Tommaso Campanella, Lettere, n. 167

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AL PADRE TOMMASO BORELLI IN ROMA

Parigi, 3 agosto 1638

Figlio carissimo,

io son tanto arrabbiato col Favilla, che per la sua sciagurata accidia e
infingardaggine mette a terra l’amici, la chiesa, il papa e se stesso. Li scrivo
oggi la lettera sua e quella del signor Contestabile, e vedi quel ch’è avvenuto,
per la sua mala vita e mali consigli [….]: e dimandate le scritture: e se ’l
Contestabile, dopo che vede questo naufragio, non si move (il che non credo),
portatele a mons. Ceva di mia parte e di Sua Eccellenza, e pensate
farla da uomo. Sapessero li pericoli miei per servir a santa chiesa: e questi
si ridono! Le censure son obligati darmile de iure naturae; o lasciar correre i
libri. Per tanto date un memoriale al santo Offizio così:

«F. T. Campanella dice ch’il padre Mostro suo nemico ha vietato a’ librari
che tengano i suoi libri approbati in Roma e in Francia; il che reca
grave scandalo ai convertiti, chi per altre risposte di quelle ch’esso supplicante
cavò da san Tommaso non ponno trovar satisfazione; e per tutto correno
libri cativi e volgari, che li dominicani son calvinisti, e ’l papa ancora, e
che difender il papato non è difender la fede, mentre è la medesima quella
di Calvino con la fede del papa, ma è difender l’usurpata potenza del papa
sopra vescovi e principi. E di più, esso padre Mostro li vol cancellare il
nome dal mondo, e non permette che nell’orazion funebre di Peresch sia
nominato, né in altri. Pertanto dimanda che questo sacro tribunale li
dia le censure fatte contra il suo libro da dui padri spagnoli e dal padre Mostro
e dal padre generale persecutori: e se non risponderà in manera, che si
conosca che le proposizioni del supplicante son catoliche e quelle di contrarii
eretiche o erranti, esso supplicante condanna tutti suoi libri al foco, come
l’ha protestato anche alla Sorbona, Academia regia di teologi parisiensi. E
così dice, prova e protesta hoc et omni meliori modo».

Date questo memoriale al padre Firenzola: e quando vengon li cardinali
alla Minerva. E lascia far a me. Questa lettera di Favilla non l’intenderai
senza cifra, quale ti mando qui inclusa. Non ti mover di Roma. Quando
verrà il Rossi, vedrai quel che farò per amor vostro. Fatica per chi stima
e ama la vostra amorevolezza e diligenza, perché non perderà Vostra Signoria
il tempo. Va subito al Conte, e dimandali a chi ha dato li altri cento
scudi, perché Alfonsetto non li ha avuti, né sa ecc. Dubito di Favilla assai.
Vi mandai la Filosofia razionale per un conte inglese, e scrissi all’ambasciator
per l’altra posta che si serva di voi, perché Favilla non è bono. A Dio.

Parigi, 3 agosto 1638

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