Tommaso Campanella, Lettere, n. 49
A PAPA PAOLO V IN ROMA
Napoli, 22 dicembre 1618
Santissimo Padre,
con questa occasione delle due comete presenti vengo a bagiar i piedi
di Vostra Beatitudine supplichevolmente,
avvertendo che non disprezzi questi
gran signali scritti nel libro del cielo con le dita di Domenedio («opera
digitorum tuorum lunam et stellas,
quas tu fundasti»), perché in vero, secondo
li Padri, il cielo è il libro divino, e le stelle e apparizioni ch’in esso si
fanno, oltre molti altri usi che tengono, sono significazione della divina volontà
e providenza, ed effetti di
quella, secondo santo Agostino e san Leon
papa, date non alle bestie, chi non le capiscono, né agl’angioli, ch’hanno
revelazioni spiritali, ma a gli uomini; né si fa cosa in essi a caso, o dormendo
Dio, ma con somma ragione, scrivendo Dio.
Ed è maggior non solo empietà,
ma bestialità, il dire che senza significazione e causazione compariscano
in cielo
tanto gran caratteri, per il concorso casuale di vapori, che
non dire che io mi scrivo e formo queste lettere a caso e
senza il fine di
mandarli a Vostra Beatitudine, o che si scrivano da sé, casualmente cadendo
l’inchiostro. Sono dunque
segni della providenza occulta, ma degli effetti
d’essa providenza son cause esecutive in parte delle cose naturali a
tutto
il mondo inferiore, e ai corpi umani son cause universali realmente e
direttamente; ma delle arbitrarie azioni
umane son cause dispositive e
per accidente e indirettamente. Vero è che la plebe a queste cause, vivendo
sensualmente, per lo più si suggetta. Li sapienti di tali cause si serveno,
non si soggettano. Li santi a tali cause
commandano in virtù del Creatore.
E questa dottrina si cava dalla santa Scrittura, da san Tomaso e da tutta la
vera
filosofia umana.
Ma se a tutti gli uomini tocca mirar il cielo e legger questa scrittura e
bando del Re eterno, e considerare quel che ci
commanda, o vieta, o minaccia,
e, più ch’agli altri, ai filosofi e teologi conviene, converrà assai assai più a
Vostra
Beatitudine, luogotenente della Ragione eterna, Verbo di Dio, che
parla con la lingua del cielo, «cuius non sunt loquelae
neque sermones quorum
non audiantur voces» ecc.: ma in ogni terra e linguaggio parlano
splendendo, e sono uditi«secundum propositum voluntatis Dei», che ha
fatto tutte le anime a sé, e tutte le creature, «ut sentiant Creatorem»,
come
i Platonici e savii antichi e san Gieronimo affermano.
Però né anche Vostra Santità disprezzi me, servo suo miserabilissimo, e
li doni di Dio, che tal mi vuole, perché da lui, non
da noi si riconoscano, e
così mi fe’ sentinella utilissima in questo secolo delli divini iudicii. Né senza
misterio
caduto in tribulazioni atrocissime e invincibili da ogni possanza
senza grandissimo aiuto divino, sendo solita la Sapienza
eterna così tentare
li suoi seguaci, come dice l’Ecclesiastico al IV, e però: «Timorem et metum
et probationem inducet
super illum, et cruciabit illum in tribulationem
doctrinae suae, donec tentet eum in cogitationibus suis etc. et firmabit
illum»
etc. e «thesaurizabit super illum». Però, affin che veda Vostra Beatitudine
se la mia penitenza è guidata da
Dio a tal fine, le mando l’Indice
dell’opere ch’ho fatte, e le promesse del mio studio, e gli avvisi dei segnali
presenti.
Io stimo che li presenti segnali ci chiamano a considerare gli altri segnali
che il Verbo eterno predisse «in
sole, et luna et stellis» doversi mostrare
avanti il secondo suo avvento, li quali a tutti i santi padri antichi
parvero
prossimi, e ora son presenti, e noi dormimo nella considerazion di loro, perché,
come scrissero gli apostoli
Pietro e Paolo e Giovanni, «dies Domini sicut
fur in nocte nos comprehendat» con li Giudei e Gentili e Macomettani
e
Peripatetici e Macchiavellisti e politici, e delli quali predisse san Pietro
ch’averanno a dire in questo tempo che Cristo
ha mentito quando disse nell’Apocalypse:
«Ecce venio cito», e san Paolo: «Adhuc modicum et qui
venturus est veniet», e
san Pietro gli addita proprio così: «Venient in novissimis
diebus in deceptione illusores, iuxta proprias concupiscentias
ambulantes,
dicentes: ‘Ubi est promissio aut adventus eius? ex quo dormierunt
patres omnia perseverant sicut ab initio
creaturae’». E questo invero appunto
dicono li prefati miscredenti, massime coloro chi eternano il mondo
con questa
ragione d’Aristotele e con Aristotele, «quia perseverant sicut
ab initio creaturae», e le stelle, apogei, equinozii,
solstizii, poli e siti e ordine
di stelle stan come prima. Contra li quali io dico che non «perseverant sicut
ab
initio», ma son presenti tutti li segnali «in sole et luna et stellis», e che per
accorgersi Dio di ciò e non siamo colti
dormendo, come da ladron notturno,
ogni poco ci manda amorosamente novi segnali, e gli uomini parte ingannati
dal
diavolo, parte da seguaci di quello, hanno con sofismi fatta
tra loro tacita congiura, oscurando la verità di tanta
profezia e providenza,
assignando non cause per cause, e ipotesi e petizioni di finti principi, tracurando
la prima e
vera causa, come io dimostrai in 4 libri d’Astronomia nuova
e negl’Articoli
profetali degli eventi del presente secolo.
Or che sian presenti li segni «in sole et luna et stellis» si prova, perché
dopo ch’il Messia disse: «Virtutes coelorum
movebuntur et stellae de coelo
cadent», si trovano li pianeti per molte migliaia di migliaia a terra avvicinati,
e
questo è noto particolarmente in Venere e Marte, e molto più nel
sole, che secondo il minimo computo è disceso più di cento
e diece mila
migliaia, come si mostra per la diminuzione dell’eccentricità e per il mancamento
dell’asse dell’ombra
della terra, e per l’augmento del diametro del
sole e della luna, e dall’ombre dei gnomoni, e per il culto della terra e
ingegni
settentrionali, che prima non era, e per altre ragioni. E questa discesa
farsi irregularmente è tanto noto
per l’osservazioni di Caldei ed Egizii,
conferite poi a quelle d’Ipparco rodio e Menelao romano e Tolomeo egizio,
gentili, e d’Albategno e Arzachele macometani, e d’Abramo e Profazio giudei,
e del re Alfonso, Francesco Maria Ferrarese,
Giorgio Peurbachio, Giovanni
de Monteregio, Nicolò Copernico e di Ticone Brahe e d’altri moltissimi
per lungo ordine
di tempo e d’osservazioni: sì che da nissuno
più si nega, ma assignano ragioni contrarie, e non cause per cause, come
poi diremo.
