Tommaso Campanella, Lettere, n. 103

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A PAPA URBANO VIII IN ROMA

Aix-en-Provence, 2 novembre 1634

Beatissimo Padre,

miracolosamente in dieci giorni il vostro perpetuo, fidelissimo e di tutto
core amantissimo servo è gionto in Aix, sequendo la legge naturale ed
evangelica, al cenno dello Spirito santo nelle parole di Vostra Beatitudine all’Ambasciatore
cristianissimo, da me conceputo per fuggir l’odio gratis de’
nemici di vostra Casa – come col tempo si mostraranno i più crudi del mondo,
se potranno – e l’ira, quanto più simulata tanto più atroce, de’ ministri
del Re Cattolico, chi, per mostrarsi fideli e roder come vermi domestici, senza
disturbo, le radici dello scettro reggio, fanno ostentazione di salvare il Regno
da ribelli, e con tormenti dopo la condanna di morte – ai quali nullo
resiste se la resistenza non giova, anche perché pensan di scolparsi del peccato
dopo il tormento – e con soggestioni han voluto che si dica contra me,
prima infamato tanti anni, per dar apparenza al manifesto mendacio, come
io stimo e tutto il mondo grida. Però io dimando a Vostra Beatitudine grazia
di farmi una confession generale, con protesta che non mi vaglia né in questo
secolo né in l’altro, per la colpa impostami nel caso del Pignatello, s’io ne
fossi stato complice o consapevole. Di più l’assicuro che in questi paesi li
valerò più che mille trombe della virtù e gloria di Vostra Beatitudine, e
più che mille ambasciatori per il benefizio di Casa Barberina e per le giurisdizioni
ecclesiastiche: e spero in Dio poterlo fare e presto.

E perché Vostra Beatitudine prese occasione di scacciarmi da sé, pensando
ch’io l’avessi detto bugia nella causa del Padre Mostro, li dico di novo
ch’il suo libro è tutto gentilismi, talmudismi e zannate burlesche delle cose
sacre e più che ordinarie eresie. E perciò donai, a tutti chi mi cercâro, la
Censura; e in Roma lasciai il memoriale a Vostra Beatitudine con le parole
sue formali, perché sappia chi l’ha mentito: io o altri collegati seco a riferirle
il contrario; e anche quel che le scrissi per più volte, stimolato dal Padre
Acquaviva e dal Padre Lupi, suoi compagni, di questo e d’altre cose più gravi
trattate con li pseudastrologi – le quali cose ho tacciute – come: i poemi di
Vostra Santità saran proibiti, perché mette la sacra Scrittura in verso, è verissimo.
Ma l’Acquaviva mi disse che il conte di Castelvillano non ha voluto
che lo dicesse a Vostra Beatitudine, per non darle disturbo. E perché lui,
ad istanza de’ Peretti, ha favorito il Mostro – e forse non conosce l’importanza
del fatto –, benché sia fidelissimo e amorosissimo a Vostra Beatitudine
e, per conservar questo amore, non vol che Vostra Beatitudine senta un minimo
disturbo. Ma con precetto potrà farselo dire dal Padre Lupi.

Io ho voluto tacere per il rispetto del Conte e de l’eminentissimo cardinale
Antonio; e pensavo un giorno mostrarlo. Ma, sendo lontano, non voglio che
Vostra Beatitudine tenga una falsa opinione contra la veracità e fedeltà mia;
ma s’assicuri che quanto dico farò. Se mi vol far grazia permettere ch’io stampi
i suoi poemi con li miei commenti, testificarò al mondo le sue grandezze e
la mia devozione; e disfarò quella invidia che mi pose a terra, perché, non potendo
il Ridolfi e ’l Mostro mover l’alto senno di Vostra Beatitudine, seminâro
ch’io trattassi seco astrologie e cose di Stato. E però il cardinale eminentissimo
Barberino prudentemente ha cercato sempre che io pratticassi poco in
palazzo e che non dedicassi libri a Vostra Beatitudine e che non si stampassero
i miei commenti. E però Sua Eminenza tiene il primo volume, ch’è de’
poemi sacri, datoli con queste soggestioni dal padre Ridolfi; l’altro volume sta
in man del padre Tontoli, che li fece una grande approbazione. Come anche
il padre Candido feo; e le Scole Pie e li Sommaschi me li cercâro per legger a’
discepoli; e io non li diedi senza voluntà di Vostra Beatitudine. Altri commenti
restâro nella mia cassa, e uno in man dell’eminentissimo cardinale Orige.

