di Stefania Di Mare

1430/1440

Tideo Acciarini nasce intorno a questo arco di tempo a Sant’Elpidio a Mare, rigogliosa cittadina situata alle pendici di una dorsale del subappennino marchigiano, tra le valli del fiume Tenna e del torrente Ete Morto.

La paternità dell’umanista marchigiano rimane ancora oggi controversa. Figlio di Matteo Nicolò, seguendo la ricostruzione fatta da Giuseppe Praga, o più verosimilmente di Antonio di Camarro, abitante della contrada di S. Martino, come testimonia la riforma consiliare elpidiense del 24 agosto 1455, la quale disponeva di eleggere «in magistrum scolarum magistrum Taddeum Antonii Camarri». Secondo quest’ultima fonte, dunque, l’Acciarini ricevette una formazione umanistica nello stesso ambiente familiare. Cfr. G. Praga, Acciarini, Tideo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. 1 (1960); Archivio Storico Comunale di Sant’Elpidio a Mare (ASCSE), Consilia, A VI (1), f. 157r (si vedano anche i ff. 161v-162r, datati 30 settembre 1455, relativi alla lettera patente e all’accettazione dell’incarico; i ff. non numerati sono relativi all’8 dicembre 1457, data della conferma dell’insegnamento per l’anno successivo, e al 4 aprile 1458, data della richiesta della licenza di lasciare l’incarico). Cfr. anche R.M. Borraccini Verducci, Scuole e maestri della Marca nei secoli XIV-XV, in Scuola e insegnamento, Atti del XXXV Convegno di studi maceratesi (Abbazia di Fiastra, Tolentino), 13-14 novembre 1999, Macerata, Centro di Studi Storici Maceratesi, 2001, pp. 73-152, spec. pp. 141-143.

1458-1462

Dopo il giovanile esordio in patria nel circolo dei Piccolomini, a partire dal 1458, sotto la protezione di Silvio (1405-1464), principe di Monte Marciano, Tideo Acciarini è nominato a Pesaro gramatice professor con un contratto della durata di tre anni per l’insegnamento nelle scuole pubbliche del contado. Sono anni nei quali egli compone una raccolta di Carmina in lode di Alessandro (1409-1473), Battista (1446-1472) e Costanzo Sforza (1447-1483). La produzione dei Carmina ha suggerito agli studiosi l’ipotesi che l’Acciarini abbia svolto presso la corte degli Sforza il ruolo di precettore, sebbene l’assenza di una documentazione effettiva non consenta di avere conferme in merito – informazioni più certe si hanno sui nomi dei precettori Matteo Collenucci (1415-1470) e Martino Filetico (1430-1490).

La questione resta comunque aperta, se si considera la dichiarazione di Nicola Capponi, meglio noto come Cola Montano (prima metà del XV secolo-1482), offerta nella dolorosa Confessione di Firenze del 1481 che gli costò la vita a causa delle controversie aperte con la municipalità fiorentina. Il Capponi, ricostruendo gli avvenimenti politici salienti della sua vita, che lo videro al servizio dei più importanti signori dell’epoca, menziona Tideo Acciarini tra gli uditori delle sue lezioni durante il suo primo soggiorno milanese: «Di que’ dì, giovai molto al signor Costanzo Sforza, come ben sanno Domenico Bargnani e Jacopo d’Adria, che allora trovavansi in Roma per quel signore; questo feci, parte per amore di Costanzo, che amai sempre da quando fui a Milano, al tempo del duca Francesco, dove Tideo da Sanlupidio, maestro dello stesso Costanzo, udiva le mie lezioni, e lo stesso Tideo ed Angelo d’Adria e Niccolò da Palude molti beneficj mi aveano fatti in casa del signor Costanzo, ove ero considerato come uno della famiglia dello stesso signore» (G. Lorenzi, Cola Montano. Studio storico, Milano, Pio Istituto Tipografico, 1875, p. 64). La testimonianza del Montano, vissuto a Milano tra il 1462 e il 1466 sotto il ducato di Francesco Sforza (1401-1466), conferma comunque il rapporto esistente tra Costanzo Sforza e Tideo Acciarini, e fornisce una spia importante circa i suoi spostamenti e le attività di precettore e maestro di studia humanitatis.

