Tommaso Campanella, Monarchia di Spagna, p. 102

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XI
Delle leggi buone e male
Il Re di Spagna non può fare nuova legislatura, tanto per ragione
divina quanto politica, perché a lui conviene la legge cristiana con
l’armi e prudenza romana a cui succede. Però bisogna vedere che le
prammatiche che fa non siano molte, e se fosse possibile, che le leggi
tutte fossero in lingua spagnola, perché il mondo la lingua e le leggi
imparasse, e se imparasse a farsi tutto spagnolo, sarebbe bene. Ma poiché
sotto la religione e imperio romano il suo imperio cominciò, la
latina assai li conviene.
Devono le leggi esser tali che il popolo le osservi più con amore
che con timore, vedendo che quelle sono a sé utili. Però quando le
leggi sono utili solo al Re o a pochi suoi, il popolo le odia, onde prevarica,
e nascono le punizioni sopra la roba e sangue loro e li banditi e
loro male azioni. Per tanto bisogna poi fare nove leggi per punire quei
mali, e per quelle altre più nove, e si moltiplicano le leggi, e si diminuisce
l’osservanza, e si odia il principe, e il popolo s’ammutina o
manca di numero, il che più nuoce al prencipe, perché li mancano li
soldati e i tributi.
Però ogni tiranno che fa le leggi utili a sé solo è
ignorante, perché più si consuma, e il Re è savio, che parendo a sé
nuocere, si giova. E in effetto ogni signore più s’aggrandisce quando
egli è populare, che quando è amico di pochi signori de suoi, come
Augusto e Tiberio ne sono contrarii esempi.

Dopo, deve <la legge> conformarsi al costume, perché i popoli
settentrionali fieri vogliono leggi larghe, e con la reverenza essere corretti,
non con la forza: però

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