Tommaso Campanella, Lettere, n. 4

Precedente Successiva

AL GRANDUCA FERDINANDO I DE’ MEDICI
IN FIRENZE

Padova, 13 agosto 1593

Serenissimo Granduca,

si tratta in Padova di darmisi una lezione di metafisica nello Studio da
alcuni gentiluomini; a’ quali dissi ch’avevo promesso di servir Vostra Altezza
e per sua grazia gli ero obligato. E risolvendomi di finirla, perché veggo la
cosa fredda, come da Firenze mi si scrive, mi parve non far altro senza farcilene
motto. Tanto più che mi parrebbe digradare dal mio pensiero, mostratomisi
confirmar generosamente da Vostra Altezza, mentre, essendo con
essa, mi disse non solo volermi favorire, ma mi persuase con giusti consegli
lasciar i frati, donde dipende la forza de la mala fortuna mia, con apportarmi
esempio di molti virtuosi da loro perseguitati e da sé rilevati. Anzi, mi
giovò con danari; e scrisse al Padre generale che mi dasse licenza di venir
a servirla e di stampare altresì.

Sì che, sapendo io che le parole di prencipi son eterne, e non devono mai
aver fatto errore ne’ fatti e parole, dove la cosa, particolarmente di Stato, non
ricercasse altro, abbisogno creder ch’io perda assai d’onore, cascando da
quel prudente pensiero che avevo, sotto l’ale di prencipe sì grande schivar
la fortuna alle Muse nemicissima. Né sarò mai io che m’imagini ch’ella mutasse
parer a detto d’altri, non essendo proprio di signori: benché mi si scrive
ch’alcuni, gonfi di quella vana sorte che suol apportar la ippocrisia, abbian
proposto a Vostra Altezza, per la mutazion ch’avverrà da le nuove mie dottrine,
che non doveva ricevermi: e questo il medesmo dì che io mi partii da
lei. Pure so ben io che le mutazioni di nuovi ordini, d’onori e di viver appo i
sudditi è nocevole al prencipe; ma le dottrine nuove, senza interesse, giovano,
perché rendono il prencipe ammirabile e riguardevole. Onde Alessandro
diceva ad Aristotile, che quella nuova scienza ch’a lui communicava non la
facesse gir in man d’altri, perch’egli solo volea esser ammirato per quella.
Le scienze poi vecchie e communi rendono l’uomo men venerando. E perciò
i legislatori proposero cose nuove e maravigliose a’ popoli.

Io ancora so stare in quelle dottrine ch’ella volesse, ordinarie; e forse più
ben degli altri: ché saperne, più dell’aristotelica, le platoniche, da’ suoi avi
amate, e le pittagoriche e altre moderne, non deve diminuirmi grazia e favore
appo lei, come non mi scema la scienza con la quale si governano gli
Stati. Dunque la supplico resti servita farmi scrivere s’io deggio ricever questa
lezione, over aspettar quando mi comandarà che venga a servirla. Al che
resto prontissimo e dal genio molto inclinato.

Le dia il cielo maggior felicità.

Da Padova, a dì 13 d’agosto 1593.

Di Vostra Altezza serenissima affezionato
Fra Tomaso Campanella
[A tergo:] Al serenissimo Granduca di Toscana.
Firenze.

Precedente Successiva

Scheda informativa

Schede storico-bibliografiche