Di più, la via obliqua del sole è ristretta, ch’a tempo di Timocare e
d’Ipparco e di Tolomeo era
dall’equinoziale ai tropici 23 gr et 52 m,
0.55 con la refrazione, e ora si trova 23 gr e 28 m, 0.31. E questo è notissimo
per l’osservazioni passate, e per le ragioni ch’io posi nell’Astronomia
dalla discesa del sole verso terra. Di più, gli apogei, seu luochi dove
sormontano i pianeti,
tenuti da tutta l’antichità per immobili, or si trovano
per molti gradi, e più che non comporta il moto delle stelle fisse,
mutati. E
quel che fu da Tolomeo e da gli altri imaginato avvenire per errore de
gl’instromenti, già si vede esser per
verità del successo, e in ciò tutti li
scrittori [concordano] e misure delle cose celesti; di più, l’asterismi delle
stelle fisse, ch’a tutta l’antichità parvero stabili nel suo sito, dal che Aristotele
argumentò l’eternità del mondo, in
questo tempo si trovano aver
mutato li siti lungamente, tal che le stelle d’Ariete sono in Tauro, quelle
di Tauro in
Gemini, di Gemini in Cancro, et sic de singulis, onde è seguito
che gli equinozii, che si facean nel
primo punto e prima stella d’Ariete a
tempo di Caldei, quando fu posta in scrittura l’astrologia, che prima s’avea
per
tradizione de padri, e come Filone e Giuseppe Ebrei e Platone e
altri dotti affirmano, e si cava dall’Esodo e da Iob, oggi si trovano tornati
a dietro 28 gradi in circa, e si fan nel 2° di Pisces e nel 2° di
Vergine, e li
solstizii, che prima si faceano in principio di Cancro e Capricorno, ora si
fanno in 2° di Sagittario e
2° di Gemini, con gran stupore di tutti astronomi
e d’essa natura; e s’è diminuita, di più, la quantità dell’anno, e
questa
mutazione è chiara al senso, e farsi irregularmente si prova dall’osservazioni,
ed è confirmata da santa Chiesa
sotto papa Gregorio XIII, che
per essa intercalò dieci giornate all’anno civile, per accordarlo con la retrocessione
dell’anno astronomico. Dal che si vede che li papi molte cose
fanno per instinto dello Spirito santo e non sanno render la
causa del fatto
sempre tutta intiera.
S’è vista anch’una stella nuova nell’anno 1572, osservata da Ticone e da
innumerabili astrologi, nel segno di Cassiopea,
regina etiopissa, nella moglie
di Moisè gentile etiopissa, tipo di santa Chiesa, moglie di Cristo, dal gentilismo
raccolta. Né mai al mondo si trovò nuova stella senza parallassi, se
non a tempo d’Ipparco astronomo, cento trenta anni
avanti l’incarnazione
di Cristo, quando significò la novità del secolo, e che questa altra significhi il
fin della
rinovazione in Cristo incominciata, e li signali «in sole et luna et
stellis», fu predetto dalle Sibille Tiburtina e
Babilonica, che di essa prognosticaro,
e del suo significato.
Non solo le predette Sibille avvisano che l’esorbitanze già predette in
cielo son li segni del secondo avvento del Messia,
ma si prova anche per
li solstizii, equinozii, apogei e distanza delli pianeti verso terra: furon riputati
immobili
dalli Caldei, che guidaro il lor regno per l’astrologia quasi mille
e ducento anni, dal tempo di Nino e d’Abramo, dopo il
diluvio quasi ducento
anni, e così da Medii, Persiani, Greci, Romani et Egizii, né si sa alcuna
mutanza per molta diligenza
ch’avessero usato. Onde Aristotele nel I De
coelo, dall’osservazioni di Caldei, si mosse a metter il mondo immortale, e
Metone ed Evetone, chi
furo 432 anni avanti la venuta di Cristo, dopo aver
essaminato osservazioni di Caldei e d’Egizii e d’altri predetti,
lasciaro scritto
che sempre furo e saranno immutabili i predetti siti. E fu confirmato da
Ipparco e Timocari poco
dopo, e così anche da Tolomeo 140 anni dopo la
venuta del Messia, e poi d’Albategnio, che fu alli 800. E se bene Pico
Mirandulano
asserisce che li Caldei ed Egizii non seppero notare l’anticipazione
dell’equinozii, la qual s’imagina
ch’allor fosse stata, pur si vede da ogni
uno che parla senza ragioni, perché tutta l’antichità incominciò l’equinozio
e
’l principato della dodecatemoria in Ariete nel primo punto e prima stella,
di quando Prometeo promulgò
l’astrologia, e il patriarca Abramo poi la
portò in Egitto, e così Moisè, quando donò la legge 500 anni dopoi,
confirma
il medesimo, dipingendo li 12 segni nel vestimento d’Aron, come Salomone
accenna nella Sapienza, e Filone e
tutti i Padri, dicendo che pose in
principio dell’anno nel primo segno d’Ariete equinoziale, dopo il quale celebra
la
Pasqua, ma saria stato bisogno che pria questa mutazione fusse stata
che Moisè avesse celebrato l’equinozio in Tauro, e
Prometeo forsi in Gemini
il midesimo, e la dodecatemoria delli segni, e non d’Ariete avesse principiato
come ora da
Pisces saria bisogno, e pur diciamo d’Ariete, mantenendo
dal principio dell’astrologia l’antica nominazione sotto Adamo,
Noè e Iafet
e Abramo e Atlante.
Di più, li Caldei fur tanto diligenti in questa arte che non lasciaro minutezza
alcuna di non osservare e insegnare, tanto
che s’accorsero pur del
miracolo dato ad Ezechia, re di Giudea, nel sole retrocesso decem lineis,
e
però il re loro Baladano mandò ambasciatori ad Ezechia ad interrogarli
super hoc portento, come da Esaia e dal 2 Paralip. si dichiara. Or quanto
più s’averiano avvertito
dell’anticipazione dell’equinozio in tanti anni
d’osservazione, ch’ogni mediocre e poco curioso la sa conoscere? Vero
è che Ipparco il primo sagacemente s’accorse che mancava all’anno statuito
da Caldei la tricentesima parte d’un giorno, e
d’alcun mutamento nelle
fisse, avanti la venuta del Messia 120 anni, ma questo non fa argomento se
non in favore di
detta sentenza, perché lui pur mise, secondo gli antichi,
Ariete principio della dodecatemoria, e l’apogei e via del sole
immutabili,
e gli equinozii ancora, secondo l’inventori dell’astrologia gli aveano prescritto.