Di più, Vostra Beatitudine sa che l’Ateismo trionfato, che stampai, è fortissimo
per levar dalla mente di prìncipi e di scienziati quello argomento
donde nasce l’astuzia di Stato e la disobedienza verso Vostra Beatitudine
e che la religione sia arte di Stato: e fa gran frutto. Mi fu cercato dall’Academia
nova contra eretici per mezzo del Padre Giacinto cappuccino, come
sa il Padre commissario del Santo Offizio, il Firenzola. Però non è bene che
resti inchiodato. Io conciai quel che disse Vostra Beatitudine; ma quel che
oppose il Mostro è suo errore, perché Vostra Beatitudine non vol si facciano
prognostici e natività, e lui non vol che si faccino argomenti ad hominem ex
dictis astrologorum, come fa san Paolo contra Gentili ex dictis Gentilium,
contra Ebrei ex Hebraeorum ecc. Ed è luogo teologico ex IX Melchioris Cani;
e dir il contrario è dogma di Manichei, li quali condannano San Matteo
perché disse: «Vidimus stellam eius in Oriente», e Mosè perché registrò l’astrologismo
di Balaam: «Orietur stella ex Iacob» ecc., confondendo le nazioni
con le proprie loro dottrine. Anzi san Crisostomo e altri portano l’oracoli
de’ diavoli contra i Gentili. Però non ho voluto consentire al suo
giudizio, perch’è [in] favor di Manichei e contra il senso e l’onor della bolla
di Vostra Beatitudine, nemica di Manichei. Onde supplico doni al Padre Firenzola
ordine che lo veda con persone non interessate.

Di più, si stampò in Iesi il libro della Monarchia del Messia, attissimo a
tirar i principi all’obedienza senza i disturbi del Santarello e senza pericolo,
e approbato da esso Mostro e dal Vicecommissario del Santo Offizio per
tale. Però supplico Vostra Santità li faccia dar il publicetur, bench’io non lo
avessi stampato e mi obligo far che l’ambasciatori di prìncipi l’approbino,
avvertendo che presto faranno opinion commune, che si possa far tribunale
sopra San Pietro, il qual fu posto sopra tutti per metter ragione tra prìncipi e
populi collitiganti, e tra prìncipi e prìncipi e nazione e nazione. Vostra Beatitudine
lo veda, come lo vede anche il cardinale Gessi, e proveda; o veramente
Vostra Beatitudine mi dia licenza che la Sorbona rivegga tutti questi
libri e faccia sian publicati o no, secondo parerà.

Le ricordo anche che il Reminiscentur, cercato da tutti, in particolare da
monsignor Ingoli, come necessario a tutti missionari, approbato dal Vicecommissario
del Santo Offizio e dal reggente di Sant’Andrea della Valle
dottissimo, il Padre Firlingieri, e desideratissimo da tutti, son due anni
che sta in man del Padre Mostro; e non vol renderlo sotto vani pretesti,
nè con correzione né senza. Però supplico lo faccia rendere all’Ambasciatore
cristianissimo, e si rivederà in Francia. Perch’il Mostro non è atto e per
l’inimicizia e perché non ha scienza alcuna, se non dui trattati della prima e
terza parte, non nel testo, ma nei scritti; e il vostro servo, ch’ha visto tutto
san Tomaso, l’ha fatto mille volte restare come è noto, e ’l sa il Padre Bartoli,
chi fu presente. Di più, il suo libro contra l’avversario del Concilio
tridentino è preso parte dalle cose mie, e però non vol si publichino il Reminiscentur
e la Monarchia; e parte n’ebbe dal Carli, il qual, vedendo questo,
n’ha fatto esso il proprio trattato. Dissi a Vostra Beatitudine ch’io in
dui mesi scriverei: Vostra Beatitudine mi disse: – Sì, dopo ch’averà scritto il
Mostro –; Vostra Beatitudine vederà ch’egli scrive prediche e dicerie volgari
e salse alquanto, non tocca il punto. Se comanda, scriverò.