Per le relazioni con i Piccolomini e il Nimira, si veda il codice S.1.1. conservato presso la Biblioteca Angelica di Roma, edito da E. Narducci, Catalogus codicum manuscriptorum praeter graecos et orientales in Bibliotheca Angelica, Romae, 1893, pp. 438 sgg., in particolar modo l’epistola di Antonio Paoli “Tydeo suo”. Sul rapporto con gli Sforza, si veda F. Lo Parco, Tideo Acciarini umanista marchigiano del sec. XV con sei Carmina e un Libellusinediti, «Annali dell’Istituto Tecnico G.B. Della Porta in Napoli», 24-25, 1917-1920; P. Parroni, La cultura letteraria a Pesaro sotto i Malatesta e gli Sforza, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 203-223. Circa la figura di Cola Montano, cfr. P. Orvieto, Capponi Nicola detto Cola Montano, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 19, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1976, pp. 83-86.

1462-1480

L’intero profilo biografico di questa multiforme e inquieta figura di intellettuale umanista è stata ricostruita soprattutto tramite il ricordo estremamente caloroso e sincero che ne hanno dato i suoi allievi. Sulle date e sulle ragioni che lo videro peregrino tra i luoghi della Marca anconitana, il Regno di Napoli, la Dalmazia e la Calabria, restano non poche incertezze allorché, dopo il magistero in patria interrotto nell’aprile del 1458, le fonti documentarie non permettono di ricostruire in maniera sistematica l’itinerario dell’Elpidiense, tra Pesaro, Milano, Spalato, Zara, Ragusa, Napoli, Cosenza e Montesanto (Ascoli Piceno). La professione delle humanae litterae, tra il 1460 e il 1480, lo vide magister presso le scuole pubbliche di varie località della Dalmazia, per interessamento di Martino Nimira, dalmate di Arbe. Prima fra tutte Spalato, presumibilmente dal 1461 al 1462, dove l’umanista esercitò la sua professione in qualità di praeceptor e rector, contando tra i suoi allievi le personalità più illustri della corrente umanistica dalmata. Di particolare rilievo sono i membri del circolo umanistico spalatino, quali Marko Marulić (Marcus Marulus, 1450-1524) e Toma Niger (Thomas Niger, 1450-1532). Tideo fu anche amico dell’umanista sebenzano Juraj Šižgorić (Georgius Sisgoreus, 1440-1509/1510), noto per i suoi componimenti in latino, in particolare per il De situ Illyriae et civitate Sibenici dove viene messo in risalto il profondo legame con la propria terra. L’umanista elpidiense mantenne con il priore di Sebenico una relazione epistolare dopo avergli fatto visita personalmente nella sua città natale (F. Lo Parco, Tideo Acciarini umanista marchigiano del secolo XV: il suo insegnamento in Dalmazia e le sue attinenze con gli Umanisti dalmati M. Marulo, G. Sisgoreo, E.L. Cervino con più altri dati nuovi, biografici e critici, «Rendiconti dell’Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere e Arti», 4, 1928, rist. Fabriano, 1929). A tutt’oggi non esiste uno studio sistematico che consenta di ricostruire dettagliatamente l’impatto e l’influenza che l’Acciarini ebbe sugli umanisti croati del XV secolo; sappiamo tuttavia con sufficiente certezza il rapporto di stima e di affetto che si instaurò tra questi ultimi e il maestro. A testimonio di quanto detto v’è un epigramma di Juraj Šižgorić inviato all’Elpidiense, dal titolo Ad Tydeum Acciarinum poetam, nel quale l’autore augura al maestro che il viaggio da Spalato a Ragusa fosse privo di sfortunati eventi (si veda a tal proposito il contributo di S. Graciotti, Tideo Acciarini nella cornice del Rinascimento adriatico, in Tideo Acciarini maestro e umanista fra Italia e Dalmazia, Atti del Convegno internazionale di Studi Maceratesi, Macerata, 21 ottobre 2011, Macerata, EUM, 2014). E Marko Marulić, primo poeta dalmata, definito il «Dante croato», ricorda che fu alunno di Tideo in adolescentia nonché suo allievo nell’apprendimento della lingua greca. Un ulteriore dato attestante i contatti avvenuti tra i due umanisti è offerto da Francesco Vitali, biografo del Marulić, il quale testimonia che quest’ultimo, come allievo dell’Acciarini pene puer, recitò un discorso dinanzi al doge Niccolò Marcello (1397-1474). Cfr. G. Paolin, Marulo Marco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 71, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2008; F. Lo Parco, Tideo Acciarini umanista marchigiano del secolo XV, cit., pp. 15 e 21).