Pur, se fatto principio di mutanza fu al suo tempo, questa accorda col
profeta Aggeo, a cui Dio poco avanti disse: «Adhuc
modicum et movebo
coelum et terram, et veniet desideratus cunctis gentibus». Talché si preparava
l’incarnazion di Dio
e reparazion del mondo, che in Cristo incomincia
nella settima età della Sinagoga, e nella settima età della Chiesa ha a
finire.
Però nel medesimo tempo d’Ipparco, stupendo e consentendo alla sopradetta
renovazione con la loro mutanza le
creature celesti, Dio di più accese
in cielo nova stella, e principiò la renovazione con questi argomenti reali, ch’
esso sia il vero Dio e Messia antevisto. A Dio nulla cosa è miracolo; alla natura
è, quando si fa; a noi quando ci si
notifica, e però a questo tempo sono
segni a noi e non prima.
La seconda ragione è perché semo nel sesto millenario del mondo, avendo
passato, secondo il minimo computo, anni 5581 dalla
creazione in qua,
secondo gl’Ebrei e san Girolamo e ottimi cronologi. Ma nel settimo succede
il giudizio e la requie,
e come pur l’apostolo dice agli Ebrei, il sabatismo
del popolo di Dio. Semo anche quasi sotto il sesto sigillo
dell’Apocalypsi,
sesto angelo trombettante, sesta ampulla dell’ira di Dio, sesta età della
Chiesa, poiché il quinto
s’aperse al tempo di Lutero, come concordano tutti
i scrittori, anche eretici, secondo scrive il dottissimo Bellarmino, e
prima san
Vincenzo, l’abate Gioachimo, don Serafino da Fermo, e si cava anche da
santa Brigida e d’altri. Ma nel sesto
sigillo, come è scritto nel VII cap. dell’Apocalissi,
seran li segnali «in sole et luna et stellis», si rivela l’Anticristo
e
si converte l’Ebraismo.
E si ben dal sesto millenario ci è tra padri diversità, questo è avvenuto
per la mala cronologia delli 72 interpreti,
adulterata da scrittori, e per tentacion
nostra nella fede, come dice Santo Antonino, e però non si può reprobare
il
senso di quella sentenza di padri antichi e di Rabbini, che alle sei
giornate della creazione corrispondeno sei millenarii
della vita del mondo,
secondo scrisse David e san Pietro: «Mille anni ante oculos Dei sicut unus
dies», e secondo si
tiene per filosofia e astrologia nei principii son celati li
progressi e fine delle cose, avanti che passe il sesto
millenario, e sant’Agostino
l’ha per probabile, sant’Ambrosio per falsa, perché lui ebbe falsa
cronologia e credette
che a tempo suo eran passati sei mila anni del mondo
e non era venuto il giudicio universale aspettato in quel tempo da
Lattanzio
Firmiano e d’altri padri, ingannati dalla medesma cronologia. Per lo che alcuni
potrian pensare che noi pure
c’inganniamo. Il che non è vero, perché
non li padri s’ingannaro, ma la cronologia, né ponno esser ripresi se non
passa il sesto millenario. Né noi disputamo del millenario, ma delli segni
che sono «in sole et luna et stellis», che sono
evidenti e accordano col millenario.
Di più, col fine delle quattro monarchie di Daniele, ed è comparsa la
monarchia anticristiana di Macometto, la division
dell’imperio e poi la discession
in Macone, e s’è predicato l’Evangelo a tutte nazioni, e dalla conversione
presente
dei gentili segue in Santa Brigida l’apparizion dell’Anticristo.
Di più, il B. Giovanni vescovo, li cui Vaticinii sono stampati in
Venezia l’anno 1600, predice doversi scoprire dopo il papato di Clemente
VIII li
segni «in sole et luna et stellis», e concordan con esso li padri, perché
san Crisostomo sopra san Giovanni, hom. 33, dice ch’eran passati li segni
tutti quasi del secondo avvento, e
come nella vecchiezza del mondo
appareno li sintomi e segnali della sua morte, e sant’Ambrosio sopra san
Luca dice:«Quia in occasu sicuti sumus mundi aegritudines portendunt».
Lo stesso dice san Gregorio, hom. prima dell’avvento, nelle
guerre, terremoti,
pestilenzie, ma poi segue: «Signa autem in sole et luna et stellis adhuc
aperte minime vidimus, sed
quia haec non longe absunt, ab aëris immutatione
colligimus». Se dunque a tempo di san Gregorio, che fu all’anno
600
di Cristo, eran vicini, e a questo santo se deve gran credito, come dice
san Bonaventura, perché ebbe assai revelazioni
della sacra dottrina, più che
gl’altri, e il suo Diacono scrisse che quando dittava nel suo capo compareva
una
columba, il qual di più non solo asserisce con sagacità cristiana, ma
con argomento fisico invitto dalla mutazione
dell’aere esser presenti li segnali
in cielo, e certo fu così, perché nel suo tempo si fece l’anomalia della
discesa
del sole e dall’altre predette esorbitanze più veloce che mai, come
dall’osservazione d’Albategnio, ch’a lui seguette, si
conosce, e scommosse
la terra, e generò vapori assai e pestilenze, e ne nacque la pestilente setta
di Macometto,
fandosi la congiunzion magna in Scorpione segno pestilente,
come pure Haly ed altri astrologi macomettani affermano.
Dunque noi confirmamo il detto di san Gregorio, e che a tempo suo erano
li segnali che pensò esser vicini, se ben non così
manifesti. Di più, esso
scrive ch’era nell’ultima età del mondo, ed Esdra concorda con lui, dividendo
il tempo mondano
in dodici ore, e ora siamo nella duodecima novissima,
come pur san Giovanni confirma e provalo: «Ex hoc scimus quia
novissima
hora est, quia multi Antichristi facti sunt in mundo». Dunque nel
tempo nostro, quando da Wiclef in qua per
cento quasi anni soli, si trovano
più eresie e sette nuove che non in 1500 anni da Cristo a lui, come si cava da
santo
Epifanio, Augustino e or dal Bellarmino e Stanislao Polono, è ragionevole
che sian li segnali e l’Anticristo. Concordano a
questo santa Brigida,
san Vincenzo, santa Caterina, san Dionisio Cartusiano, Paulo Scaligero,
Arquato astrologo,
Ticone e altri scienziati, li quali e la renovazione del
mondo e dell’imperio insieme riconoscono. Delle quali ragioni ho
fatto
un libro, però non passo oltre, e mostrai li sette capi e dieci corna dell’Anticristo
mistico e reale, come ora
s’aspetta l’ultimo corno nefandissimo, di
cui è comparso il persecutore Calvino e Lutero, opposti ad Elia e san
Giovanni
Battista, ch’insieme con Macometto fundator dell’anticristianesmo
adorano il Dio Maozin, predestinante a
forza e a capriccio gli uomini all’inferno
e al paradiso senza ragione e senza merito. Di più s’è scoverto nuovo
mondo
dal Columbo e novo cielo dal Galileo, segnali posti da Esdra e da
santa Brigida e secondo sole argumentare san Crisostomo.
