Tommaso Campanella, Lettere, n. 152
A PAPA URBANO VIII IN ROMA
Parigi, 3 novembre 1636
Santissimo Padre,
vox incessanter clamantis donec exaudias: «Usquequo, Domine, oblivisceris
mei in finem?» ecc.:
io, che servo a Vostra Santità nel secolo presente e
nei futuri, non solo stendendo, ma anche amplificando gli
onor suoi nella
memoria universale, son uscito dalla memoria di Vostra Beatitudine in manera
che mi lascia morir di
fame e di scommodità son dieci mesi, sapendo
quanto son poco durabili le proviste di Francesi, a’ quali servo fedelmente,
e
non ho pane. Né però gl’incolpo, vedendo che neanche provedeno a se stessi.
E con aver venti millioni d’uomini e
ventisette million di scudi di rendite
al presente, quanti non ha il Turco e Spagna e Italia, e son ascesi questo anno
a trentacinque, e han più pane e vino e carne che il resto della Cristianità
d’Europa, e pur ecc. Io scriverei gran
cose, se Vostra Beatitudine mi desse
licenza, in beneficio della Cristianità, che perderà li beni temporali, perduti
li Francesi; e si perderanno, se non tornano all’obedienza di Carlo Magno,
com’io loro mostrai: e lo scriverò, se ’l
comanda.
Credo Vostra Beatitudine ha visto il libro De monarchia Hispanorum, ma
non quel ch’adesso scrivo
con verità ecc. Provedami dunque Vostra Beatitudine,
come fa a tanti altri intra e fuor d’Italia; né pur son inutile a
santa
Chiesa, avendo ridotti già li dottori, e ora li prìncipi catechizzo all’obedienza
di Carlo Magno. E pur il
libro stampato in Iesi, che può con facilità, senza
rumore, metter in effetto questo antico costume di prìncipi, per gusto
e suggestion
di calunnianti sta serrato; e li libri di nemici al papato aperti, finché
venga la commodità, com’han
la voglia, di pigliarsi tutti beni temporali della
Chiesa e Roma, come fecero in Alemagna, ché sol per questo dogma
gratissimo
a loro fu lasciato predicar Lutero. E quel che fo in Francia e in Anglia
contra eretici Vostra
Beatitudine può saperlo d’altri, bench’il Rodolfi scrive
contra me a tutti, e fa che questi riformati siano spioni suoi di
me per riferir
a chi egli adora, e fa ruinar la gente mia in Napoli.
Di più, la prego che mi faccia dar le censure ch’egli fe’ fare in Roma contra
quel libro, che solo e con le parole di san
Tomaso chiare, e fin ora contrafatte,
può risolvere gli argomenti di nemici, a’ quali in cento anni non s’è
con
verità e sicurtà sodisfatto. Onde i sommi pontefici fûro astretti far decreti
che non si ne disputi in publico. Signale
che non era in bocca loro ancor
chiarita quella dottrina che Cristo ordinò sia predicata nei tempii, nelle
piazze e nei tetti, come si può
far ogge con questo libro a fronte scoverta
con edificazion e senza scandalo. Padre santissimo, non mi lasci opprimere,
ché di ciò succederia l’estremo danno della Chiesa.
Perché, se Lutero ha vinto in dire che Dio con invincibile decreto, ante
praevisionem meritorum et
demeritorum, a capriccio, altri predestinò al Paradiso,
altri reprobò, onde nulla opera serve a mutar sorte né
grado di sorte, sendo
l’opere anche predestinate e fatte da Dio per arrivar al graduato fine della
predestinazione e
reprobazione immutabile – e li nostri tutto questo concedeno,
con dir solo, per rimedio, che avemo la libertà di far bene
e male, ma pur
con tutta questa necessariamente andremo al fin della predestinazione e reprobazione
senza rimedio;
ma in sensu diviso, come dicon, potria esser che
no; ma però mai non potrà esser altrimente, perché
non si può l’uomo dividere
da questo decreto, né alcun mai si trovò né troverà diviso: onde séguita in
ogni modo
quel che Lutero affirma: e già tutto il mondo questo conosce –,
certo subito séguita che Lutero dice verità, che la Chiesa
non deve aver beni
temporali e che questi toccano a’ prìncipi; e che li papisti gabbano il mondo
con predicar queste
opere pie verso la Chiesa, poiché non pônno in verità farci
mutar sorte, sendo nati giudicati e non giudicandi. Vostra
Beatitudine, difendendo
me, difende sé e la santa Chiesa. Mandimi le censure, e vedrà che bisogna
corregger i libri
loro, non i miei. Ricordisi Vostra Beatitudine che questo
assai meglio ella dichiarò a me, quando scrissi sopra la ode del
Penitente, e
al conte di Brassac, che non cessa darli lode per questo e per ogni altra cosa.
Sto aspettando la lemosina e la censura, e prego l’Altissimo per la sua
salute e ben del popolo di Dio. Amen.
Scrissi molte cose importanti circa la mutazion del presente secolo e movimento
dell’Imperio col iusdi Vostra Beatitudine, chi può pur veder in
san Tomaso (opuscolo De regimine principum, libro
III, cap. 19); e che deve
farsi. Ci è qui la profezia antica del chef Barberini, molto in favor
della lunga
vita di Vostra Beatitudine: se mi dà licenza, scriverò questo e più cose.
Parigi, 3 novembre 1636.
Fra Campanella di vostre glorie.