Tommaso Campanella, Lettere, n. 111
AL CAVALIER CASSIANO DAL POZZO IN ROMA
Parigi, 14 marzo 1635
Illustrissimo signor mio osservandissimo,
come proemio, sa Vostra Signoria illustrissima che, per fuggir le persecuzioni
e tradimenti orditi
in Roma e in Napoli, son venuto al Re Cristianissimo,
dove trovai tanta umanità, ingenuità, valore, abondanza, sicurtà,
riposo,
che ben intendo che Domenedio ha voluto consolar la mia vecchiezza.
Non dico che non ci sia qualche vizio da
temere e guardarsi, ma respective
ecc. La Maestà Cristianissima m’ha usato tal modo di favori in presenza di
tanti prìncipi, ch’ognuno s’è stupito, e
dissero che mai a nissun principe secolare
o ecclesiastico ha fatto tanto onore: il tutto scrivo all’Eccellenza
di
Novaglia, mio liberatore, da cui potrà saperlo minutamente, e le stanze
che mi fûr date, e li donativi, e la pension
annua del Re. Lo scrivo a Vostra
Signoria illustrissima, ch’è mio padrone; ma perché nel secol aureo scrive
Virgilio
che
Pauca tamen suberunt priscae vestigia fraudis ecc.,
sappia che fin qua scrissero da Roma contra me,
ma quanto li satelliti dell’Achitofellista
m’han fatto contra risultò in loro danno e biasmo ecc. Laus
Deo.
Quando fui in Aix, dopo la gran memoria fatta di Sua Beatitudine e de
l’eminentissimo Barberino con testimonianze vere in
casa di monsignor de
Peresc – degnissimo di perpetue laudi e d’ornar la romana purpura, se li
padroni volesser pensar un
punto ecc. – , si ragionò di Vostra Signoria
con molto onore; e qui trovai un foglio stampato della mia Medicina, e
ciò fu a’ 30 quasi d’ottobre. Poi, venuto in Lugduno, trovai che erano stampati
quattro libri. E
perché stavo in abito strano e incognito, vidi e non dissi
altro, se non che Campanella vorrebbe questo libro più acconcio
ecc. Poscia
al 1° di decembre gionsi in Parigi; e sono stato venti giorni senza uscire di
casa dell’illustrissimo
monsignor di Sanfloro, persona di incomparabile bontà,
religiosità, officiosità, carità non finta, di poche parole e di
molti fatti, a
cui dovevo me stesso rispetto a suo fratello, mio liberatore: ma adesso mi
ha raddoppiato l’obligo questo
signore.
Scrissi a monsignor nunzio Bolognetti; e quando fui sano e rivestito, quasi
a’ 20 di decembre, l’andai a
visitare e sottoposi me e tutte cose mie all’obedienza
sua, come Nunzio di Nostro Signore. Mi fece accoglienze e
m’impose
ch’io non stampassi qualche libro senza lui. Io dissi quel ch’era vero,
che avevo da Aix scritto a Nostro
Signore che mi dia per giudice il cardinal
di Riceliù e la Sorbona, e così scrissi poi all’eminentissimo Barberino e
che
non farò mai cosa senza lor gusto, per obligo religioso e per la gran beneficienza
di Sua Beatitudine verso me.
Adesso è uscita fuori la Medicina, e ’l Nunzio si lagna di me, come s’io
l’avessi gabbato e fatta
stampare; cercò di impedir il privilegio: e ’l Guardasigilli
lo donò senza ch’io dicessi una parola. perché questo negozio è
del
signor Gaffarello, che portò il libro da Venezia, e Nostro Signore e ’l Santo
Officio sa ch’io donai tutti libri
miei a Scioppio, a Tobia, a don Virginio
Cesarini e a tutto il mondo ecc. Ora mi scrive Favilla, delli 20 decembre,
che
Vostra Signoria li fece vedere li quattro libri di detta Medicina; onde
si vede ch’è venuta a Vostra
Signoria in novembre, avanti ch’io fossi in Parigi,
non che parlato col Nunzio. Però supplico a Vostra Signoria lo dica
al
signor Cardinal padrone, perché sappia ch’io son puntuale come sempre e
che non farò cosa in suo disgusto per la
vita. Se scrivesse il Nunzio ecc.; ma
ci ha poco guadagnato, perché questi signori l’hanno per spagnolo e mi dicon
che
lui disse ch’io dirò nel libro mal di Spagnuoli, e io, né scrivendo, né
parlando, dico mal di questa gente: son venuto per
quiete, non per litigi ecc.
Aspetto la licenza del signor Cardinale, e li scritti fatti sopra i poemi di Nostro
Signore
per memoria delli benefici e clemenza di Sua Beatitudine, la cui
grazia mi fu tanto insidiata, che ricorsero a Spagna e al
murmur d’astrologizzare
insieme per appiattarmi: e adesso mi privâro d’Italia: e tutto questo
fe’ una superba invidia di
duoi. Dio li perdoni e apra gli occhi a quelli signori
verso lo vero.
Resto al suo comando, desideroso di servirla, e prego Dio ecc. Amen.
Parigi, 14 marzo 1635.
servitore affezionatissimo
Fra Tomaso Campanella
cavalier e filosofo, padrone osservandissimo.
Roma, appresso l’eminentissimo Barberino.