So che diranno alcuni, antevisti da san Pietro, che queste mutazioni in
cielo sono naturali e sempre furo, ma occulti, né
son li segni di Cristo, li
quali han da essere manifesti. Altri poi dicon che li padri, per creder troppo
alli segni, s’ingannaro,
dicendo ch’ a tempo loro si doveva fare il giudizio, e
che noi però non dovemo asserire che questi son li veri segni, nel
che pur
Lutero modernamente s’ingannò. Io rispondo che li segni di Cristo non
hanno da esser noti a tutti, se non a
coloro che vigilano sopra li giudizii
di Dio, altrimenti non averia detto san Pietro e san Giovanni che «sicut
fur in
nocte veniet», e san Paolo: «Quando dixerint: pax et securitas, tunc
repentinus eis superveniet interitus [...] Vos autem
non estis in tenebris, ut
dies illa tamquam fur comprehendat; omnes enim vos filii lucis [...], igitur
non dormiamus
etc. Sed vigilemus».
Secondo, dico che avendosi osservato che queste disorbitanze non erano
prima e ora si fanno con irregularità, or veloce or
tarda, la quale Copernico
e Ticone chi si sforzaro ridurre a regola non han potuto, come io mostrai
nell’Astronomia, è necessario affirmare che la machina del mondo sia mossa
e guidata secondo l’arbitrio
divino, e che la natura è un’arte operata di Dio
obediente alla sua causa, e che noi non potemo far calendarii e tavole
delli
moti celesti perpetue, come si vede che di mille che ne sono state, nissuna
ave accertato, e questo vuole Dio,
perché stessimo sempre vigilanti in questo
esercizio di misure sopra gli giudizii suoi, «dum coeli enarrant gloriam
Dei» etc. et «videbo coelos tuos» etc. e però è incerto il punto e l’ora del
giudizio universale, «etiam filio hominis»,
Marc. 13. Perché l’uomo, in
quanto uomo, non può sapere in che punto della sua discesa dal sole e dalle
stelle «terra
et opera quae in ea sunt exurentur», secondo dice san Pietro,
e come Dio affrettarà o tardarà questa discesa.
Terzo, dico che quanti hanno voluto riducere a causa naturale questi effetti,
trascurando la providenza della prima causa,
dichiarata nel Vangelo di
Cristo, tutti incorsero in mille errori, e contradizioni e assurdità, redarguite
da loro
stessi e dagli eventi, e s’in una parte paiono sodisfare, nell’altre son
delusi. Onde si vede ch’alcuni aggiunsero la nona
sfera, altri la decima, per
salvare il moto delli solstizii in conseguenza, come li Tolomaici, e dell’obliquità
variata e discesa non potero render causa. Altri aggiunsero li circoli
nel capo d’Ariete e Libra stellati e non stellati,
con Tebit e re Alfonso: il
che ha fatto mala riuscita. Arzachele e Peurbachio posero il moto reciproco
in antecedentia
e consequentia, perché già poi s’è visto falso, perché sempre
sono andati sempre anticipando li equinozii, ma
irregolarmente. Copernico
alfine nell’anno 1525, a cui fu data la riforma del calendario dal Concilio
Lateranense,
osservando le stelle e non potendo concordare le predette disorbitanze
con le regole astronomiche de suoi antecessori, fece
il sole centro
del mondo e la terra mobile intorno a lui, secondo li Pitagorici, e vi aggiunse
due librazioni, e
secondo la longitudine e secondo la latitudine della terra, e
si pensò aver aggiustato l’anomalie longitudinali in 1717
anni e la latitudinale
al doppio, e ch’il sole, calando per certo segno verso la terra, o la terra
verso il sole, poi avea a ritornare al suo luogo, e tutte queste cose sono impossibili,
non solo perché in
Roma modernamente s’è decretato contro la
stabilità del sole e mobilità della terra, ma perché anche si vede le stelle
fisse aver mutato latitudine, il che Copernico vuole che non può essere, e
l’anomalia oggi non si vede nella tardità
ch’egli li dà a questo tempo, come
osserva Ticone, oltre che paiono impossibili l’opposte librazioni, e di più,
dopo
che disse Cristo: «Stellae de coelo cadent», semper s’è osservato calare
verso terra e mai tornare verso il cielo, dunque
non potea egli concludere
per propria imaginazione ch’avea di ritornare, e di questo argomento egli
stesso si serve
contro Arzachele. Di più, egli non ha osservato una intiera
anomalia da Ipparco insino a lui, e bisognava osservarne molte
per farne
proposizione universale; dunque egli ha errato e nell’arte e nell’evento, perché
sempre la via delli
pianeti si ristringe e la discesa verso la terra va seguendo.
Finalmente Ticone, volendo ammendare costoro e levare
l’anomalie,
fu forzato d’ammetterle, ed è più irresoluto degli altri in queste disorbitanze.
Al resto dell’argomento
ho risposto sopra, e come li padri non hanno
errato e Lutero sì lo mostrai in un libro particolare.
Talché veda Vostra Beatitudine che tutti fanno il conto senza l’oste, e
che il demonio cerca trascurare in noi la dottrina
santa e reale, però andamo
cercando non cause per cause, come sopra ho detto, perché siamo colti
all’improviso. Anzi
di più ha fatto credere, per mezzo d’Albumazar arabo
astrologo e di altri della medesima setta, o ch’el mondo non averà
fine, o
che si finerà per ordine naturale e non divino, e ch’el suo Macometto e
il nostro Cristo avessero saputo
questo per mezzo d’astrologi, e che quando
tutti li movimenti e stelle erranti torneranno nell’origini loro, questo
avverrà.
