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CXXXIV. Diego Sarmiento de Acuña a Giovanni Garzia Millini (Londra, 15 maggio 1614).
PRO 31/12/5 ff. 42r-43v.
Al Ill.mo señor Cardenal Melino a 15 de Mayo de 1614.
He rezibido la carta de V. S. I. de 22 de Marzo en que se sirve de avisarme como su Sanctidad me haze merced de darme licencia para leer libros proividos mientras estoy en este Reyno y he estimado esta gracia y favor mucho porque el secretario de lenguas y otros me traian algunas vezes libros y papeles de los hereges y inadvertidamente los tornava y començava a mirallos y despues me causava mucho escrupulo a quello pero como no son materias de mi profesion porque aunque la lengua latina no se bien y haze tanto horror oyllas y entendellas no me embarazo ni ocupo mucho en ello antes aviendome traido ha quatro dias un libro que ha impreso aqui un Casabona contra el Señor Cardenal Varonio hize bolvelle al librero por que me parezio que no era justo que Embaxador del Rey Catolico viese tal libro ni aun le tornase en la mano pero como digo a V. S. I. para otras algunas cosas que se ofrezen tengo por muy nezesario el favor que nuestro santissimo padre me ha hecho.
Y por ello y por las gracias que su S.d se sirve tambien de conzeder al Padre maestro fray Diego de la Fuente mi confesor beso muy humilmente sus Sanctissimos pies y las manos de V. S. I. por lo que le ha favorezido y ayudado.
A fray Nicolao ferrara Apostata de la horden de los capuchinos que ha catorze años que estava en este Reyno perdido he dicho lo que V. S. I. me manda de la gracia que su S(antida)d le haze de admitille a la ovedienza y gremio de los fieles y se ha enternecido con tantas lagrimas de arrepentimiento de lo pasado y con tanta alegria y consuelo de verse en este estado y tan firme proposito de ser firme y bueno de aqui adelante que zertifico a V. S. I. que con ser yo tan ruin me ha enternecido y hedificado mucho y assi se partirá esta semana a flandes si plaze a Dios a hecharze a los piés del Señor Guido Bentibollo Nuncio de su S(antida)d.
Iulio Cesar y Iuan Maria de la horden del carmen husaron ya de la gracia de su S(antida)d y estan en flandes, certo dificultoso fue librarlos de aqui porque el Iulio Cesar era huesped y comia a la meza deste que llaman Arçobispo de Cantuaria que reside aqui y es la primera persona deste Consejo de Estado, y el Iuan Maria era huesped del que llaman Arçobispo de Yorque y eran estimadissimos porque tienen avilidad y ingenio y assi yvan aqui con esperanzes de hazernos con ellos gran daño y aviendo venido el Iuan Maria de Yorque donde estava con aquel Arçobispo y sido avizado aqui este de Cantuaria que el y el Iulio Cesar tenian con migo tratos e ynteligencias, sospechando el caso les hizo una larga platica de ruegos y amenazas en diestro modo y no satisfaziendose de sus respuestas los prendio en su misma casa en aposantos diferentes, pero sin tratallos mal.
El Iuan Maria se hecho una noche por una ventana y pasaron en esto grandes cosas, hultimamente le tuvimos escondido hasta que yo le embie una noche con otro criado mio muy platico y le puso en salud.
Con esto el Arçobispo hizo poner en la carçel publica al Iulio Cesar con estrechissimas ordenes pero el tuvo tal inteligencia qua sin ayuda mia se salio de la carzel y llego a mi casa a las ocho de la noche y aunque a el le parezia que seria bien dar cuenta desto a algunos Italianos de su tierra y sus amigos que podrian ayudalle a mi me parecio que el comunicallo no podia servir demas que perder tiempo y estender la platica y que la cosa estava tan sangrienta que qualquiera que se metiera en ello corria mucho peligro y yo avia de salir y defender su causa por propia y que assi el menor inconveniente para qualquier acontenmiento era ser yo el autor dello con lo qual me resolui en que al punto antes que se supiese de su salida ni se pusieren guardar era bien ponelle en salvo y assi con un criado mio le hize embarcar y que quatro o cinco leguas de aqui se metiere en el primer Vagel que pasase a flandes y assi se hizo ayudando Dios a ello como cosa de su servizio.