Circa le date di arrivo e il periodo di permanenza dell’Acciarini in terra dalmata gli studiosi non sono concordi: dal 1462 al 1472, seguendo la ricostruzione offerta da Lo Parco, il quale considera una breve sosta dell’umanista marchigiano a Zara nel 1475 (lo stesso Lo Parco ipotizza che il soggiorno di Acciarini si sia protratto fino al 1473, se si tiene presente la menzione del doge Marcello, che fu in carica per due anni, dal 1473 al 1474); dal 1469 al 1471 secondo la ricostruzione di Giuseppe Praga (v. supra). A Ragusa, dove risiedette per tre anni accademici, dal 1477 al 1480, Acciarini insegnò in schola sponge ai futuri umanisti Ivan Gučetić (Iohannes Guteus, 1451-1502), Ilija Crijević (Elias Lampridius Cervinus, 1463-1520), Karlo Pucić (Carolus Puteus, 1458/1461-1522). Si tratta di un periodo nel quale a Ragusa domina un’aristocrazia cittadina che, seguendo il modello veneziano, edifica la sua ricchezza sui traffici mercantili con le aree interne dei Balcani, prospere di miniere d’argento. È in questo clima vivace che iniziano a formarsi le prime scuole avviate da umanisti di provenienza italiana, tra cui il più importante fu certamente l’Elpidiense. Tra i suoi allievi in territorio raguseo emerge sicuramente la personalità di Ilja Crijević, uno dei più pregevoli poeti latini dalmati dell’epoca. Già allievo di Pomponio Leto (1428-1498) presso l’Accademia Romana, l’umanista dalmata fu laureato poeta in Campidoglio appena ventiduenne nel 1484, grazie ai raggianti versi d’amore dedicati alla romana Flavia. Tra le sue composizioni più rilevanti ricordiamo una poesia dedicata alla sua città natale, Ode in Ragusam, nella quale è evidente la percezione di una continuità tra l’operato dell’Acciarini e quello del Crijević, nonché dell’eredità romana nella città adriatica. Cfr. al riguardo F. Tateo, Leto, Pomponio, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica (2013); nonché il sopra citato volume collettaneo Tideo Acciarini maestro e umanista fra Italia e Dalmazia (2014).

1480-1495

L’instancabile operosità dell’Acciarini, rivolta allo studio e al recupero della tradizione letteraria classica, lo vede magister in forma privata presso importanti patroni del Meridione d’Italia, come Girolamo (Geronimo) Sanseverino II principe di Bisignano (ca. 1448-ca. 1487) e Antonello Sanseverino (†1499) principe di Salerno. Intorno al 1481 Girolamo aprì la corte ai letterati, e tra essi giunse anche l’Acciarini. L’umanista marchigiano si occupò della formazione dei figli di Girolamo, in particolare di Bernardino, futuro III principe di Bisignano (1470-1516), consanguineo dell’altrettanto noto Pietro Antonio Sanseverino († 1559).