E credeno gli astrologi che sia nel fine di tutto il moto dell’equinozi: il
che secondo il re Alfonso è doppo
49000 anni, e secondo Tolomeo e Ipparco
in 36000, secondo Albategnio 23760, secondo Copernico in 25816. Le
quali
misure rispondeno a diversi tempi dell’anomalie, in che essi l’osservaro
circa il moto delle stelle fisse. Ma il re Alfonso
discorda con se stesso,
perché l’abbaco suo pone 66 anni ad un grado di moto nelle stelle fisse.
Talché l’età del
mondo doveria essere secondo questi la metà meno ch’egli
la pone, ma Domenedio ci fa vedere che le misure non accordano al
misurato,
e che tutti discordano le lor misure al misurato, e che ci sono altre
anomalie semper nuove, e che le
predette esorbitanze sono fatte da Dio
per segnali e sintomi della morte del mondo per foco, predetta non solo
da san
Pietro e dalle Sibille, ma anche da filosofi, Seneca, Idaspe, Eraclito e
altri, allegati da Lattanzio e mostrai quel
ritorno d’Albumazar falsissimo.
I macchiavellisti se ne ridono. Li peripatetici non ponno più negarli. Platone
li
mette per signali di renovazione de secoli. Li filosofi Bracmani odierni
aspettano il fine del mondo dopo 8000 anni, alli
quali pensano essere
vicini. Li astrologi gentili, macomettani, giudei e cristiani tutti testificano
e stupiscono di tanti nuovi segnali in cielo, e nullo sa render la causa se non
ipotetica e fallace.
Resta che Vostra Santità accorga il mondo che questi sono segnali di Cristo
vero Dio, rettor del cielo e della terra, e
chiamarli per questi mezi alla
fede, come tutti li padri e persone spirituali previdero e scrissero, e pure alcuni
astrologi, ch’in questo tempo avea da convertirsi il mondo in una greggia
al vero Dio sotto un pastore, come fu nel
principio, al quale, dopo varii
scompigli avvenuti per le varie sette e diversi principati, fa ritorno.
Or venendo alle presenti comete, dico che son fatte in cielo per ministerio
d’angioli, secondo li buoni filosofi e teologi,
dal Signore, per mover gli
uomini alla contemplazione dei segni predetti «in sole et luna et stellis»,
preamboli della
rinovazione de’ secoli, quanto al significare; ma quanto all’eseguire,
per metter in atto qualche parte di quel molto che
le disorbitanze
e stella nuova additano, come nella cometa, nascendo il Messia, specificò
quel che la stella nuova e
le disorbitanze precedenti avvisavano. Guai a
noi se Dio non volesse più bene a noi che noi a noi: però non ha cessato
darci avisi nei padri, Gregorio, Ambrogio, Beda, Bernardo, e di prossimo
per san Vincenzo, san Bernardino di Siena,
Dionisio Cartusiano, e per confusion
nostra da femine sante, Brigida, Catarina ed altre, che parlaro di questa
rinovazione, come le Sibille della prima. Similmente fece venire contra a
noi tutti li flagelli preditti dai detti santi
per mezzo di Saraceni e Turchi, che
ci han tolto più di 200 regni, e per via d’eresiarchi, Wicleff, Lutero e altri,
chi parlaro con falsità dell’Anticristo e del secondo avvento, e con farci perdere
quasi 30 regni ci svegliò a considerare
i predetti segnali, secondo la
predizione di Brigida e Caterina.
Dall’altra banda ancora eccitò li magi e astrologi a disputare di questa
rinovazione come pur fece nel primo avvento, per
mezzo di filosofi greci
e persiani, chi della novità del secolo disputaro, come Platone e Cicerone
e altri scriveno.
Di più, con maggior stupore che non fece nel primo avvento,
ci ha fatto trovare nuovo mondo e nova terra, segno conosciuto
dalle Sibille
e da Seneca e nel IV di Esdra e da santa Brigida come preambulo della
rinovazione e revelazione di
Cristo e dell’Anticristo. E pur siamo restati nel
nostro sonno e li miscredenti nella immortalità peripatetica del cielo e
del
mondo. Finalmente eccitò il Galileo a trovar novi pianete e stelle occulte,
e di più macchie nel sole, e in
Giove e Venere cornuta, perché più non
credessimo la quinta essenza immortale del cielo, e mirassimo nel suo scompiglio
attentamente. E poco prima mosse il Telesio a filosofar di nuovo nelle
cose naturali.
Di più, ci sforzò a mirare le sue maraviglie per via d’accommodare il calendario
nel Concilio Lateranense sotto Leon X, e
fu dato a Nicolò Copernico
questo officio, il quale, sgomentato dalle maraviglie dell’osservazioni
passate, mostrò
maggior maraviglia, e che tutto il cielo era scompigliato.
Ma subito il nemico omo ci seminò zizania, perché non ci accorgessimo delli
segnali di Cristo, ma credessimo
che fossero effetti naturali e reciprocanti.
Dio doppo mandò molte comete, ed eclissi più frequenti e più mirabili
che a tempi antichi, per destarsi a mirar meglio in cielo, osservate da Giovanni
di Monteregio, da Cardano e di altri
assai, e pur tornammo a dormire.
Poi mandò la stella nuova nell’anno 1572, e fece scrivere innumerabili
astrologi
con stupore grande, perché non era cometa né sublunare né tra
le sfere di pianeti, ma proprio nell’ottavo cielo, nel segno
di Cassiopea, antevista
dalla Sibilla Tiburtina e Babilonica, e altre comete che appresso notò
Ticone superiori alla
luna.
E al presente anno 1618, dopo che Vostra Beaitudine mostrò intromettersi
nelle cose celesti, determinando contra Copernico,
ch’il sole non era
centro immobile della terra mobile a torno a lui, ci rappresenta Dio queste
due nuove
maravigliose impressioni in cielo, perché Vostra Beatitudine eseguisse
quel ch’è più proprio di lei, cioè di unire li
principi cristiani contra
l’anticristianesimo, e mandar predicanti a richiamar con questi segni il mondo
al suo
principio, come predisse David: «Reminiscentur et convertentur
ad Dominum universi fines terrae etc. Annuntiabitur Domino
generatio
ventura et annuntiabunt coeli iustitiam eius» etc., come si fa al presente,
del che ne ho scritto un gran
volume quadripartito alle quattro gran nazioni
del mondo, cristiana, macomettana, gentile ed ebrea, perché, deposta la
guerra grammaticale e marziale, con guerra spiritale e razionale si decidesse
quale è la vera fede, donde nasce
l’ottimo genere di vivere e preparazione
alla vita eterna. Non senza instinto divino ho fatto questo, intra una fossa
tribulato, mosso dalle parole di Vostra Beatitudine, ch’io adoperassi meglio
li talenti che Dio m’ ha dato che non
feci per il passato, e disputai contra
tutte le nazioni con li loro principii e ragion comune convincendoli, come
Vostra Santità vedrà.
