Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 220

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e altiero nel dominare, e vantatore e astuto in cose minute e non in
grandi, e già si vede che la lingua e gli abiti spagnoli piacciono a tutto
il mondo, e queste maniere dispiacciono, massime per avere essi l’astuzia
de titoli e precedenze in tavola e un passeggiar troppo ceremoniosamente
assottigliati, e perché questi son vizi proprii alla nazione, che
le virtù loro della pazienza, religione, virilità ed eloquenza amacchiano,
non si possono togliere se non con spagnolizzare le nazioni e
insertare le semenze, come si fanno gli alberi. Però dico che donar
mogli a soldati e baroni spagnoli nelli paesi contrarii, è utilissimo, e i
paesi contrarii in Spagna tirare con matrimonii, officii e premii,
quando hanno servito, è megliore. E l’arti sopra scritte da me si possono
considerare, che più dicono che non mostrano di dire, e poi verremo
a nazione per nazione.
Con l’unioni politiche si deve forzare il Re ad unire i stati suoi tra
sé e con l’altre nazioni, cioè con l’ottima religione, di cui strumento
sono i predicatori, ut supra, e con le scienze mirabili e lingue che
hanno da volgere tutte le genti all’ammirazione e aggrandimento di
tal imperio, e facendo li acquisti e guerre sue sempre più tosto con
vicini che con lontani, e andando egli in persona.
Terzo, con fare che
tutte le nazioni concorrano a navigare con lui al Mondo nuovo, e
tesorizzare sul suo, come i Genovesi fanno, e far di modo che l’uno
regno sempre abbia bisogno dell’altro, acciò uniti si stiano, e il contrario
osservare tra nemici, cioè procurare che stiano disuniti di religione,
di tregua, costumi, scienze, di stati, di mercanzie, e delle cose necessarie,
e tener confederazione con chi li può nuocere: le quali cose, acciò
meglio si veggano, tratterò in particolare di tutte le nazioni, commode
o incommode al suo Imperio, e come si possono accomodare.

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