Tommaso Campanella, Lettere, n. 123
AL CARDINAL NIPOTE FRANCESCO BARBERINI IN ROMA
Parigi, 3 luglio 1635
Eminentissimo e reverendissimo signore, padrone colendissimo,
le cose che qui occorreno vanno scritte al signor Contestabile e al signor
Conte di Castelvillano; a
Vostra Eminenza no, perché li Nunci avvisano forsi
meglio, ma non più fedelmente che io, che sto qua per casa Barberina
più
che per me, come può veder da uno scritto aforistico, che mandai a Sua Beatitudine,
e dalla Comparsa reggia mandata al signor ambasciatore Novaglia,
pregato che la mostri. E quella porta il vero mezzo di
quetar li lamenti di
tutti, e le querimonie di Spagnoli contra Sua Beatitudine; la qual per mezzo
del Conte mi fe’
assapere ch’io non istampi i suoi poemi col mio Commento;
e ha ragione, finché Dio muta il secolo in cui dura la persuasione di Rodolfi,
quando m’invidiavano i favori di Sua
Beatitudine sostentati con quello scrivere
ecc. Sappia che vado tirando questi signori a credere che Vostra Eminenza
nonè spagnolissima, come dicono, ma di commun padre strumento
primo; e anche li dottori massimi al senno romano in quel che
discrepano.
Nondimeno monsignor Bolognetti [mi tratta] come s’io fossi vostro nemico,
non li bastando ch’io per otto mesi ho obedito a
quanto esso volea,
ch’io non stampassi, pensando che stampavo contra Spagnoli e che scoprivo
la causa perché han fatto
morir Pignatello, per consulta di Rodolfi, affin
dicesse contra me trattante in Roma contra il regno loro ecc. Il che
Vostra
Eminenza sa ch’è falsissimo; ma, dopo che mi vennero li scritti e li donai a
veder alla Sorbona, dottissima e
piissima academia regia – quelli che non
erano approbati ancora in Roma – e mostrai la Filosofia
razionale, approbata
dal Sacro Palazzo e dal Reggente di Santi Apostoli e dal Maestro di studio
della Minerva e
dal Padre maestro Bartoli ecc.
E con tutto ciò, a nome di Vostra Eminenza, disse ch’io non li stampassi,
benché approbatissimi; né li bastò dirlo a me, ma
andò al Guardasigilli del
Re a far instanza che non mi desse il privileggio. E scandalizzò tutti signori e
dottori
volendo soggettare la censura romana alla francesa, e mostrando
spagnolescamente perseguitar me, non la dottrina già
approbata e con utile
della Chiesa. Qua ci son assai ateisti; e ’l mio libro Contra atheos è
cercato
assai, ed è stampato in Roma coll’imprimatur e ’l publicetur; e volevo
ristamparlo
con la censura che Sua Beatitudine mi donò in quel che alla bolla paresse
contrariare e insieme stampar volevo la questione fatta in favor della
bolla, mandata a Nostro Signore per man del
signor cardinal Orige, qui assai
necessaria; e pur il Nuncio non ha voluto, e io l’obedivo. Ma lui, di più,
ha voluto
andar al Guardasigilli per svergognarmi a nome di Vostra Eminenza,
ha svergognato se stesso. E, di più, ha fatto credere che
lui spagnolizza
come creatura di Vostra Emìnenza spagnolissima.
Con tutta ciò, io provai colla lettera che va al signor Mazzarini, che Vostra
Eminenza solo intendea trattenermi di stampar i
poemi di Sua Beatitudine,
com’è vero; e ho dato i libri approbati alle stampe; e vado al Re in
Fontanablois questa
simana a dirli che dentro le viscere del regno, dove promise
difendermi Sua Maestà da tutto il mondo, pato più torto che in
Roma,
donde la persecuzione m’ha disterrato. Perché a ognuno è lecito stampare
con licenza di superiori in Roma e per
tutto; e a me li libri stampati in Roma
e l’approbati qui e in Roma non si concede. Vostra Eminenza, di grazia, lasci
di
credere ch’io sia più ignorante e più tristo del Padre Mostro e del Padre
Ridolfi, e conosca ch’io sempre più son per la
Chiesa, quantunque perseguitato
più, e l’opinion mie son di santi Padri e della natura; e che fatico
per il ben publico,
e però non ho requie; e che tutti santi, Agostino, Ieronimo,
Atanasio, Crisostomo ecc., passâro per il medesimo camino, e
quanti
apportâro miglioramento al mondo fûr crocifissi e poi resuscitâro, tanto
profeti, quanto filosofi, quanto
dottori, e san Tomaso stesso fu condennato
da’ parisiensi dottori in più che quaranta proposizioni, e poi ecc.
Levisi Vostra Eminenza questi pensieri contra me e non dia questi princìpi
di persequitar i vostri servi veri a quei che
pescano cardinalati e grandezze
dalla vostra voluntà; e lo fanno indiscretamente. Non voglio scrivere
in che stima è il
vostro Bolognetto, né che personcelle tiene in Corte con
scandalo ecc., e quanto poco onor fa a’ padroni. Non mancano uomini
dotti
e santi nel mondo e in Roma. Né trovai alcun di tali che mi fosse contra. Io
aspettarò che Vostra Eminenza scriva
che lasci di molestarmi a torto e a nome
vostro, né voglio altro; e parlarò col Re senza dir male ecc. e con gloria
di
Vostra Eminenza sempre, come l’ho fatto contra tutti contradicenti,
quando gli altri vostri taceno per non guastarsi la
menestra ecc.
Resto con obligo infinito a Vostra Eminenza, e la prego che mi tenga per
omo che osservo quel che scrissi in Moralibus ecc., né lascio l’ingenuità mia
in preda dell’indiscrezione. Le bacio le sacre vesti
umilmente.
Parigi, 3 luglio 1635.
servitore obligatissimo, divotissimo
Fra Tomaso Campanella