Tommaso Campanella, Epilogo magno, p. 567

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cagione, et perché conosce sé degno et atto di far bene a
tutti et di vincere con cortesia gli animi bestiali
et farli humani. Il che è proprio di Domenedio.
l’opposto
vitio è l’abiettione et viltà, la quale non ama gli honori
perché non conosce la loro bellezza, ma non perché li
sprezza come il generoso; e spesso teme, né si confida
ben mantenerli; et honora i potenti et ricchi non come migliori
et benefichi, ma come possenti et forti a fargli male.
l’altro vitio estremo è la superbia, la quale ama quegli
honori di cui non è per virtù degna, et mette quelli per
sommo bene et non per testimonio di virtù et di bene; et
quando ne è privato tutto s'affligge et sconfida vivere;
et essendo maltrattato et imprigionato si reputa
indegno d'honori grandi. Il che non fa il magnanimo, che
sempre si reputa quale egli è con verità, e non riscatta la
vita con danari, ma diventa signore de suoi malfattori
morendo per giusta causa, et con la morte sigilla la defensione
della raggione, et dimostra ch'egli è Prencipe per
natura se non per fortuna.
Così hoggi Pietro et Paolo
sono Padroni di Roma, le cui statue et memorie son gettate
a terra, e quelle de i Santi drizzate su ne i tempij et altari;
et Socrateè lodatissimo et i suoi occisori biasmatissimi.
Et quello diede legge con parole et vita et morte, et ogn'uno
desidera esser quale egli fu; et questi sono
odiati, et nessuno vorrebbe essere qual essi furo.
Quando
il Senno diede questa virtù allo spirito humano, che era di

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