Esotro dia por la mañana huvo grandissimo ruido al carzelero le pusieron en otra carzel muy rigurosa donde todavia esta pusieronse muchas guardas en todas partes y hizieronse grandes diligencias y al Arçobispo ha dado una gran querella al Rey contra mi y dicho publicamente en el Consejo que quando las pazes con España fueran muy hutiles no podian sello tanto como hera dañosa y perjudicial al Estado mi axistencia a qui y al gran chanziller dixo que Embaxador de España no convenia que le huvieze aqui encareziendo mucho lo que para en mi casa y en la capilla que tenemos en ella y que el Domingo de Ramos y la Semana Santa huvo procesiones y se hizieron los ofizios como si estuvieramos en Roma o en Sevilla que assi lo dixeron y que avian asistido el Domingo de Ramos mas de tres mil Ingleses en la procesion.
El Rey me ha embiado algunos recados dandome cuenta desto muy cortesmente y le he respondido y dicho de palabra ablandome tambien en ello que yo me olgara de ser tan bueno como a el le dezian que era ablandole en esto algunas vezes de galanteria quanto mas de veras abla el porque desta manera se dize mejor y con menos sangre lo que es razon.
Hame parezido justo dar tan particular cuenta dello a V. S. I. aquien guarde nuestro señor con la felizidad y aumento que es menester y yo deseo en Londres a 15 de Mayo 1614.
Ho ricevuto la lettera della S. V. del 22 di marzo [vedi la lettera di Millini del 22 marzo 1614], in cui Ella si degna di avvertirmi che Sua Santità mi ha fatto la grazia di concedermi il permesso di leggere i libri proibiti finché mi trovo in questo regno ed ho apprezzato molto questa grazia e questo favore perché il segretario, che mi fa da interprete [Francis Fuller], ed altri mi passano talune volte libri e carte degli eretici che inavvertitamente scorro e comincio a leggerli e poi mi sento preso da molti scrupoli, pur trattandosi di materie che non rientrano nella mia professione, perché, anche se non conosco la lingua latina e ne trovo fastidioso l’ascolto e la comprensione, non mi lascio imbarazzare, né perdo troppo tempo in tale lettura; quattro giorni fa ho avuto tra le mani un libro stampato qui dal Casaubon contro il Cardinale Baronio e fui costretto a metterlo da parte, benché non ritenessi giusto che un ambasciatore del Re Cattolico vedesse tal libro o che qualcuno glielo porgesse tra le mani e dico a V. S. I. che anche per altre cose che qui capitano ritengo molto necessaria la grazia che il Nostro Santissimo Padre mi ha fatto.
Per questo e per la grazia che Sua Santità si è degnata di concedere al Padre maestro fra’ Diego de la Fuente, mio confessore, bacio umilmente le mani e i piedi di V. S. I. per ciò che mi ha favorito e aiutato.
A fra Nicolò da Ferrara, apostata dell’ordine dei cappuccini, che era perduto in questo regno da 14 anni, ho detto che la S. V. mi comanda di informarlo della grazia che Sua Santità gli fa di ammetterlo alla sua obbedienza e nel grembo dei suoi fedeli; ed egli si è intenerito, versando tante lacrime di pentimento per il suo passato, ed ha manifestato tanta allegria e conforto nel vedersi in questo stato e cosí fermo proposito nel restare qui saldamente e tenere una buona condotta, che posso attestare alla S. V. che, essendo io molto debole, mi ha intenerito ed edificato moltissimo, sicché – se a Dio piace – partirà di qui questa settimana per le Fiandre per gettarsi ai piedi del Signor Bentivoglio, Nunzio di Sua Santità.