Le vicende dell’Acciarini al servizio dei Sanseverino di Bisignano e di quelli di Salerno si mescolano ineluttabilmente agli avvenimenti che lo videro protagonista della fondazione di una scuola di greco e di latino nella città dei Bruzii. La presenza di Tideo a Cosenza è confermata da una lettera che lo stesso umanista invia da Cosenza ad Agnolo (Angelo) Ambrogini detto Poliziano (1454-1494), nella quale si apprendono le origini marchigiane di Tideo, le circostanze dell’abbandono della corte dei Sanseverino e del successivo trasferimento a Cosenza, e la nuova familiarità acquisita a contatto con i giovani rampolli della gens cosentina (A. Politiani Opera. Epistolarum lib. VII et Miscellaneorum centuriam unam complectens, Sebastianum, Gryphius Germanus, Lugduni, 1528, vol. I, pp. 187-188, 199-200, in particolare si legga quanto segue: «Sum ego ex agro Piceno oriundus. Sed, fatis volentibus et novercante fortuna, in Brutiis Cosentiae profiteor. Et qui hactenus principum familiaritate sum usus, nunc, syderibus adversantibus, ludum aperui»)*. Come scrive Francesco Lo Parco, «sia per il tempo in cui visse e impartì il suo insegnamento, sia per le testimonianze che indirettamente ci porge qualche contemporaneo e qualcuno dei suoi più illustri discepoli, credo che non si possa in alcun modo dubitare che il vero antesignano e promotore dell’umanesimo calabrese fu un maestro, quasi del tutto ignorato, il marchigiano Tideo Acciarino, altrimenti detto Acciano» e poco più avanti prosegue: «e fu questo maestro […] che impartì il primo insegnamento letterario a Giovan Paolo Parisio, divenuto poi celebre sotto il nome di Aulo Giano Parrasio (1470-1521), il quale gli rimase grato e devoto e ne elogiò i meriti letterari» (F. Lo Parco, Tideo Acciarino Piceno, promotore del risveglio umanistico calabrese del secolo XVI, «Giornale Critico della Letteratura Italiana», 68, 1916, 204, pp. 382-384).

L’insegnamento a Cosenza durò almeno per un decennio, sebbene ancora oggi non siamo in grado di determinare con esattezza i periodi di permanenza nella città bruzia. Si ipotizza sino al 1494: ma è certo che, recatovisi inizialmente in seguito a «novercante fortuna», vi si fermò mosso dal generoso affetto a lui mostrato dai suoi discepoli. Primi fra tutti, Aulo Giano Parrasio e Antonio Telesio (1482-1534), l’illustre poeta che si distinse per la sua «osservazione sottile di certi aspetti o fenomeni della natura» (F. Flamini, Il Cinquecento, Milano, Vallardi, 1900, p. 122). Secondo Lo Parco, Parrasio riuscì a dare vita, dietro l’impulso umanistico generatosi a cavaliere dei secoli XV e XVI, ad un milieu scientifico ed intellettuale che assunse nel corso del XVI secolo, grazie al contributo di figure eminenti come Bernardino Telesio, Giovan Paolo d’Aquino e Sertorio Quattromani, le insegne di una vera e propria “Accademia Cosentina” (al riguardo, cfr. F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio, Vasto, Tip. Anelli, 1899, p. 110; E. Sergio, Parrasio in Calabria e la fondazione dell’Accademia Cosentina (II): 1521-1535, «Bollettino Filosofico» del Dipartimento di Filosofia dell’Università della Calabria, 26, 2009, pp. 487-516; Id., Telesio e il suo tempo: considerazioni preliminari, «Bruniana e Campanelliana», 16, 2010, 1, pp. 111-124). Lo stesso Parrasio riconosce negli intellettuali Giovanni Crasso Pedacio (ca. 1560-1535) e Tideo Acciarini la fonte propulsiva di quell’umanesimo latino sviluppatosi a Cosenza. Con l’appellativo di «Tydaeus Actianus», il Parrasio ricorda il suo maestro nel commento al De raptu Prosperpinae di Claudiano (Claudius Claudiani Prosperpinae raptus cum Iani Parrhasii Commentariis, Mediolani, per Iohannem Angelum Scinzenzeler, 1505). L’Acciarini è ancora evocato con le parole «vir et doctus et integerrimus», «preaceptor olim meus, vir in omni vitae colore tersissimus et quem nulla remotior disciplina latet», nelle Excerptae expositiones di Parrasio (S. Mattei, Quaesita per epistolam, a cura di S. Mattei, Neapoli, Simonis Fratribus, 1771).

