Tommaso Campanella, Lettere, n. 166

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AL CAVALIER CASSIANO DAL POZZO IN ROMA


Parigi, 27 luglio 1638

Illustrissimo signore e padron osservandissimo,

si sono stampati fin ora quattro volumi delle opere del vostro servo: in
questa simana si finiscono Rerum metaphysicarum libri XVIII, e vederà
che questo libro è la bibia de’ filosofi; vorei mi donasse commodità di mandarli
a Vostra Signoria illustrissima, che sempre s’è degnata d’onorar le cose
mie. Quel che ho fatto qua contra gli eretici, e adesso per l’onor di Nostro
Signore, il signor Contestabile e ’l signor conte di Castelvillano e ’l nostro
Favilla lo sanno. Non lo scrivo a’ padroni, perché le lettere non intrano
a Sua Santità; e questi padroni, ammaliati da’ miei persecutori, se rideno
e sprezzano tutto quel che essi con li loro instrumenti non pônno fare: presto
piangeranno il disprezzo degli avvisi miei.

Supplico Vostra Signoria illustrissima con ogni instanza si forzi farmi
aver le censure, fatte son due anni contro il mio centone De praedestinatione,
poi che il Padre generale e ’l Mostro con li regenti spagnoli della Minerva
non si curano, per far male a me, metter la Chiesa e la fede in bisbiglio e
turbulenza. E con tutto che non hanno potuto ottener dal Sant’Officio che
li proibisca, il Mostro ne fa represaglia, e mi vol cancellare il nome dal mondo,
avendo vietato a monsur Brugiardo di nominarmi nell’orazione funebre
di monsur di Pereche bonae memoriae; e le sue zannate mostruose e inette
dicerie ogni giorno recano novi scandali alla Chiesa romana, e già li dottori
di questo paese ne faranno risentimento.

Lutero vinse il primo punto contra la Chiesa, che non devìa tener beni
temporali; e per questo Carlo V fece il decreto dell’Interim, perché, occupando
li protestanti le ricchezze del clero germano, lui con bona faccia potesse
occupar Roma come lo fece, e la tenne sette mesi. Ma perché nel secondo
punto, che Lutero mosse contra la Chiesa, restò scornato, parendo a
tutti impossibile che l’indulgenze e le opere buone non valessero, né le male,
a consequir ben o male, ma sol ad esequir quel che Dio ha destinato ab aeterno
assolutamente, senza condizioni se saremo boni o mali, ma per suo gusto
di mandar pochi al paradiso e innumerabili all’inferno; onde ne séquita
che nascimur iudicati ex decreto et non iudicandi ex operibus, benché promette
a tutti salvare si osserveran la lege, e in corde suo dice il contrario, perché
non si salveranno se non quelli ch’ha destinato. Il quale dogma fa li prìncipi
tiranni, li popoli sediziosi e li teologi traditori, come Dio, che con la
speranza de li beni eterni, li quali ha risoluto di non darcili, ci priva ancora
de li beni temporali. Dunque, essendo questo contra la politica di tutti principi
– come Aristotele, Platone, Cicerone, Plutarco [dicono], che, si de futuris
contingentibus est praedeterminata veritas, perit lex, philosophia, politica,
exhortatio, imperium, obedientia
ecc., – per questo, dico, cessâro li prìncipi
di occupare il papato, pensando che la vera fede si conserva in quello: e Carlo
V se ne fe’ conscienza, e gli altri prìncipi italiani dissentîro.

Ma ogge, che il padre Bannes e il padre Alvarez, maestro del General e
del Mostro, hanno scritto che tutto fu predestinato da Dio ante praevisionem
meritorum et demeritorum absolute et non conditionate, pro electione
reprobanda ac indiscreta
, tutti li pseudoteologi, non che li eretici, con scritti
e parole e prediche van insinuando nella mente di prìncipi che difender il
papato non è difender la vera fede, sendo la medesima fede quella di papisti
e di Calvinisti e – come scrive La Miletière, chi va persuadendo la scissura
del papato – li Dominicani tomisti e quelli dell’Oratorio son della setta loro,
e capo n’è san Tomaso; dunque difender il papato non è altro che inalzar
la tirannide del papa sopra i vescovi e prìncipi.

Veda Vostra Signoria illustrissima in quanto precipizio hanno spinto
questi miei persecutori lo Stato ecclesiastico e io, perché mostrai san Tomaso
esser contrario a questa loro opinione: perché lui più volte espressamente
scrive che Dio non ha predeterminato li futuri contingenti e liberi, né li conosce
nel decreto, né anche nelle cause indeterminate e mutabili, ma solo
nella coesistenza presenziale delle cose future nell’eternità, come pure il Capreolo
e altri meco affirmano. E però Dio ha tutti in voluntate antecedente
predestinati come padre, tutti fatti all’imagine e similitudine sua e non del
Diavolo ante praevisionem meritorum et demeritorum; ma post praevisionem,
come giudice, ha reprobati solo quelli chi moreno ostinati nel peccato, ed
eletto e confirmato quelli chi«satagunt per bona opera certam facere vocationem
suam», dice san Pietro. E li fanciulli, chi non hanno opere, si salvano
per l’opere di Cristo «ad bona supernaturalia, qui conformantur Christo
per sacramenta in supernaturalibus, et ad bona Dei naturalia illi qui
conformantur Christo in naturalibus tantum».

E con questa dottrina ho tirato molti alla Chiesa, e mentre gli Oltremontani
stavano resipiscendo, perché fin ora da cento anni in qua nissun ha saputo
risponder con satisfazion agli eretici. E io, chi mostro le risposte vere e
senza scrupulo in san Tomaso, che si pônno predicare «in tectis», come dice
Cristo, e la loro opinione proibita dai papi smascararla, perché non è quella
aurea, che Cristo vole sia mostrata a tutti, vedete come son trattato! Però
supplico Vostra Signoria illustrissima mi faccia avere le censure; e se io non
monstrarò che la lor opinion è eretica e la mia catolica, condannarò tutti libri
miei al fuoco. Consideri Vostra Signoria col suo zelo e prudenza quanto
importa questo negozio, e mi favorisca secondo Dio l’inspirerà.

Finisco facciendoli umil riverenza, pregando Dio per la sua esaltazione,
la quale forse è ritenuta dal troppo splendor di suoi meriti.

Parigi, 27 luglio 1638.

Di Vostra Signoria illustrissima
servitore umilissimo e devotissimo
F. T. Campanella

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