La prima impressione ch’apparse al principio di novembre due volte
mi fu concessa d’osservarla: avea figura di spada o
scimitarra o penna d’aquila,
la cui punta era a levante, quasi alli 19 di Scorpione, la manica a ponente
a 20 di
Vergine, orientale del sole quasi 14 gradi. Quando io la viddi a
25 di novembre, era di color mercuriale e lunare, si
moveva col cielo da levante
a ponente, e per se stessa da settentrione a mezzogiorno sopra l’asterismo
del Cratere,
del Corvo, dell’Idra, del Centauro, della Fera, e disparse
alli 29 del mese. Stava nel principio Marte alli 4 di
Scorpione, Saturno alli 6
Gemelli nello precedente plenilunio, e il Sole alli 9 di [Sagittario] con Mercurio.
La seconda impressione e stella crinita proprio nel tropico boreale mi
pareva, quella sola volta ch’io la viddi alli 2 di
dicembre, quasi alli 6 di Scorpione
con le chiome ch’arrivava quasi alli 17 di Bilancia. Stando Marte a 20
di
Scorpione, e Saturno con l’Aldebaran in opposito del Sole, e pur Mercurio
a 16 di Scorpione, era di color di Giove e di Mercurio, camina [va] verso
Borea e ponente, tanto che passò
per lo dorso e falce di Boote e s’è unita ora
con la coda dell’Orsa Maggiore, come mi viene referito, caminando quando
4 gradi al dì, quando più, tanto che ha fatto più di 70 gradi e s’è lontanata
dal tropico quasi 40.
Io non starò a disputare quel che significano minutamente, senza veder il
suo fine e l’osservazioni vere ch’io aspetto.
Solo dirò che verso meriggie e
settentrione dinota gran viaggi di predicanti, sendo mercuriali, chi chiamano
il
mondo alla vera fede, come le quatrighe di Zaccaria, non senza scompiglio
di popoli soggetti a tali segni, e
principalmente la prima ha significato
sopra li Mori e Arabi e Soriani in Mesopotamia, Babilonia, Assiria, Gregia,
nei Tartari Cataini, Egizii, Tragloditi. E il rumore se move da levante, e da
ponente si manda il movitore: la spada si
volta contra donde viene, e si è
penna, sarà una delle penne dell’aquila regnante, descritta nel IV d’Esdra,
cap.
XI, ciò è un re membro antico dell’imperio romano. Non mancaranno
in mare gran fracassi e ruina de vasselli e guerre,
sendo Scorpione segno
umido, e l’Idra: non dico più.
L’altra, che va a ponente e settentrione, qualche imprese grandi denota
nell’isole in Dania, Svezia, Moscovia, Polonia,
Tartaria, Ollanda, con armi e
predicazioni. Appresso farò il discorso particolare.
Vostra Beatitudine non pigli ansia, perché abbia il sole in Bilancia nella
sua natività e la Luna in Vergine, sendo la sua
direzione difesa da Mercurio,
perché con fare lega contra li nemici della fede e con mandare predicanti
verso Borea
e Austro viene sodisfare all’avviso celeste, a cui chi concorda
non può patire, ma agere mirabilia,
secondo l’astrologia fisica, e nel IV d’Esdra,
cap. IX, «Altissimi tempora initia habent manifesta in prodigiis et
virtutibus,
et consummationem in actu et in signis, et erit omnis qui poterit
effugere per opera sua e per fidem
relinquetur de praefatis periculis». Però
le mando alcune opere, per effettuare cose corrispondenti a detti segni tra
prìncipi e nel clero, e dimando aiuto per servire a Vostra Santità secondo le
promesse sequenti.
Frutti della penitenza di diciannove anni di prigionia di fra Tomaso
Campanella, che promette al sommo Pontefice e
alla scola di nostro Signore
Iesu Cristo e a tutti prencipi cristiani e a tutte nazioni del mondo.
In primis promette palesare quattro miracoli evidentissimi a tutto il mondo
per corroborazion della
profezia evangelica e confusione di Gentili, Giudei
e Maccomettani e politici e altri miscredenti; onde si raccenda la
morta
fede tra Cristiani e si sforzino con guerra spirituale gli infedeli a riconoscer
la verità; e insieme
probabilissimamente mostrare che son presenti li segnali
dati dal Messia del suo secondo avvento «in sole et luna et
stellis», i quali a
san Gregorio e altri Padri pareano prossimi, e li simptomi della morte del
mondo per fuoco, con san Pietro,
contra le scole erranti.
Manifestar una tacita conspirazione de’ teologi, astronomi, filosofi e d’altri
scienziati, antevista da san Pietro
apostolo, fatta per oscurar la verità cristiana,
e perché, còlti dal Signore come da ladron notturno, a noi avvenisse
quel che agli Ebrei nel primo avvento, secondo san Paolo ci avvisò e molte
persone sante e dotte modernamente; e
come sta il mondo accecato per
opera d’Abaddon, angelo dell’abisso uscito a tempo di Lutero, quando
Dio n’eccitò con
molte novità alla contemplazione de’ giudìci suoi.
Dare un volume a luce, nel quale si mostra instare il tempo della promessa
fatta ad Abramo, «ut heres esset mundi» nel suo
seme: non nel Gentilismo,
quia «ad nihilum deduces omnes gentes»: non nel Giudaismo, quia
«non erit populus eius qui eum negaturus est»: non nel Maccomettismo
pendente d’Ismael, quia«non erit heres filius ancillae cum filio liberae»,
ma nel Cristianismo inserto nel tronco di David per grazia del
Messia,
aspettato da Gentili e da Ebrei a questo effetto, con testimonianze in cielo
e in terra. E doppo il longo
scompiglio avvenuto al mondo per la divisione
de’ prencipati e religioni, s’ha d’unire sotto una legge e un pastore con
quella
felicità de vita, che li filosofi descrissero de statu optimo reipublicae ancor
non
visto, e li poeti de saeculo aureo, e li profeti de statu Hierusalem liberanda
dalla captività babilonica d’infideli e viziosi: e li Cristiani dimandano il
regno «ubi fiat voluntas Dei in terra
sicut fit in Coelo», e le nazioni tutte
desiderano e aspettano, come per filosofia naturale e
politica e astrologia si
proa, [e per] consenso del cielo e della terra, e per dottrina commune de
tutti Padri: e
come essi non discordano in questo, se non per il tempo falsato
nelle cronologie e per il modo sciocco di Celiasti; e che
si è visto già il
preludio di questo secolo, il quale sarà preludio della transportazione de’
buoni in Paradiso e
simbolo di ritorno allo stato innocente in che Dio creò
gli uomini, convenientissimo a Dio e alli desidèri e dottrine
umane de divinis,
quanto è scandaloso lo stato presente in tanta varietà di sette pazze e
iniquità e tribulazioni del genere umano, con se stesso nonché con Dio discordante.
