Tommaso Campanella, Lettere, n. 165
AL GRANDUCA FERDINANDO II DE’ MEDICI,
IN FIRENZE
Parigi, 6 luglio 1638
Serenissimo Granduca,
da che io comminciai a gustar non volgarmente qualche verità del nostro
mondo e del suo autore, onde me vidi
obligato richiamar la gente da le scole
umane alla scola del primo Senno divino, stimai ancora che io e ogni ingegno
egregio portamo grande obligo ai prìncipi Medicei, che, facendo comparir i
libri platonici in Italia, non visti da’ nostri
antichi, fûr caggione di levarci dalle
spalle il giogo d’Aristotele, e per conseguenza poi di tutti sofisti: e comminciò
l’Italia ad esaminar la filosofia delle nazioni con ragione et esperienza nella natura
e non nelle parole degli
uomini. Io, con questo favore fatto al secolo nostro,
ho riformato tutte le scienze secondo la natura e la Scrittura, dui
codici di
Dio. Il secolo futuro giudicarà di noi, perch’il presente sempre crucifige i suoi
benefattori; ma poi
resuscitano al terzo giorno, o ’l terzo secolo.
Per tanto, avendo stampato molte opere in questo paese – ove Dio m’ha
mandato, credo, per questo fine e non per quel che
gli uomini, ignari del
secreto fatale, van dicendo –, ho ardir d’inviar a Vostra Altezza serenissima
il secondo
tomo, dove si tratta la filosofia naturale con novo testo, chiaro,
breve e forzoso, con le dispute aggionte contra tutti
settari del mondo e
stabilimento de la filosofia cristiana, idest veramente razionale. Ci va ancora
aggionta la filosofia morale, la politica et economica, con loro testo novo e
questioni come di sopra. Ci aggionsi
la Città del Sole, idea de ottima republica
e di ottima città inespugnabile e tanto riguardevole,
che mirandola solamente
s’imparano tutte le scienze istoricamente. Ci aggionsi anche un trattato
del governo
ecclesiastico.
Nella prima disputa ch’io fo An sit cudenda nova philosophia, vedrà la
testimonianza del debito di
filosofi alla Casa Medicea; e io in particolare,
per le grazie che m’ha fatto il granduca Ferdinando I l’anno 1593, come
credo
che Laurenzo Osimbardi e Baccio Valori e Ferrante di Rossi n’abbiano
lasciato qualche memoria; e per che causa
non venni alla lezion in Pisa, come
Sua Altezza mi commandava e ’l padre Medici ne sa l’istoria, di chi mi
dispiace
che sia passato tanto presto all’altra vita. Vederà in questo libro Vostra
Altezza che in alcune cose io non accordo con
l’ammirabile Galileo, suo
filosofo e mio caro amico e padrone da quando in Padua mi portò una lettera
del granduca
Ferdinando: può star la discordia delli intelletti con la
concordia delle volontà d’ambidui, e so ch’è uomo tanto sincero
e perfetto,
che averà più a piacere l’opposizioni mie – del che tra me e lui c’è scambievole
licenza – che non delle
approbazioni d’altri.
Al medesmo Granduca io avevo dedicato il libro De sensu rerum, e per
la persecuzion sopragiontami,
ch’il mondo sa, non ebbe effetto; e ogge è ristampato.
Se Vostra Altezza n’averà gusto, lo consignarò al signor conte
Bardi, suo residente, il quale, come dedicato alle virtù, mi suole favorir
spesso, e nel trattare si fa conoscere
per persona dedita alle scienze, alla politica,
all’officiosità, e fa onor alla patria e a chi lo mandò in queste parti.
Io resto al commandamento di Vostra Altezza, e li prego da Dio sempre
maggior felicità a ben di virtuosi e della patria
commune Italia, che sempre
ha ricevuto beneficii e più ne spera dalla prudenza e valor della Casa Medicea.
Parigi, dì 6 luglio 1638.
servitore divotissimo e umilissimo
Fra Thomaso Campanella