Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 28

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madrigale 6


Amor, che dal Valor e Senno Primo
procede e lega que' con dolce nodo,
del Sommo Ben, ch'è l'esser suo mai sempre,
è voluntate e gaudio sopra modo
di sé a sé, sicur ben, sempre opimo.
Amor, infuso del mondo alle tempre,
del suo gaudio e comodo è pur desire,
che nel futuro mai non si distempre,
ond'egli perda il sembiante divino.

Ma l'amor, che 'l destino
Fe' alle parti meschino,
più tosto è desiderio che gioire
del proprio ben, che va sempr'al morire.

Amor dunqu'è(a) piacer d'immortal vita
in tutti: ma chi in sé perderla sente,
la cerca altronde, e 'l consiglio l'invita
a trovar via di non morir repente.

Commento dell'Autore

L'Amor divino, ch'è lo Spirito Santo inteso personaliter e appropriate, e non essentialiter, è un gaudio e volontà gioiosa senza misura, a sé di sé, id est del proprio essere, che è il sommo bene di esso Primo Ente e di tutti gli altri. Perché il gioire è amor dell'obbietto unito alla potenza; il desiderio è amor dell'obbietto non posseduto. E però l'amor infuso al mondo, benché sia in parte gioire dell'esser che ha, nondimeno è pur desiderio di perpetuar quel che ha, perché non l'ha da sé, ma da Dio, a cui solo è amor gioia senza desio. Il terzo amore è delle parti mortali del mondo, e più desiderio che gioire, se bene alcun gioire del proprio essere; ma il desiderio di non perderlo lo affligge. Distinti gli tre amori, definisce amore esser, non desiderio, ma piacer di vita immortale in tutti, ed anche in Dio: ma chi non l'ha da sé, teme perderla, ed invita il consiglio a trovar via di non perderla. E questo, quando è saggio, gli dice che s'accosti a Dio immortale per immortalarsi; quando è stolto, a' beni mortali.

Note di GLP

(a) L'originale reca: dunque (Scelta 1622, 28).

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