Tommaso Campanella, Lettere, n. 106
A NICOLAS CLAUDE FABRI DE PEIRESC IN AIX-EN-PROVENCE
Parigi, 11 dicembre 1634
Illustrissimo e reverendissimo mio signor padrone osservandissimo,
al primo di decembre gionsi in Parigi; m’incontrai a caso a’ signori Puteani,
a’ quali donai la lettera di Vostra
Signoria illustrissima; mi fecero
grandi accoglienze e mi dissero che monsignor di San Floro m’aspettava;
e molti
signori di questa città mi guidâro a casa. Ebbi e ho continue carezze,
benefici, offici amorevoli e visite di gran signori
e letterati; è venuto il signor
Bordelot, Moruoe, Deodato, Caffarelli, il conte di Ghisa, Buttiglier e certi
signori
di conto delli quali non ho il nome, in particolare quello che andò
a Suecia per mover quel Re, e ha tutte l’opere mie, e
dona relazioni assai di
quelli paesi in favor mio. Il Re ebbe a caro ch’io fossi ricorso a Sua Maestà,
e così
l’eminentissimo Cardinale; domane andarò a Ruel per parlarli col signor
Buttiglier e altri, chi hanno ordine di favorirme.
Il Re è andato un po’
più lontano. Oggi mi muto tutto di panni. Fin ora sono stato in riposo, perché
ero assai
scompigliato del viaggio con mal in un piede. Ho parlato con
tutti questi della persona di Vostra Signoria illustrissima, e
tutti con gusto
grande e ammirazione e laudi immense parlano e odeno parlar di Vostra Signoria
come di luminar magno
nelle virtù specolative e morali e nell’esercizio
magnanimo e puro e leale di quelle, in tutta Francia e in tutto il Cristianismo
rilucenti; e io m’onoro assai
con dir quel che posso di lei. E venuto
l’arcivescovo d’Aix a vedermi e non c’ero. In via il Ruffi ha detto al Barrema
chi ero io, e a tutti; e non lo vidi mai, se non come fantasma di sparente
subito, semel in
Avignone, bis in Lugduno, semel in Ruana, semel in
Orléans e semel in Parigi; e potea correr pericolo per queste sue dicerie con
tutti, dovendo star
secreto ecc. A quel suo Maronita imprestai mezza pistola:
non la tornò.
Tutte queste cose dico non per gusto di notar alcuno, ma perché Vostra
Signoria illustrissima sappia e goda che fa bene a
buoni e a mali, come Domenedio,
«qui pluit super iustos et iniustos». Ebbi però da un Gaspar
Vincenzii, gentilomo
avignonese, assai aiuto per via; da Monsignor d’Aix
quanto li dissi, cioè che mi condusse fin a Ruan, e sempre pagai il
cavallo al
suo barbiere e la mensa quanto li padroni ecc.: del che Vostra Signoria illustrissima
si ride, e veramenteè da ridersi.
Ebbi giovedì passato le lettere di Roma, che Vostra Signoria mi mandò, e
li saluti del signor Barone, mio signore; dal quale
mi finse Barrema, quando
fummo in Valenza, ch’avea ricevuto lettera quel giorno, nella quale lo
avvisava chi ero io;
ma poi mi son accorto che fu tratto del Ruffi. Risaluto
caramente anche l’astronomo nostro Cassendi e la prego che conservi
le Osservazioni
per ben di tutti; qui per adesso stamparemo alcune cose. Pregai
il signor Caffarelli che dedicassemo la Medicina a Vostra Signoria illustrissima,
qual è in fine di stamparsi; ma lui mi risponde che l’ha
promessa al
duca di Parma e non può far altro: io non voglio conturbarlo. Ci serà tempo
per altri ecc.: io spero di
far gran bene qui, tanto vedo disposto il mondo,
e per ben di tutti.
Ho ammirato l’ampiezza della Francia montosa e piana – così l’ho distinte
con gli occhi e posi il mezzo in Ruana – e la
feracità di colli, e utilità di
monti, abondanza delle pianure, chi pônno dar pane a quattro regni; e non
ho sentuto
ancora freddo. Anzi, tutte le campagne trovai verdeggianti e fiorite
fin a Parigi: segno di gran bella temperie. Notai le
varietà della terra nella
consistenza e colori e vene di essa, e tutte le differenze di questo eterogeneo
corpo; e non
cede punto all’Italia. Ma d’abbondanza di carni e butiri
supera ecc.; e tutta gente allegra: non trovo lamenti né
malinconie, se non
in quelli ragazzi che per ogni vico e pago e taverna escono a cercar lemosina,
li quali poi subito
ridono. Non han tempo né pônno pensar a male, perché
l’allegrezza natural poco lo permette: son assai men maliziosi che l’Italiani,
ergo assai men di Spagnoli; e però vittoriosi nella prestezza e chiarezza, e
quelli nel tardare e
occultezze.
Stamo sempre allegri. Tutta la nobiltà mi cerca ecc., e io son vecchio e
non buono a tanti favori. Scrissi a Vostra Signoria
due volte, credo; altro
non resta, se non che scriver poi quel che occorrerà.
Resto al suo comando di tutto core; saluto senza fine il signor Barone
e signor Cassendi ecc., e prego Dio
per la sua salute. Scrissi a Roma il tutto.
Parigi, 11 dicembre 1634.
servitore divotissimo e obligatissimo
F. T. Campanella ecc.
de Peresc, padrone mio osservandissimo. In Aix.