Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 332

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Viceré, perché in vero più piacerebbe a uno di loro essere signore assoluto
e poter ai suoi figli lasciar la signoria, che non esser schiavo nobilitato,
che non può lasciare né dare quel che ha.
E credo che per tanto
non si ribellano, per quanto credono non poterli riuscire, e dubbitano
della fede e dell’aiuto di Cristiani; però se si trattasse con essi fedelmente
e alla stretta, sarebbe facile a tirarli a questo.
Di più, se nascerà qualche uomo da bene tra schiavi, come nacque
Moisè tra gli Ebrei schiavi di Faraone, essendo dal Re autorizzato con
questa credenza solita, potrebbe consumarlo.
Di più, una lega universale de Cristiani, che lo sfidassero a campo
aperto, nella prima o seconda rotta lo disfarebbero, come dissi, non
avendo baroni onde si ristori, massime avendo egli Giudei e Cristiani
assai sotto di sé, che aiuterebbero noi, vedendolo rotto la prima volta.
Ma per fare questa lega bisogna gran sapienza nel Re e gran zelo, o
gran necessità che ci astringa, e bisogna fare patti che ogn’uno abbia la
sua parte de paesi occupati, e che guadagnata la sua, sia obligato
ogn’uno aiutare gli altri, come Ruben e Dan aiutarono i lor fratelli,
dopo che ebbero la lor parte di questa banda del Giordano.
Di più, mostrare a tutti che il re de Turchi è il tipico re delli Assirii,
che avendo espugnato il regno d’Israel, cioè l’Imperio orientale,
<ha da espugnare quel di Giuda, cioè l’occidentale>, se non facciam
penitenza, unendoci insieme sotto Roma, nostra Gierusalemme, come
scrissi nel libro della Monarchia de Cristiani. Il che non facendosi, si perderà
l’Imperio e il sacerdozio, e passerà al mondo nuovo, come ho
provato per ragione politica e forza fatale, e disfatto il Turco da Ciro
tipico, si rinnoverà la Chiesa.
Però

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