Finalmente supplico Vostra Beatitudine mi continui l’elemosina delli
quindici scudi d’oro al mese per li bisogni, e perché si sappia ch’io son suo
vero servo e autorizzato al suo servizio; come anche la continua a Gaspare
Scioppio, benché stia in Germania ecc.

Si ricordi ch’han fatto stampar in Roma l’Astrologia di notte; e poi la
donâro a Vostra Beatitudine, dicendo falsamente che ci erano soperstizioni
– e li giudici datimi da Vostra Beatitudine dissero il contrario –; e fu quel
giorno che Vostra Beatitudine mi volea far qualificator del Santo Offizio, sapendo
elli quanto potea fra loro risplender il mio giudizio e passar avanti. Si
ricordi che cercâro screditarmi, ch’io non son tomista, falsamente -ma ciò
poco importa, essere scotista o agostinista o ecc. in santa Chiesa –, e io cercandoli
di legger san Tomaso in catedra, non mi lasciâro, perché non si veda
la calunnia. E poi la ridussero che non son aristotelico; e io mostrai che san
Tomaso non è aristotelico: e che lui dice ch’Aristotele non è l’ottimo de’ filosofi,
ma Platone e Socrate e Pitagora, come pur dice sant’Agostino: e ch’è
errore e tirannide spirituale esporre la sacra Scrittura solo con Aristotele o
altro filosofo, secondo san Tomaso, Agostino, Giustino e altri. E che li Padri
tutti hanno scacciato Aristotele dalle scole cristiane, e ch’ordinâro che non ci
appoggiamo a filosofo particolare, ma ricever da tutti quel che imparâro dalla
Sapienza eterna, Cristo, ignorato da loro tanquam ab iniustis possessoribus;
e che lo stesso dicono le nostre constituzioni e ’l Concilio laterano.

E con tutto ciò ardiscono soggerire a Vostra Beatitudine ch’io fo male
impugnando Aristotele in quelle cose in che fu impugnato da’ Padri Basilio,
Giustino, Gregorio nisseno, Crisostomo, Ambrogio, Tertulliano, Lattanzio,
Clemente alessandrino, Agostino, Eusebio ecc. e da san Tomaso stesso. Del
che feci un opuscolo e presto verrà a Vostra Beatitudine. E Melchior Cano,
gran tomista, irato contro essi, dice in libro decimo De locis: «Habent
Aristotelem pro Christo, Averroëm pro sancto Petro, Alexandrum Aphrodisiensem
pro sancto Paulo». Pensivi Vostra Beatitudine, perché «quidquid
loquitur populus iste, coniuratio est» dicit Dominus». L’opinion de
sensu rerum, tanto biasmata dal Mostro, ho fatto veder ch’è di tutti Padri
e di scolastici e di tutti filosofi, altro che d’Epicurei e di chi non crede
che Dio ci è. L’opuscolo si vedrà. Per amor di Dio, Vostra Beatitudine
apra gli occhi sopra il suo servo, mi protegga e dia per giudice la Sorbona,
benché non sia meco nella giurdizione, e vedrà che ci è inganno. Diciotto
teologi avean condennato per eresia ostinata l’opinione del Vecchetti come
contraria a tutti Padri; io mostrai al Padre Acquanegra che non è se non temeraria
ecc., né contra tutti Padri. Vostra Beatitudine non ha goduto il
mio servizio per l’invidia di conservi e per li sospetti ecc. Adesso servirò
meglio. Mi perdoni di tanta apologia, ch’era necessaria.

Li bacio i santi piedi umilmente e cordialmente, e prego Dio per la salute
di Vostra Beatitudine e vittoria sopra i nemici della fede e della ragione. Amen.

Aix, 2 novembre 1634.

Il perpetuo, umilissimo e fidelissimo servo suo
ad sanctos pedes ecc.
Fra Tomaso Campanella

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