E questo articolo non pugna col primo
e secondo, come ad alcuni
potria apparire; e di più toglie le discordie tra prencipi, li fa riconoscere
per braccia
del Messia, secondo è scritto: «Lex a me exiet, iudicium meum
in lucem populorum requiescet; egressus est Salvator meus et
brachia mea
populos iudicabunt; me insulae expectabunt et brachium meum sustinebunt».
Queste braccia sono li re, però l’ungeno negli umeri; e il papa è
testa però lo s’unge in capo; e questo poi braccio
ultimo sopra il Mondo
Nuovo, isolato dal Vecchio, e sopra l’isole orientali, che finora aspettâro
la legge del
Salvatore, è Re di Spagna, come ognun vede e io dimostrai:
e si desta il desiderio di tutti popoli a questo secolo e
l’aiuto a Vostra Beatitudine.
Or, per questo, prometto dar un tomo fra gli altri, distinto in due volumi.
Il primo volume è così
intitolato: Ad sanctissimum Paulum papam quintum
fratris Tomae Campanellae «Quod reminiscentur et convertentur ad Dominum
universi fines terrae» etc., volumen quadripartitum. Dove ci sono, nel
primo, la concordia di tutte nazioni, come possa farsi chiamandole tutte in
un Concilio generalissimo, o in diete, a
decider tutte, come fratelli, qual è
la vera fede, onde nasce optimum genus vivendi et praeparatio ad
deificationem
post mortem, deposte l’armi grammaticali e materiali con guerra spirituale e
razionale; come
obbligate tutte sono a dar ragione della sua fede e insegnarla,
s’è ottima, o farsi insegnare qual è il meglio, sendo
questo ponto tanto
necessario divinitus et humanitus; e le leggi della disputa anche convincenti
coloro chi venir non vogliono, con ruina grande dello Stato secutura ex se a
chi rifiuta il
partito, con l’utilità di tutti prìncipi e popoli del mondo. E ci
son segnali della renovazion del secolo; e poi legazioni
particolari a tutti
prìncipi ecclesiastici e secolari, e ordini, e religioni, uno per uno, tanto a cattolici,
quanto
a scismatici, quanto ad eretici, e pur agli angioli e diavoli, sopra
questo negocio: e tutti si convincono ad assentire.
Di più, si mostra il
modo convincere tutti i settari, praecipue Calvinisti e Luterani, a prima
disputa, da qualunque ingegno, con la logica di Cristo; e ch’il modo tenuto
con loro, secondo la logica
d’Aristotele, è un allongar la lite, il che è spezie
di vittoria a chi mantiene il torto.
Nella seconda parte vanno le legazioni a tutti re gentili odierni, uno per
uno, del vecchio e nuovo emisfero, con le
dispute contra ciascuna setta loro,
secondo li prìncipi loro e ragion commune, e con l’invito a disputar de
veritate fidei ecc. al Concilio generalissimo, e modo di scompigliarli e tirarli
con maraviglia
alla verità per mezzo di qualunque predicante e ambasciatore.
Nella terza, sei legazioni alle sei dispersioni e sinagoge di Giudei, invitandoli
al Concilio e disputando con ciascuna
dell’effetto della providenza nel
Messia, e suoi atti e dogmi ch’avea a rivelare; e come tre dispersioni, chi fûro
doppo il suo avvento, non riconoscono il Dio loro, perché lasciâro Mosè
e li profeti, e credono solo alli Talmudisti
nefandissimi, contra li quali si disputa
che sono contrarii a Dio, a Mosè e ai profeti e alla natura: e s’apre a
loro una porta occulta alla fede di gran successo.
Nella quarta ci son legazioni a tutti re maccomettani e sette loro principali,
col medesimo invito a dispute contra tutti
dogmi e libri maccomettani,
pur con li princìpi d’esso Maccometto e ragion comune: dove, di più, si scuopre
Maccometto per Anticristo antevisto nel Vangelo, e le corna e teste sue;
e come da esso nascerà il nefandissimo ultimo
corno, che ricapitulerà tutte
le malvagità di tiranni ed eresiarchi precedenti; e che Lutero e Calvino son
precursori ch’introducono il dio della forza Maozin, con Maccometto predestinante
l bene e al male a capriccio e forza
temerariamente; e quindi cessarà
la scandalosa maraviglia de’ politici sopra la gran possanza e vittoria di
Maccometto, o perché li profeti
non parlâro di più monarchie, come alcun
dice, di loro beffandosi.
Nel secondo volume di questo tomo ci vari tre libri. Uno intitolato Recognitio
verae religionis contra l’anticristianesmo, praecipue macchiavellistico,
e
settari, con ragioni invitte e nuove, che nullo sofista epicureo possa
risponderci, convincendo affatto che la religione è
natural ritorno a Dio e
non arte di Stato; e quale è la vera universale mostrando contra a tutti i settarii;
e che
quanti prencipi seguitano tal dottrina in tutti i secoli, diventan
tiranni e i popoli sediziosi, e rovinano in sé, o nei
figli subito, perdendo
la vita e lo Stato. Nel secondo si scrive gli Articoli profetali degli
eventi
del presente secolo, e di quanto succederà al Cristianismo e altre nazioni
fin al fine, e dell’Anticristo e
suoi tempi e settarii e capi mistici e reali e regno
e persona, con confusion grande d’eretici e Giudei e Maccomettani,
secondo
tutte le profezie e scienze divine e umane, e concordia delle sette
giornate della creazione e sette età del
mondo e della sinagoga, e sette della
Chiesa, sette sigilli e sette ampolle e sette angioli trombettanti. Ne l’ultimo
De monarchia Messiae in spirituale e temporale, alli prencipi cristiani un libro,
e uno al santo
papa e tutte nazioni, e delle giurisdizioni e gradi e fratellanza
loro secondo la Scrittura e natura: e che la rovina de’
Cristiani nasce,
perché non s’osserva quel ch’in esso libro si contiene. Item, un libro al
sommo pontefice per fare una greggia e un pastore del mondo tutto, benché
tutti prencipi contradicessero. E uno Panegirico alli prencipi d’Italia, che
per bene loro e della Cristianità non deono contradire alla
monarchia di
Spagna, e come pônno assicurarsi con quella contra infedeli, e della sua gelosia
nel papato: e far un
senato e concordia invitta in Roma sotto il sommo
pontefice, donde nasca la pace e securtà di ciascuno contra di loro e
da’
prencipi forastieri e contra infedeli, e del suo modo facile, e utilità, e necessità:
e questo poter anco fare
gl’ltaliani soli, autorizzando secondo il dovere
il papato, e in quello farsi invitti.
