Tommaso Campanella, Lettere, n. 136

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AL CARDINAL NIPOTE FRANCESCO BARBERINI IN ROMA

Parigi, 21 aprile 1636

Eminentissimo e reverendissimo signore e padrone colendissimo,

coloro che a Vostra Eminenza si sforzâro persuader che non sia vera l’abiura
del Marchese firmata e sigillatacoram testibus, devean insieme persuaderli
che rispondesse a nome di Sua Beatitudine al detto Marchese d’Asserach
una consolatoria; e che monsignor Nunzio ci la consignasse e li dicesse: –
Questa è risposta all’abiura che Vostra Signoria illustrissima mandò a Sua
Beatitudine per via del padre Campanella. – Ma perché Vostra Eminenza
mi facesse mal per bene, desiderano non si sappia questa verità. E altre assai:
cioè ch’ogni giorno io rispondo agli eretici e ateisti, e restano convinti
con modi mirabili, secondo per tutti puntoni di Parigi ho posto le cartelle.
E tutti vengono, odeno e poi dicono esser satisfatti; altrimente, non li licenzio.
Vostra Eminenza mai non ha voluto conoscer co’ sensi suoi, ma d’altri;
ma presto senterà cosa del suo servo, che tutto il mondo sforzerà Vostra
Eminenza a mutar opinione e amarmi in grado supremo, quando al suo
gran zelo s’accoppierà la mia sperienza. Di più, l’avviso ch’io mostrai a questi
signori ch’ella non era contraria al Cardinal Duca né alla Sorbona, ch’io
presi per giudici nelle stampe. E ’l Cancelliere fece fare secreti esamini nei
miei libri, oltre di quelli che l’han approbati, per l’istanza di Nunci, d’altri
teologi suoi, i quali determinâro per me.

Sappia anche che tutti conventi di Francia stanno in rumori. Perché, sendo
eletto il Padre maestro Mallet per provinciale, il Padre generale non lo
volle confirmar in quattro mesi, non ci essendo vizio nell’eletto né in la elezione.
E però il Cardinal e ’l Re ordinâro ch’eseguisca il suo officio secondo la
bolla di Paolo II. E ora il Padre generale mandò una scomunica contra chi
l’obedisce, e un breve apostolico, che eserciti l’officio di provinciale un altro
maestro, suo contrario. E non è obedito il breve né la scomunica. E ’l Cardinal
Duca scriverà a Vostra Eminenza le ragioni. Però li sia avvisato. E
non lasci correr le passioni altrui per ragioni. Io sempre avvisarei: e con verità,
perché non pesco dignità qui, ma solo il servizio di Nostro Signore. Ma
«nescimus si sumus digni amore vel odio». Però taccio. Se vol ch’io stampi
le cose di Sua Beatitudine col Commento, lo farò. Resto al suo comando, e
prego Dio per Sua Beatitudine e casa Barberina. Si ricordi ordinar ad altro mi
dia la solita lemosina, non ci essendo più qui monsignor Mazarini, che mi donò
per tutto il mese di gennaro. E la pension del Re si paga tardi e con stento.

Consideri Vostra Eminenza che il centone De praedestinatione ex verbis
divi Thomae
è di tanta importanza, che con facilità risponde ad ogni argomento
eretico, e consola le conscienze, e mette pace tra la republica e la religione
e Dio, insperata secondo l’opinioni correnti, facilissima secondo la
mia. E s’altro l’avesse fatto ch’io sventurato, Vostra Eminenza li darebbe
il suo cappello, quando leggerà ecc. Io solo desidero la gloria di Dio e di
Nostro Signore, e a Vostra Eminenza ogni bene, e per me la fatica utile.
Parigi, 21 aprile 1636.
Prostrato in terra abbraccio i piedi di Nostro Signore, pregandolo che
faccia conoscer a Vostra Eminenza la mia ingenuità, e che non mi vituperi
nel ben ch’io faccio, se prima non è certa ch’io mento, come dice la fraudolenta
malizia ecc., quae «noluit intelligere ut bene ageret».

Di Vostra Eminenza
servitore umilissimo, fidelissimo, veracissimo
Fra Tomaso Campanella

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