Sempre il Parrasio riferisce che l’umanista elpidiense compose un’opera, Quisquiliae: «opus sane validum, quod ab se magna cura compositum, iam videbatur editurus» (Quaesita per epistolam, p. 361) che attualmente risulta perduta o non identificata. Dal titolo si evince che l’opera dovesse apparire come una raccolta o una sorta di copioso zibaldone ricco di note e di osservazioni sui classici latini. Recenti studi (vedi S. Fiaschi, Acciarini e Poliziano: percorsi umanistici di fine Quattrocento, pp. 65-67) ipotizzano che la struttura del testo sia modellata sui Miscellanea del Poliziano (1489) e sulle Annotationes centum del Beroaldo (1488), delle quali l’Acciarini ha piena conoscenza considerando le due lettere che lui stesso scrive a Beroaldo chiedendo una copia delle sue Adnotationes contra Servium. Quest’ultime due lettere sono importanti perché testimoniano senza dubbio che con il nuovo decennio l’Acciarini si trovasse a Napoli e che si era guadagnato, durante il soggiorno partenopeo, la stima e l’amicizia del maestro bolognese. Probabilmente è proprio alle Quisquiliae che pensa nella sua Istoria della città di Cosenza Sertorio Quattromani (1541-1603), citando l’Acciarini per l’etimologia del nome della città ed affermando che Tideo «nei tempi de’ nostri bisavoli, fu chiamato fin dalla Marca a leggere lettere umana in Cosenza» (S. Quattromani, Istoria della città di Cosenza, manoscritto conservato presso la Biblioteca Civica di Cosenza [ms 20187, ff. 69r-76v], in Scritti, a cura di F.W. Lupi, Arcavacata di Rende, Centro Editoriale e Libraio dell’Università della Calabria, 1999, pp. 257-269). Come è plausibile credere che a Napoli, intorno al 1491, egli non sia stato estraneo alle vicende dell’Accademia Pontaniana e che qui continuò il suo magistero annoverando tra le schiere dei suoi discepoli, ancora una volta, lo stesso Parrasio. Non bisogna dimenticare che tra novembre e dicembre del 1491, Parrasio si reca una prima volta a Napoli, dove incontra Giovanni Pontano (1429-1503), fondatore dell’Accademia Pontaniana, e molte altre personalità illustri dell’intellettualità napoletana, come Francesco Pucci (1436-1512), Iacopo Sannazaro (1456-1530), Aurelio Bienato (?-1496), Gabriele Altilio (1440-1501), Mario Equicola (1470-1525), Elio Gorgonio, Giano Anisio (1465-1540) e Antonio Seripando (1476-1531). Circa il legame tra l’umanista marchigiano e lo Studium napoletano, sembra opportuno sottolineare il rapporto di amicizia che l’Acciarini coltivò con Francesco Pucci (a sua volta allievo del Poliziano), circondato a Napoli dal favore e dalla stima dei più illustri scrittori del tempo appartenenti all’Accademia Pontaniana. Lo stesso Parrasio, asserendo che le intuizioni circa la sua interpretazione della Delia Oliva di Catullo fossero nate sotto la guida di Tideo Acciarini, ricorda come autorevoli testimoni i maestri Giano Anisio e lo stesso Pucci. Quest’ultimo, consapevole dell’illuminante ingegno del Parrasio, decise di prendere nota di tale interpretazione nel margine di un codice di Catullo («Neque mentiri me sinet Tydeus Actianus, vir et doctus et integerrimus, quo tum praeceptore in litteris utebamur; non Aelius Gorgonius, aut Putius Florentinus in studiis nostris eminentissimus, qui nostri tum nascentis ingenii dexteritatem complexus, in margine sui Catulliani codicis adnotavit», in Quaesita per epistolam [Excerptae expositiones], pp. 353-354).  

