Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 174

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Lutero contro la nobiltà. Però si vede oggi che un uomo ha centomila
ducati di rendita, e poi mille uomini non hanno tre docati per uno. Or
questo delli centomila occupa la rendita di mille a cento per uno, e la
spende in cani, cavalli, buffoni, staffe inaurate e puttane, giochi e a
peggio. E se litiga il povero contra loro non può trovar giustizia, onde
si fa fuoruscito o muore in carcere, e il ricco deprime chi gli piace,
poiché il giudice da lui pende, e per favore si fanno i giudici, e per
danari per lo più, massime in terre picciole; e se bene il ricco spende a
servitori assai, questo non giova alla repubblica, ma nuoce: primo,
perché o se li accattiva, e può fare sequela contra il re, come Melio
romano contra la patria, onde i Veneziani senza molti servi vivono per
tal timore; o vero li effemina, e fa adulteri, superbi, ruffiani, ecc., e ne
fa un seminario di vigliacchi, i quali poi, pigliando moglie, deprimono
le genti basse con astuzia, e infettano il seme umano di loro malvagità.

Però i Papi santamente hanno spesso ai prelati proibito i molti servi,
dove in vero è manco necessario proibirli, perché se non son buoni
veramente, almeno in corte loro bisogna che fingano di esser buoni, e
danno manco scandalo.
Però il Re deve procurare l’equalità, primo, levando i molti servi.
Secondo, facendo che per dieci anni i popoli pagassero la metà del
tributo solamente, e il resto pagassero i baroni e quei che non fanno
arte. Terzo, facendo le leggi e usando le arti dette di sopra dei baroni
e usurarii.

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