Giulio Cesare e Giovanni Maria dell’Ordine del Carmine hanno già fruito della grazia di Sua Santità e sono nelle Fiandre. Certo fu difficoltoso liberarli di qui, perché Giulio Cesare era ospite e mangiava alla mensa di quello che chiamano Arcivescovo di Canterbury che risiede qui ed è la prima persona di questo Consiglio di Stato, e Giovanni Maria era ospite di quello che chiamano Arcivescovo di York; erano entrambi stimatissimi per essere dotati di capacità ed ingegno ed erano stati chiamati qui con la speranza di servirsi di essi per fare gran danno. Giunto Giovanni Maria da York, dove stava con quell’Arcivescovo, il Primate di Canterbury, informato che lui e Giulio Cesare tenevano con me relazioni ed accordi, insospettito, fece loro un lungo sermone, abilmente intessuto di domande (a trabocchetto) e di minacce; e non essendo rimasto soddisfatto delle loro risposte, li fece imprigionare nella sua stessa dimora in alloggi separati, ma senza trattarli male.
Giovanni Maria si gettò una notte [tra il 13 e il 14 febbraio 1614] da una finestra e intorno a ciò si creò un gran clamore; finalmente l’ho tenuto nascosto fino a che l’ho inviato una notte con un altro mio domestico molto pratico e l’ho posto in salvo.
Dopo di ciò l’Arcivescovo fece porre Giulio Cesare nel carcere pubblico [cioè nella gatehouse] sotto strettissima sorveglianza. Questi, tuttavia, ebbe tale intelligenza che senza alcun mio aiuto fuggí dal carcere e trovò riparo nella mia casa alle otto della notte e, benché a lui sembrasse opportuno dar conto di tutto ciò ad alcuni italiani della sua terra, suoi amici, che avrebbero potuto aiutarlo, io ritenni che darne notizia non poteva servire ad altro che a perdere tempo e a perdersi dietro alle parole e che la cosa era tanto sanguinante che chiunque si fosse inserito in essa avrebbe corso un gran pericolo ed io dovevo cavarmela a difendere la sua causa come se fosse mia; cosí il minore inconveniente che mi potesse capitare era quello di essere ritenuto io l’autore di quella (fuga); perciò decisi di portare la cosa a buon fine e, prima che si sapesse della sua fuga e che si potesse ostacolare la sua salvezza, era bene porlo in salvo; cosí con un mio domestico lo feci imbarcare e diedi ordine che a quattro o cinque leghe da qui fosse messo sul primo vascello passante per le Fiandre e cosí fu fatto con l’aiuto che Dio diede a lui come a cosa di suo servizio.
La mattina del giorno dopo per il grande scalpore posero il carceriere in un altro carcere molto rigoroso, dove ancora è tenuto. Furono poste molte guardie in tutte le parti e si fece grande diligenza. L’Arcivescovo ha fatto una grande lamentela al Re contro la mia persona ed ha detto pubblicamente nel Consiglio che non era tanto utile la pace con la Spagna quanto era dannosa e pregiudizievole allo Stato la mia assistenza qui e il gran Cancelliere [cioè Thomas Egerton, Lord Ellesmere] disse che non era conveniente che l’ambasciatore di Spagna fosse qui molto esaltato, perché nella mia casa, e nella cappella che teniamo in essa, la domenica delle palme e la settimana santa si fanno processioni e si celebrano le funzioni religiose come se fossimo in Roma o a Sevilla e cosí gli dissero che la domenica delle palme avevano assistito piú di tremila inglesi alla processione.
Il Re [Giacomo I] mi ha inviato alcuni messaggi, dandomi conto di ciò molto cortesemente ed io gli ho risposto e gli ho detto, confidandomi a voce con lui, che avrei gradito essere tanto buono come a lui era stato detto, che avrei potuto usare per ciò alcune forme di galanteria piú che di schietto linguaggio, perché in questo modo si parla meglio e con meno sangue di quanto sia necessario.
Mi è parso giusto dar conto tanto dettagliato di ciò a V. S. I. Che Nostro Signore la conservi con la felicità e i progressi che sono necessari e che io desidero. In Londra, il 15 di maggio 1614.
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