Tommaso Campanella, Lettere, n. 134

Precedente Successiva

A NICOLAS-CLAUDE FABRI DE PEIRESC
IN AIX-EN-PROVENCE

Parigi, 24 febbraio 1636

Illustrissimo e reverendissimo signore e padron colendissimo,

quando, l’anno passato a settembre, donai la Filosofia razionale alle stampe,
pensai, finita di stampare, scriver a Vostra Signoria illustrissima e reverendissima,
e non prima, con mandarli un libro stampato. Poi mi fu bisogno per
la necessità della conversion di molti, parte ateisti, parte predestinanti al bene
e al male, che son peggior di quelli, sollicitare la stampa del Contra ateisti, corretto
al gusto del santo Papa, e dell’opuscolo De praedestinatione; e tutti questi
libri promisero li stampatori darmeli compiti a Natale. Mi stesero fin a Carnovale
in questo solo, che mando a Vostra Signoria illustrissima: però non
s’ammiri che non ho fatto l’officio debito con Vostra Signoria illustrissima.
Né stampai le Dispute di cose naturali e morali e politiche, né la Metafisica,
né la Theologia, che più degne opere sono, ma non so se più utili, perché
il Padre generale, mio persecutor gratis perpetuo, spagnolizzato, trattò e col
Re e col Cardinale Duca e con li Nunzii, ch’io non stampassi, etiam li libri
che fûr approbati in Roma, né ristampar li stampati in Roma, né li ricercatimi
qui e in Roma dall’Academia eretta contra eretici. Ond’io, per fare strada larga
agli altri, stampai questi, che per esser in Roma approbati e dalla Sorbona
in Parigi, e dalla necessità dell’Academia, e dal Gran Cancelliere, che li fece
riveder secretamente e me li tenne perciò cinque mesi in sua casa e, vedendo
che per mera calunnia io era impedito, mi donò licenza e privilegio per
tutti i libri, come Vostra Signoria vede. E nostro signore Papa mi mandò
a lodare e commendare di certe conversioni fatte e mi dona l’aiuto solito
ecc., talché sono sciolto di un intrico, e fatto veder che questo si facea per
metter odio tra la casa Barberina e ’l Parlamento con la Sorbona, al cui giudizio
io sottoposi l’opere mie,come se fosse eretica o ignorante nella censura
de’ libri miei.

Ora mi restan le difficultà con li stampatori, perché è rotto per le guerre il
traffico di libri, la carta è cresciuta di gabelle ed è mala, e ciascuno vuol i libri
senza pagar le spese almeno di scrittori; e ’l signor Gaffarello per dar la Medicina
allo stampatore n’ebbe cento scudi, e una catena di quattrocento per la
dedicatoria dal Duca di Parma; e sebben un uomo filosofo non deve mirar a
questo, le necessità qui son assai, né si paga la pensione così facilmente, e tengo
uno scrittore e dui servitori con tutto ciò m’accomoda. Adesso si stamperanno
tre volumi, venuta la carta che s’aspetta. Io pensavo mandarli un dedicato
a lei subito, ma aspetto prima un altro dedicato al Cardinale Duca,
perché ecc. Presentai al Re Cristianissimo questo primo: mi fe’ carezze
straordinarie con meraviglia di tutti, mi abbracciò due volte ecc., non si mise
la berretta, disse ch’io era il primo virtuoso ecc., e ordinò si metta la pensione
in cosa sicura. Io servo alla repubblica in qualche cosa non inutilmente, e ’l
signor Cardinale mi porta affetto e ne parla con gusto ecc. Questo è lo stato
di vostro servo. Mi farà grazia Vostra Signoria illustrissima legger almeno la
epistola al Re, ché da quella comprenderà l’utilità e cagion dell’opera. Vedrà
che stampai l’opuscolo De Peripateticismo non retinendo col privilegio, bench’a
tutti sia stato negato dal Parlamento, e a me no ecc. Ho parlato più volte
all’illustrissimo signor suo fratello, il qual ben mostra ch’è della sua razza;
prego Dio che tutti i successori portino «il valor» (come dice Dante) «di vaso
in vaso». Desidero sapere se il signor cavalier Pozzi li mandò la Monarchia,
e che fa il signor Gassendo e quando vederemo le mirabili observazioni sue
Fabriziane. M’ha detto un gentiluomo, che stampa il suo Democrito; l’avrei
caro avanti ch’esca la Metafisica, per veder se io l’intendo o no nel modo che
l’esaminai cogli altri filosofi, perché mi persuado che, avendo esso fatto studio
ed esperienza tanto particolare, abbia avanzato me e tutti gli altri. Francesco
Sopravia calabrese, al tempo del Telesio, fece anche il suo Democrito: e fra
Paolo veneto era assai amico di questa filosofia: e in parte bona anche il signor
Galileo, il qual communica spesso con noi per lettere che riceve il signor
Deodato. Io resto al comando di Vostra Signoria illustrissima sempre e le
prego da Dio ogni contento.

Parigi, 24 di febbraio 1636.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore obbligatissimo e devotissimo
Fra Tomaso Campanella
[A tergo:] All’illustrissimo e reverendissimo signor l’abbate Fabri monsignor
de Peresc, padrone colendissimo, presidente del Parlamento di Aix.

Precedente Successiva

Scheda informativa

Schede storico-bibliografiche