Le notizie sull’attività di insegnante svolta dal maestro marchigiano presso gli Sforza a Pesaro e brevemente a Milano, e più tardi presso i principi Sanseverino, sembrano non fondersi completamente con la sua produzione letteraria. Recenti studi hanno rilevato che «a fronte di questa continuativa carriera di maestro, colpisce l’incoerenza della produzione letteraria, che si inquadra piuttosto nelle coordinate dell’umanesimo di corte, una specola da sempre privilegiata, ma mai pienamente raggiunta» (G. Albanese, Il De animorum medicamentis di Tideo Acciarini e la trattatistica ‘de principe’ nell’Umanesimo, in Tideo Acciarini maestro e umanista fra Italia e Dalmazia, 2014, p. 114). Il De animorum medicamentis, l’opera principale dell’Acciarini di cui abbiamo notizia, è databile intorno alla fine degli anni ’80 e trasmessa in due codici Vaticani Barberiniani: rispettivamente il Barberiniano Lat. 213 autografo, e il Barber. Lat. 282, descriptus. L’opera è concepita come dono don Juan principe delle Asturie, figlio di Ferdinando il Cattolico (1452-1516) e Isabella di Castiglia (1451-1504), nell’aspettativa di essere assunto come suo precettore presso la corte dei sovrani cattolici. In merito a tale questione Pietro Verrua scrive: «[Tideo Acciarini] redasse nel suo De Animorum medicamentis un documento che comprendeva troppi consigli ingenui, o intempestivi, o inopportuni e perfino sconvenienti al figlio di Re, al quale il Libellus era destinati; un documento irriverente […]; un documento destinato a creargli per necessità un ambiente ostile» (P. Verrua, Tideo Acciarini e la Corte dei Sovrani Cattolici, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», 82, 1923, 246, p. 360). Tra le fonti dell’Elpidiense per la struttura dell’opera, di rilievo è il De principe del Pontano poiché, se considerato nell’ambito più organico dei lavori de principe redatti nel secondo Quattrocento, quello dell’Acciarini si rivela, secondo quanto scrive l’Albanese, «un’opera al nero, che fu stesa senza un progetto organico, stans pede in uno, appoggiandosi a quanto l’autore aveva immediatamente disponibile, il distillato di tanti anni di insegnamento, probabilmente, viene da credere, per l’improvviso e fortuito presentarsi di un aggancio, qualsiasi esso fosse, con la corte spagnola» (G. Albanese, Il De animorum medicamentis di Tideo Acciarini e la trattatistica ‘de principe’ nell’Umanesimo, 2014, p. 123). Nonostante questi tentativi, i quali mostrano che nell’umanista marchigiano non si spense mai il desiderio di trascorrere la sua vita ed elargire i suoi insegnamenti in una corte, l’Acciarini prosegue il suo magistero cosentino verosimilmente sino al 1494. Certo è che negli anni 1489-1490 Tideo insegnò a Montesanto, l’odierna Potenza Picena considerando la lettera inviatagli da Antonio Paoli da San Severino, il quale esercitava il suo insegnamento nel vicino castello di Montelupone (R. Bianchi, Cultura umanistica intorno ai Piccolomini fra Quattro e Cinquecento. Antonio da San Severino e altri, in Umanesimo a Siena. Letteratura, arti figurative, musica, Atti del Convegno, Siena, 5-8 giugno 1991, a cura di E. Cioni e D. Fausti, Firenze, La Nuova Italia, 1994, pp. 29-88, spec. 62-63 e 77; R.M. Borraccini Verducci, Scuole e maestri della Marca nei secoli XIV-XV, 2001, p. 143).

