Tommaso Campanella, Lettere, n. 87
A DON FILIPPO COLONNA IN ROMA
Roma, 29 aprile 1632
Eccellentissimo signore e padron mio colendissimo,
supplico a Vostra Eccellenza mi favorisca donar l’inclusa medaglia a
 Nostro Signore, che n’è curioso, come di
            tutte virtù e scienze armario, dicendoli
 che m’è venuta da Calabria, sugli Appennini della Magna Grecia,
 dove la
            tempesta, facendo cader una muraglia antica, ne scoperse più di trecento
 grandi e picciole; e scrivo adesso che si serbino
            per me.
Di più, ringraziar a Sua Beatitudine, ch’ha rimesso i miei memoriali al
 suo teologo ottimo e dottissimo. Ma desidero li doni
            autorità di decidere
 nella causa del mio libro con la bolla; e nell’indice novo, ch’esca fuori senza
 il mio nome per
            le ragioni efficacissime poste nel memoriale, per lo che
 Nostro Signore ordinò ch’io fussi levato, e non è bene che mo sia
            riposto
 contra tal ordine avanti che dui teologi eligendi da monsignor Orige vedano
 se son miei; e se son degni di
            censura. Già che adesso, in luogo di accommodar
 un libro contra ateisti secondo la bolla di Nostro Signore, son
            provvisto
 di cacciar il nome di Valentino Borgia e li fatti, chi pur prima avean
 lasciato correre secondo il
            dovere.
Di più, li può dire, che si faccia dar la ringraziatoria di tutte l’Academie
 d’Europa fatta per la liberazion del
            Campanella. La tiene un dotto parisino,
 che sta col cardinal Bagni.
Di più, ogge fu letta in tavola una lettera del Padre generale, dove priva
 il Padre maestro Firenzuola, vicario apostolico,
            della podestà sopra i frati
 dell’ospizio e d’esso ospizio ecc., e correno fra noi rumori grossi, che
 non posso dire
            fuor del convento. E questo lo dico, perché Vostra Eccellenza 
 lo sapea, della lettera ecc., ma non credea 1’esecuzione, e già è fatta; come
 non credea quella del Amico
            ecc., e pur ecc. Io sto fuori di questi intrichi,
 perché non vado quando son chiamato, né m’impedisco ecc.
Sto aspettando sempre buone novelle della salute di Nostro Signore e di
 Vostra Eccellenza e di tutti suoi, come prego
            continuamente l’Altissimo
 Dio, e per la vittoria di Nostro Signore contra tutti nemici della santa fede,
 e col core. E
            sempre vedrà per prova che non ha più sicuro e fedel servo di
 me: «Etiam si occiderit me, sperabo in eum ecc. Scio cui
            credidi». Finisco
 con umilissima riverenza.
Dalla Minerva, 29 aprile 1632.
servitore fidelissimo e umilissimo
fra Tomaso Campanella ecc.
