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CXXIX. Diego Sarmiento de Acuña al Marchese de Guadaleste (Londra, 17 aprile 1614).
PRO. 31/12/5, ff. 12v-13v.
Minuta.
Al Marques de Guadaleste del Consejo de su Mag.d y su Embaxador en Flandes a 17 de April 1614.
Esta semana he rezibido la carta de V. S. de 8 de Abril y olgado mucho con todo lo que V. S. me dize en ella y particularmente con las buenas nuevas que me trae de la salud de V. S. y de mi señora la Marquesa cuyas manos besamos Doña Costanza y yo mil vezes.
Toda la merced que V. S. se sirviere de hazer a Juan Maria Ginoves que encomende a V. S. los dias pasados sera muy bien ampleada como lo sera tambien en Iulio Cesar su compañero que he entendido ha llegado a esa Corte y cierto que su salida de aqui y lo bien que procedieron en esta hultima ocasion ha sido de gran consuelo, y exemplo para los buenos de aqui y de confusion para los malos que han quedado arto corridos y avergonçados de que sedes aya salido esta presa de las manos.
Otro gentilhombre Napolitano que se llama Don Pedro Arlense tambien me dizen que ha llegado ai de que yo estoy muy contento por verle fuera deste Reyno donde aunque ha vivido como cotholico no ha dado tan buen exemplo como deviera.
Dizenme que ha hecho malos oficios a esotros dos camaradas pero de ninguna cosa que dijare se deve hazer caso y yo lo advierto a V. S. porque se guarden del que a mi me ha puesto aqui en muchos cuidados el no haverle conocido bien a los principios.
Si mostrase por alla alguna fe mia o de mi confesor o secretario como alli me dizen que lo hazia, sepa V. S. que son falsos que entre otras gracias que tiene este personage dizen que es esta una y assi suplico a V. S. lo dija al nuncio de su Sanctidad y a todos esos señores y en las mas partes que pudiere, guarde Dios a V. S. como deseo en Londres a 17 de Abril 1614.
Dios alumbre con bien a mi señora la Marquesa que yo axeguro a V. S. que no tiene en el mundo servidor que mas se alegre desto y de todos los buenos suzesos de V. S. y de su casa de Dios a V. S. todos los que mereze que seran muchos.
El ordinario que viene escrivire a V. S. daryo y le dare cuenta del parlamento de aqui que fue acto muy solene y aunque en el no puede entrar nadie que no sea del mismo parlamento hizo el Rey poner una cortina de tafetan junto a su dozel donde estuvimos el Señor Embazador de sus Altezas y yo de que me han dicho que brama el de francia.
Hizo el Rey una muy larga, y dizen que bien conzertada oracion en Ingles todo yra el ordinario que viene si plaze a Dios y agora beso las manos de V. S. por el cuidado de embiarme la carta de la Reyna de francia.
Al Marchese di Guadaleste, del Consiglio di Sua Maestà e suo ambasciatore in Fiandra. 17 aprile 1614.
Questa settimana ho ricevuto la lettera di V. S. I. dell’8 di aprile ed ho gradito molto tutto ciò che la V. S. mi dice in essa e particolarmente le buone nuove che mi fornisce intorno alla salute di V. S. e della mia Signora la Marchesa, le cui mani Donna Costanza ed io baciamo mille volte.
Tutto il favore che la S. V. si è degnato di fare a Giovanni Maria Ginocchio, che raccomandai alla S. V. i giorni passati, sarà molto ben impiegato come lo sarà anche per Giulio Cesare, suo compagno, che – ho inteso – ha raggiunto codesta Corte e certo la sua fuga di qui e il bene che essi ricevettero in questa ultima occasione è stato di gran conforto ed esempio per le buone persone di queste parti e di confusione per quelle cattive che si sono mortificate e vergognate per le sedi dalle quali è sfuggita loro dalle mani la preda.
Mi dicono che anche un altro gentiluomo napoletano che si chiama Don Pietro Arlensi è giunto colà. Sono molto contento di vederlo fuori da questo Regno nel quale, benché abbia vissuto da cattolico, non ha dato buon esempio come avrebbe dovuto.
Mi dicono che ha reso cattivi servigi a codesti altri due compagni. Perciò di nessuna cosa che dice si deve far caso e avverto la S. V. di guardarsene poiché qui mi ha creato molti disagi il fatto di non averlo conosciuto bene fin dal principio.
Se millanta colà alcune confidenze con me o con il mio confessore o con il mio segretario [Agustín Perez], come lí mi dicono che faccia, sappia la S. V. che sono falsi coloro che dicono che tra le altre grazie che vanta questo personaggio vi sia anche questa; cosí supplico V. S. di dirlo al Nunzio [Bentivoglio] di Sua Santità e a quanti piú è possibile di codesti signori. Dio la conservi come desidero. In Londra, il 17 di aprile 1614.
Dio illumini di bene la mia Signora Marchesa: assicuro che la S. V. non ha al mondo un servitore che piú si feliciti di ciò e di tutti i buoni successi della S. V. e della sua casa e che Dio conceda a V. S. tutti i successi che merita e che saranno molti.
Con la posta ordinaria darò conto alla S. V. dell’ultima riunione del Parlamento di qui: fu atto molto solenne e, benché in esso non possa essere ammesso nessuno che non ne faccia parte, il Re fece collocare una tenda di tafetà, unita al suo dorsale, dove stemmo io e il Signor Ambasciatore delle Loro Altezze [Barone di Hobboque, ambasciatore di Alberto di Asburgo e di Isabella, figlia di Filippo II di Spagna], del quale mi hanno detto che aspira all’ambasciata di Francia.
Fece il Re una molto ampia e – dicono – ben concertata orazione in inglese. Se a Dio piace, di tutto avrà notizie con l’ordinario che viene e ancora bacio le mani di V. S. per la premura di inviarmi la lettera della Regina di Francia [Maria de’ Medici].
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