Un ulteriore dato biografico sugli ultimi anni di attività dell’Acciarini è fornito dal Consiglio comunale di Recanati che il 18 maggio 1488 dovette discutere la proposta di licenza dall’insegnamento da parte di Antonio Bonfini (1427-34-1505), il quale aveva ricoperto il mandato con grande diligenza dal 1° novembre 1478 e lasciava l’incarico per trasferirsi alla corte ungherese di re Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona (R.M. Borraccini Verducci, La scuola pubblica a Recanati nel secolo XV, «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Macerata», 8, 1975, pp. 121-162, spec. pp. 145-149; G. Rill, Bonfini, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 12, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 28-30; E. Sgambati, Presente e passato degli slavi d’oltre Adriatico negli «Annales rerum Ungaricarum» di Antonio Bonfini, in Marche e Dalmazia tra umanesimo e barocco, a cura di S. Graciotti, M. Massa. G. Pirani, Reggio Emilia, Diabasis, 1993, pp. 219-233). Il Bonfini, prima di lasciare definitivamente il magistero, suggerì i nomi dei suoi tre possibili successori, tra cui figura, come prima scelta ragionevole, il nome del «magister Thydeus Acciarinus de Sancto Elpidio» («Pro primo obtinuit magister Thydeus Acciarinus de Sancto Elpidio; pro secundo obtinuit magister Marinus Gabinas de Monte Sancte Marie in Georgio; pro tertio obtinuit magister Bartholomeus de Macerata», Archivio storico comunale di Recanati, Riformanze, LXII, ff. 30r-31v, in R.M. Borraccini Verducci, La scuola pubblica a Recanati nel secolo XV, 1975, pp. 149-151; Id., Brevi note per la biografia di Tideo Acciarini, in Tideo Acciarini maestro e umanista fra Italia e Dalmazia, 2014, pp. 153-54). Di fatto, il posto venne assegnato a Bartolomeo Graziani poiché Marino Gabinati insegnava già a Macerata e «Magister Thideus non fuit inventus».

Analizzando la documentazione del Comune di Sant’Elpidio si può inserire anche un ulteriore tassello della vita dell’Elpidiense. Nella seduta consiliare del 31 marzo 1489 l’Acciarini venne eletto gonfaloniere e la sua presenza in Consiglio sembra verificata dal fatto che il notaio comunale non ne riportò l’assenza come era solito fare in tali circostanze o in analoghe elezioni. Pertanto si può ipotizzare il momentaneo ritorno in patria del maestro marchigiano intorno alla primavera del 1489 nonché l’assunzione dell’insegnamento a Montesanto nello stesso anno. Grazie ad uno studio sistematico delle delibere comunali di Sant’Elpidio è stato possibile ricostruire lo status sociale ed economico del maestro elpidiense. Nonostante il suo continuo errare da una regione all’altra, egli non si allontanò mai del tutto dalla sua terra natia «dove possedeva solide proprietà immobiliari che gli consentivano uno status sociale di prestigio e il diritto di far parte del Reggimento cittadino con la facoltà di ricoprire importanti cariche pubbliche» (R.M. Borraccini Verducci, Brevi note per la biografia di Tideo Acciarini, cit., p. 155).

La continuità della presenza di Tideo Acciarini in terra marchigiana sembra essere confermata da un ulteriore dato biografico ancora oggi problematico. Come rileva Rosa Marisa Borracini, il Consiglio comunale di Sant’Elpidio il 26 aprile del 1495 discute una richiesta d’aiuto rivolta ai magistrati recanatesi, fatta dallo stesso Acciarini, in seguito al suo arresto da parte del Luogotenente della Marca di Loreto. Restano sconosciute a tutt’oggi le motivazioni dell’arresto ma, come la studiosa suppone, le accuse potrebbero riguardare la congiura dei baroni e dunque necessariamente il legame dell’Acciarini con Antonello Sanseverino (ivi, pp. 156-157).

1498

L’ultima notizia che lo riguarda negli atti del Consiglio comunale di Sant’Elpidio a Mare è l’elezione a regulator, revisore dei conti pubblici, il 26 dicembre 1498 presente nell’Archivio storico comunale (ASCSE), Consilia, Sant’Elpidio a Mare, A VIII (1), f. 352 r.

