Tommaso Campanella, Lettere, n. 121
AL CAVALIER CASSIANO DAL POZZO IN ROMA
Parigi, 4 giugno 1635
Illustrissimo signore e padron osservandissimo,
m’è stata carissima la sua risposta, considerando da chi viene e con che animo
e a che fine: la
ringrazio sopramodo, massime dell’officio fatto con l’eminentissimo
Barberino, a cui devo, come a parte ottima di Nostro
Signore,
due volte la vita. Però desidero che resti persuasa Sua Eminenza, ch’io non voglio
far cosa alcuna in suo
disgusto, ma servirla sempre. E si sa, e presto si vedrà
meglio, quant’io mi adopro per servizio di tutta la Casa. Mandai a
Nostro Signore,
dopo Pasca subito, alcune cose di quel che fo per ben commune, – credo
Sua Eminenza l’averà visto – e
un’altra cosa all’Ambasciator mio conservatore.
Qua non si dorme: non scrivo per non far torto a’ signori Nunci. A’ quali
non cedo di veracità senza disegno, e avanzo
d’affezione per obligo ed elezione.
Desidero nelle cose mie con questi signori Vostra Signoria illustrissima sia
mio
avvocato e curatore: e vedo ben che non posso appigliarmi a più sicura
guida. È necessario ch’io stampi la Theologia, che son trenta libri dedicati al
Cardinal Duca, e quindici di Metafisica al Re
Cristianissimo, e molte altre
opere, in particolar le Disputazioni sopra la fisiologia, etica, politica,
economica
e Città del Sole e altri opusculi, li quali tutti tutti son passati ultra montes,
in
Francia e Germania più volte, come sa Favilla e ’l Conte mio ecc.; e sempre
ho scritto che non si stampassero, perché
l’ho megliorati. Adesso non ho più
scusa. Mi vengono richiesti da Inghilterra, da Germania e da’ miei Francesi.
Però è
necessario che l’eminentissimo Barberino si contenti sian revisti qua
da chi comanderà il signor Cardinal Duca, e che sian
visti da’ miei frati dottissimi
di San Iacobo ancora; altrimente si daranno a luce con farli riveder
alla Sorbona e a
questi Padri. Ma non quelli che porto approbati da Roma.
È vero quel che Vostra Signoria illustrissima dice, che dovevo stampare
qualche libro teologico sul principio; ma in verità
io non fui autor di questo
Medicinale che si stampasse, e restai ammirato quando lo vidi. È vero ch’io
ho dato a riveder un
centone tomistico contra pseudotomisti De praedestinatione
et reprobatione, assai necessario per
scavallar l’ateismo e Calvinismo
provato con l’autorità di san Tomaso da teologastri; e, visto, lo stamparò.
E questo
communicai più volte con Nostro Signore in Roma, dicendoli
che né prencipi laici né i teologi ecclesiastici, particolarmente
i nostri, pônno
obbedire a Sua Beatitudine e alle leggi per conscienza, ma solo per forza,
perché dicono: – O Dio è o non c’è. Se non ci è, viviamo, regniamo, facciam
quel che ci piace, per forza, per
sofismi, per ippocrisia. S’egli è, o ci ha predestinati
o reprobati ab aeterno, come dicono li
pseudotomisti de mente di
san Tomaso, e ci spinge in tempore ad ogni atto pio
e peccaminoso, in modo
che non potemo far se non quel che Dio ci move: dunque semo nati giudicati
e non giudicandi;
faccia ognun quel che li piace, perché né il bene può
crescer la gloria e diminuir la pena non che schifarla, né il male può
tôrci la
gloria, né diminuirla, né la pena aggravare.
Però Sua Beatitudine mi disse ch’io ci provvedessi a questo: e l’ho fatto in
questo libro. Di grazia, Vostra Signoria procuri
che il Padre Mostro e il Padre
generale, perpetui miei persecutori gratis, non persuadano a questi
signori
che sia impedito. Di più, scrivo al Padre Mostro l’inclusa cartella; Vostra Signoria
ce la dia lei o la faccia
dar da Favilla o dal Conte, e mi procuri questo
libro che mi tiene ingiustamente, approbato da quelli a chi fu da lui e dal
Padre
generale commesso. Scrissi al signor cardinale Antonio e a Sua Beatitudine
e all’Ambasciatore cristianissimo e al
Padre Marini, secretario dell’Indice,
che mi sian disbrigati i libri stampati e ritenuti ingiustamente, a persuasion
del
Mostro, non per teologia, ma per politica. Il libro contra ateisti qua fa gran
frutto, già che tutti l’eretici son
fatti ateisti, e la scola eretta contra loro me
li cerca; se no, lo vol ristampare. Non ci è cosa che osta, se non dui
versi
che spiaceno a Nostro Signore, pensando fossero contra la sua bulla; perché
quelli altri, ch’il Mostro notò contro
la bulla, son notati falsamente, come sa
Favilla e ’l Padre maestro Marino. Però supplico a Vostra Signoria
ch’aiuti
l’opra del signor Ambasciatore, che li dimandarà mi sian rilassati.
Di più, la Monarchia stampata in Iesi qua è necessaria, perché, sendo
approbata dal Mostro e dalla
Religione, è ritenuta solo perché dicono che
dispiacerà a’ prìncipi, mentre difendo le ragion della santa Chiesa: e
questo
è falso pretesto del Mostro, come Vostra Signoria vede, perché questo libro
accorda i prìncipi col papa: non è il
libro del Santarello. Però supplico a
Vostra Signoria sia propizio in ciò; secondo scrissi a molti, il cardinal
Verospi
e altri prometteno aiutarmi; e perché monsignor de Peresc mi cerca con
istanza questo libro di Iesi, la supplico
ce ne mandi uno, e se lo faccia dar
dal Padre commissario del Santo Ufficio, che n’ha, o scriva all’inquisitor
d’Ancona,
mio amico, e subito l’averà. Di grazia, per amor di monsignor
Peresc, chi merita corone e m’ha dato nel passaggio quaranta
doble spagnole
oltre i meriti e officiosità, Vostra Signoria si sforzi mandar un esemplare.
Io li scrivo che ciò
commetto a Vostra Signoria illustrissima.
Le due vittorie della Maestà Cristianissima e li progressi intra la Fiandra
può saperle da’ Nunci, e le consequenze dal
proprio giudizio di Vostra Signoria
illustrissima, stimato da me sopra innumerabili altri. Io lavoro cose
sottili per
servizio del mio Re a gusto di Nostro Signore. Il tempo lo mostrerà
ecc. Le grazie che mi si fanno e gli onori, altri lo
diranno.
Resto al suo comando sempre, le fo umil reverenza e le prego da Dio
ogni contento.
Parigi, 4 giugno 1635.
servitore obligatissimo e cordialissimo
Fra Tomaso Campanella