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fato astrale
Nella sezione si pubblica la traduzione italiana di Germana Ernst di un testo di Tommaso Campanella, De siderali fato vitando, pubblicato a Lione nel 1629 e, l’anno successivo, a Francoforte sul Meno. Il testo latino (negli Astrologicorum libri) è compreso nella sezione testi latini dell’Archivio Tommaso Campanella dell’ILIESI.
Dagmar von Wille,
I consigli di Campanella per contrastare il fato astrale e le sue nefaste conseguenze
Si ripubblica la traduzione italiana di Germana Ernst – omettendo le note – del testo di Tommaso Campanella, De siderali fato vitando, apparso per la prima volta come settimo libro in Id., Astrologicorum libri VII, Lione 1629 e Francoforte 1630 (quest’ultima edizione è stata ristampata in Id., Opera latina Francofurti impressa annis 1617-1630, rist. anast. a cura di L. Firpo, vol. II, Torino 1975). Sull’edizione di Francoforte è basata la traduzione italiana, Come evitare il fato astrale, pubblicata per la prima volta in Tommaso Campanella, testi a cura di G. Ernst, introd. di N. Badaloni, Roma 1999, pp. 655-686 e, successivamente, in T. Campanella, Opuscoli astrologici. Come evitare il fato astrale. Apologetico. Disputa sulle Bolle, introd., trad. e note a cura di G. Ernst, Milano 2003, pp. 63-133. È noto che, per le sue considerazioni, Campanella si rifà al De vita coelitus comparanda di Marsilio Ficino, con quelle fonti antiche che venivano da lui tonificate.
Per quanto ai giorni nostri la concezione circa le cause dei flagelli dell’umanità (pestilenze, carestie) possa essere mutata rispetto a quella di Campanella – per lui riconducibili fondamentalmente agli influssi astrali –, non sono invece cambiati i modi in cui far fronte a emergenze epidemiche. Vista l’attuale mancanza di un efficace antidoto al coronavirus che sta circolando, non appare allora del tutto irragionevole «migrare dalle città nei boschi e nelle selve», purché non in compagnia, «e bruciare le cose che trattengono il contagio» (cap. II, art. 3, 2), ad esempio le mascherine usate; certamente è doveroso guardarsi «dai luoghi pestilenti e fetidi, e quelli nei quali la peste già imperversa» (cap. VI, art. 6, 1). Campanella rievoca la grave peste di Atene descritta da Tucidide e Lucrezio, affermando che spetti al sovrano di «provvedere alle calamità pubbliche, sia che la cometa minacci pestilenza o carestia o guerra» (cap. IV, art. 2, 4). Nei casi di «mali comuni», Campanella consiglia di tenersi lontani dalla comunità: «Infatti i mali comuni danneggiano anche i singoli, in quanto sono parte della comunità. [...] Separati quindi dalla totalità» (art. 1, 1): «Vivi a porte chiuse per due mesi» (cap. VI, art. 7, 1).
Testi
Tommaso Campanella, Come evitare il fato astrale. Apologetico. Disputa sulle Bolle, introd., trad. e note a cura di G. Ernst, Milano 2003, pp. 63-133
Anna Lisa Schino,
Ancora sul fato siderale
L’isolamento di questi giorni e l’impatto sulle nostre vite di un evento che, soltanto due mesi fa, era totalmente inimmaginabile ci fa tornare a riflettere sul tema del destino e del rapporto con la morte. Abbiamo avuto tutti davanti agli occhi le immagini della morte, come quella delle bare stipate sui camion a Bergamo o le tre pagine di necrologi sul «Corriere della sera». Abbiamo dovuto confrontarci con un tema, a lungo rimosso nella nostra società dell’opulenza che aveva addomesticato la morte togliendola dalla vista. Avevamo anche creduto di essere riusciti, se non a sconfiggere, quanto meno a tenere sotto controllo le malattie, allontanare la senescenza e prolungare molto la vita, fino a considerare la morte quasi un fallimento della medicina, da risolvere come prossimo traguardo. È ora invece la pandemia che tiene sotto schiaffo la medicina.
Propongo quindi di rileggere un testo del 1639 che affronta il tema De fato et fatali vitae termino. L’autore è un libertino erudito, Gabriel Naudé, che pone al centro della discussione il tema del determinismo astrale o fato siderale, della credulità e superstizione popolare e dei poteri della medicina. Si tratta della quinta delle Quaestiones iatrophilologicae, pubblicate tra il 1632 e il 1639 durante il decennio che Naudé trascorse in Italia, prevalentemente a Roma. Tutti insieme i cinque testi apparvero in Gabrielis Naudaei PENTAS quaestionum iatrophilologicarum (Genevae, apud S. Chouët 1647). La quinta questione era già stata pubblicata in un volume miscellaneo a più autori, curato dal medico olandese Johann van Beverwijck (Joh. Beverovicii Epistolica quaestio de vitae termino, fatali an mobili? Cum doctorum responsis. Pars tertia et ultima, nunc primum edita, Lugduni Batavorum, ex officina Io. Maire 1639, pp. 1-82; rist. anast. a cura di A. L. Schino, Lecce, Conte editore, 1995). Nelle cinque Quaestiones vengono affrontati in maniera originale i problemi della qualità e durata della vita, della strettissima connessione tra corpo e mente, e dei compiti e poteri del medico, nel contesto di una polemica antiastrologica, antideterministica e antiprovvidenziale. I problemi trattati sono più attinenti alla salute che alla medicina in senso stretto: Naudé si pone sulla linea degli umanisti del Rinascimento con interessi storici e antiquari, che guardavano alla medicina come narrazione e descrizione di eventi individuali e collettivi, e non semplicemente come strategia diagnostica e terapeutica. Sarebbe riduttivo, però, circoscrivere gli interessi di Naudé a un ambito esclusivamente storico-erudito; ciò che più gli sta a cuore è porre delle domande, in particolare sulla durata della vita: da cosa è determinata, se i moderni vivano più a lungo degli antichi e perché; se e con quali strumenti sia possibile proteggerla e prolungarla. L’argomento che più interessa il Naudé iatrofilologo è, innegabilmente, il rapporto vita/morte.
In particolare, nella Quaestio de fato Naudé si impegna in una ricognizione sistematica del tema del determinismo astrale. In un lungo excursus storico tratta delle credenze ingenue e superstiziose dei popoli dell’antichità, discute la concezione del fato secondo i platonici, gli aristotelici e gli stoici, e ridicolizza la sciocca fiducia negli astrologi dei suoi contemporanei, contro cui richiama le sensate argomentazioni di Mersenne e di Gassendi. La quaestio può essere scomposta in due parti: una prima e più lunga pars destruens, di impianto filosofico, che costituisce una serrata critica all’astrologia giudiziaria, cui segue una pars construens che consiste nella difesa del libero arbitrio e soprattutto dell’arte medica, con la proposta di una sorta di modello epistemologico alternativo all’astrologia, quello medico: secondo Naudé gli uomini, quotidianamente preoccupati della durata della propria vita, devono sostituire agli oroscopi dell’astrologia giudiziaria i precetti della medicina al fine di conservarsi in buona salute per lungo tempo.
Testi
Gabriel Naudé, De fato, et fatali vitae termino (Quaestio quinta iatrophilologica; edizione: Genevae, apud S. Chouët, 1647, pp. 157-332). , Trascrizione a cura di A.L. Schino. ILIESI-CNR 2020