Prometto dare a Vostra Beatitudine tutte le scienze naturali e morali, cavate
dalla Scrittura santa e da’ Padri per
distoglier li secolari dai libri de’
Gentili, che son la zizzania sopra il seme evangelico e officina del machiavellismo
e pravi costumi; di maniera che questi nostri libri avanzino Aristotele,
Platone e tutti i Gentili in facilità,
veracità e certezza, ragioni, sperienze,
brevità e oracoli divini. Il che confesseranno tutti coloro chi piamente e
saviamente li esaminaranno; li quali devono sapere che li Gentili fûr intromessi
come testimoni nella scola di Cristo solo
contra Gentili loro, secondo
san Tomaso (pars I, quaest. I), ai quali non abbiamo ad obbligarci e
accordare
la Scrittura, secondo l’opuscolo decimo e undecimo. E ora non son
testimoni solo contra Gentili, ma contra
noi, e son fatti giudici e maestri nostri
intra le scole cristiane; e con tutto che san Tomaso e li fratelli Macabei si
sforzassero scacciarli fuori ed esponerli a senso buono, e farsi servire alla
teologia: e però: «Eiice
ancillam», dicit Dominus. E perché «filii Israël ex
parte Iudaice et ex parte loquuntur
Azotice», è necessario «eiicere uxores
alienigenas», secondo Esdra – scientias gentiles, expone
Origene e Geronimo
– e «accipere eas defiliabus Iuda», cioè dalla scola cristiana nate,
come desiderò il Concilio
Lateranense sub Leone X, e gli articoli parisiensi
insinuano,, e san Tomaso lo stesso vuole. E
almeno perché Giuliano apostata
e ’l Macchiavello non insultino sempre a noi Cristiani, che, professando
esser
seguaci di Cristo, Sapienza di Dio, mendicamo la sapienza dai Gentili,
massime ora che s’è scoperto «cielo nuovo e terra
nuova» e splende
per tutto il Vangelo. Onde san Geronimo pure, doppo li settantadue interpreti
giudei, stimò doversi
fare nova versione della Bibbia revelata, benché
sant’Agostino e altri vescovi richiamasser contra; onde con più ragione,
doppo l’interpreti gentili della bibbia d’essa natura, si devono rinnovare
le scienze degli ingegni cristiani: e in
questo accorda san Tomaso e tutti,
benché l’invidia indotta sparli, come mostrai in suo luogo (quaest. I
Physiologiae).
E se qualche zelo con Iosue sparlò, san Tomaso con Moise risponde:
«Quis det ut universus
populus prophetet?».
Di più, per esecuzione di questa impresa grande, che Vostra Beatitudine
ha da promovere, io prometto insegnare filosofia
naturale e morale, politica,
medicina, cosmografia, astrologia, poetica e retorica a tutti ingegni atti ad
imparare,
in spazio d’un anno, facendo ch’il mondo serva per libro e memoria
locale, con reale e maraviglioso modo, sì che tali
discepoli siano più dotti
che gli altri versati otto anni nelle scole communi, e più savi nella verità delle
cose
che nell’arguzie e parole.
Di più, m’offero d’andare in Germania, lasciando in carcere per ostaggi
cinque consanguinei, e convertire alla fede
cattolica dui almeno de’ prencipi
protestanti, e tornar fra venti mesi con ambasciarie di pace al santo papa; e
prima mostrar a Vostra Beatitudine come grazia di Dio posso io ciò fare.
Perché riclamano i nostri fratelli, se David vuoi
andar contra Golia?
Doppo questo, o avanti, prometto anche fare trenta discepoli armati di
ragioni, auttorità, istorie, profezie e desiderio di
martirio, e mandarli a predicare
in Germania, e metter a terra l’auttorità d’eresiarchi, e l’imminente
lor rovina
dimostrar in cielo e in terra, e per ragioni e istorie, come ogni setta,
che nega Dio e la providenza e l’immortalità
dell’anime o il libero arbitrio,
è necessario che perda se stessa e lo Stato e riceva ogni predicante vero.
Di più,
scoprire come gli Oltramontani si confessan già vinti con la incertezza
e continuo vacillamento e discordia loro, ma noi
non sappiamo coglier il
frutto della vittoria; e come si pônno a prima disputa, quei che san razionali,
tirar alla
verità.
Molt’altre cose direi importanti allo stato politico ed ecclestiastico, che
non si credono senza veder l’effetto; però a
Vostra Beatitudine sta ricever
il vostro servo, o come innocente, saltem in causa che mi s’oppone, o come
fruttuoso
penitente. Quando così non sarà come dico, m’offero alla pena
del fuoco; e perché veda quanta verità tengo, li mando la
lista dell’opere
che ho fatto, e sottometto a Vostra Beatitudine e a santa Chiesa.
Santissimo Padre, molti dicono ch’io non scrivessi cose tanto alte a Vostra
Beatitudine; e io all’incontro dico che non
devo scriverle ad altri – e così
farò – ma ben a Vostra Beatitudine, perché so che adopra, non perseguita
l’altezza
dell’ingegni, né la virtù, com’altri fanno, chi non san padri del cristianismo;
ma solo li vizi, li quali tutti io ho
abiurati in secreto del mio core:
e mi sforzo solo servire a Dio e a tutto il mondo, secondo m’impose chi mi
diede
l’ingegno, e Vostra Beatitudine, suo vicario, m’ha ordinato. Però
vegga di farmi venir a Roma, s’io son buono per santa
Chiesa: già che il duca
d’Ossuna dice volermi liberare con pregeria di star ad ogni ordine per
sicurtà del sospetto,
e non perché ci sia causa; e mi prononziò innocente di
nuovo, doppo che Vostra Beatitudine, per mezzo di monsignore
Noncio, mi
liberò misericordiosamente dalle branche della morte: mi parlò il Viceré e
mi ricevette in più grazia che
prima, e vorria servirsi di me. Però io avviso
Vostra Beatitudine, e prego ch’ordini a monsignore Nonzio che tratti col
Viceré che mi liberi, secondo promesse, e dica con quanta pregeria vuole,
perché io, già invecchiato, dia li frutti
della penitenza mia alla Chiesa di
Dio a tempo della Vostra Beatitudine, che Dio conservi mill’anni a beneficio
del
popolo suo.
Napoli, li 22 di dicembre 1618.
delli Predicatori ecc.