Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 114

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XIII
Della giustizia e suo contrario
Se il Re sarà giusto, sarà ogni officiale giusto, e se li grandi saranno
giusti, saranno anche i bassi, ma nissuna cosa noce più al Re quanto il
donar il premio delle virtù al favore degli uomini.
Però facendosi li
officiali a richiesta delli amici, le cose vanno male, tanto più che oggi
li officiali grandi vendono li officii bassi, perché quelli rubbino per sé
e per loro, e non si osservano le pandette delle terre piccole, perché
ognuno, sotto specie d’acquistare giurisdizione al Re, gli acquista odio
e divora i popoli. Però ognuno deve essere astretto a render conto al
popolo dell’amministrazione, il qual refferisca al Re ogni dieci anni di
quello si sente soddisfatto o no.

Si deve ancora provvedere ai falsi testimonii, che il mondo è
pieno, e fare che i fiscali non astringano con parole, non che con afflizioni
di carceri, i testimoni. Ma il meglio sarebbe la pena della pariglia
a chi accusa e non prova, perché oggi sono più le calunnie che le
accuse, e dichiarare in perpetuum inabile ad officio ogni dottore che il
compra, o che per danari perverte la legge.
Deve poi il Re fare che tutti li officiali sentenzino secondo la
legge, e non secondo la ragione di stato o equità o epiceia o buon
governo, come dicono, e poi il Re o altro officiale o Viceré temperare
la severità della legge con grazia (salvo in causa di stato contro il Re
immediatamente) per tirare più a sé la volontà dei popoli.

Di più, levar quell’abuso de giudici che più regna nei più grandi, i
quali conoscendo uno innocente pure lo condannano in qualche
cosella per diffamarlo,

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