Emerge, dai recenti dati raccolti, la figura di un uomo dalla spiccata personalità il quale, nonostante abbia avuto la possibilità di vivere agiatamente nella sua terra d’origine, decise di essere un intellettuale errante, verosimilmente convinto che la cultura letteraria possa modificare positivamente la natura umana.

Note

*: Nella suddetta epistola l’umanista marchigiano, menzionando Domizio Calderini con l’intenzionalità di mostrare la conoscenza degli argomenti trattati dal Poliziano, gli chiede di poter ricevere le sue annotazioni in merito alle Silvae di Stazio. Nella lettera è presente la sola indicazione del giorno, il 2 giugno, senza quella dell’anno in cui fu scritta, ma la datazione è desumibile dal testo di un’altra lettera del Poliziano a Filippo Beroaldo il Vecchio (1453-1505), datata il 1 aprile 1494. In essa il poeta ricorda di aver ricevuto la lettera dall’umanista elpidiense quando, quattordici anni prima, si era occupato delle Silvae di Stazio. Ciò lascia desumere che l’invio della lettera sia avvenuto nel 1480 e, di conseguenza, che la sua attività a Cosenza abbia preso inizio intorno a questo periodo. Sempre Poliziano rispose assicurando all’Acciarini che la sua fama era arrivata a Firenze, annoverandolo come uno tra i suoi più cari amici («Nec autem quicquam habemus quod in hoc genere tibi nunc mittamus. Spargere enim talia solemus in populum, nec inde nobis quicquam retinemus. Tibi tamen habemus gratiam, vel quod nostra frivola tanti facias, vel quod amicitiam tam diligenter expetas: dignus hoc ipso nimirum quin iam non in veteribus modo nostris, sed et in magnis amicis numereris», A. Politiani Opera, cit., p. 188). L’ipotesi di Lo Parco sembra non configgere con l’apparato documentale rinvenuto più recentemente, come l’atto del 22 settembre 1487 emanato dalla Cancelleria aragonese, con il quale il re Ferdinando I ordina al suo Luogotenente di Calabria che vengano restituiti a Tideo Acciarini 36 capi di bestiame, destinatigli dal defunto Girolamo Sanseverino (1448-1487) principe di Bisignano, come pagamento dei servizi prestati per circa cinque anni in funzione di precettore dei suoi figli. L’atto rispondeva a una supplica dell’Acciarini, che si era congedato dai Sanseverino nel marzo dello stesso anno, perché divenuto vassallo del Duca di Milano. Questo atto è stato messo di recente a confronto con la sottoscrizione autografa del codice Vaticano Borgiano latino 416 (contenente la versione di Erodiano e le epistole di Libanio tradotte da Francesco Zambeccari): «Hoc opus scripsi ego Tydeus Acciarinus subsecundariis / temporibus Parthenope / quo tempore Antonellum Sanseverinum Salerni principem / erudiebam / essemque eiusdem a secretis invitus», la quale testimonia che l’umanista elpidiense assolse prima del 1487 la funzione di maestro di Antonello Sanseverino. Il codice Borgiano fu scritto nel periodo della cosiddetta “congiura dei baroni” contro Ferdinando I d’Aragona. La versione di Erodiano venne commissionata al Poliziano da papa Innocenzo VIII e la copia ufficiale fu prodotta il 22 luglio del 1487. Da quanto detto risulta che l’Acciarini dal 1482 al 1487 è al servizio di Girolamo Sanseverino, principe di Bisignano, e contemporaneamente di Antonello Sanseverino a Napoli. Al riguardo la studiosa Silvia Fiaschi ha precisato come la presenza di un duplice rapporto di patronage (Salerno e Bisignano) non risulti di per sé contraddittorio, allorché non si può escludere che il duplice servizio offerto dall’Acciarini sia avvenuto «in base a qualche forma di reciproco scambio all’interno di due rami della casata strettamente congiunti» (S. Fiaschi, Acciarini e Poliziano: percorsi umanistici di fine Quattrocento, in Tideo Acciarini maestro e umanista fra Italia e Dalmazia, 2014, p. 63).

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