Giovanni Antonio Pantusa (ca.1500-1562), indirizzata a Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano, datata «Kalendis Junius»: «E quibus [Consentinis] (ne omnes recenseamus) nostra aetas Parrhasium in primis est admirata, tum rerum gravitate tum dicendi copia nemini suae aetatis inferiorem, et ex oculis nostris nuper ablatum Thylesium, et carmine et oratione insignem ac nemini secundum, et utrumque in utraque lingua praestantem, qui ambo immatura morte intercepti» (p. [3]).

Scriverà di lui Sertorio Quattromani (1541-1603), nel ms. che reca ora il titolo Di Giano Parrasio e di altri autori cosentini del xvi secolo: «Antonio Telesio ebbe molte lettere, e molte risposte, e fu il più pulito scrittore, che fusse stato a’ suoi tempi. Lesse anche nella sua giovenezza publicamente a Milano, e poi in Roma, e con molto applauso di tutta quella nobiltà, ed andavano spesso ad udirlo Cardinali, ed altri personaggi, e Signori. Scrisse un libro De i colori, ed un altro Delle corone in prosa, e due libri di epistole, che non sono ancora date fuori; e con un stile puro, e latino, e non lontano [dal] dire di Cesare e di Cicerone. Un libro di Poemi, che s’impresse in molte città d’Italia, e di Germania, ed il quale da’ Tedeschi, e da molti valenti huomini, e franceschi, e italiani, è tenuto in molta stima. Un volume di altri Poemi, assai più vaghi de i primi, e scritti con miglior stile, che non sono ancora dati in luce. Una tragedia intitulata Imber Aureus, che pose in maraviglia tutti i Germani, e che fece ammutire il Trissino. Una tragedia intutulata Orpheus, che è come una reina di quante tragedie si trovano oggi al mondo, siami lecito di usare così fatte parole: la quale non è ancor data fuori. Ma alcune brevi sposizioni, che egli fa sopra tutte le composizioni di Orazio, e di Vergilio, e di Giovenale, e sopra le xii Vite di Svetonio, e sopra le Philippiche di Marco Tullio, le quali non so io perché siano tenute nascoste, e con tanto danno degli studiosi delle belle lettere, sono cose da metter maraviglia a chiunque ha vaghezza di così fatte leggiadrie: perché non dice se non cose riposte, e sottili, e scioglie i nodi, e le malagevolezze con tante poche parole, che par che contenda di brevità con gli stessi autori, che egli ha impreso a dichiarare» (Biblioteca Civica di Cosenza, ms. 20187, ff. 69r-76v, in S. Quattromani, Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Librario, Università della Calabria, 1999, pp. 257-269, qui pp. 258-259).

 

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