Tommaso Campanella, Lettere, n. 161

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A MONSIGNOR FRANCESCO INGOLI IN ROMA

Parigi, 6 ottobre 1637

Illustrissimo e reverendissimo signore,

considerando il zelo di Vostra Signoria illustrissima e per la propria virtù
e bontà e per l’ufficio che tiene, e quanto nòce alla propagazion della fede la
pigrizia, l’inerzia e l’avarizia di prelati, la quale mi ritarda molte opere buone,
supplico Vostra Signoria illustrissima per la gloria di Dio e ampliazion di
santa Chiesa che mi mandi subito il breve di Pietro de Bellis, appellato olim
fra Iacinto de Bellis Neapolitanus, apostata di molti anni in Geneva, la cui
abiurazion io mandai in Roma e supplicai li si dia licenza di poter vivere in
abito clericale, e dire missa, e predicar contra eretici, e agiutarmi nella conversione.
Con tutto ciò son cinque mesi che non posso aver questa grazia
per pigrizia, o per invidia ch’io faccio ben e non male, come vorrebbono i
miei persecutori, o per avarizia, chi mi dimandano trentadue scudi della
spedizione. Del che io ne resto assai scornato, scandalizzato e dolente, e impotente
a mantere l’impeto di poco ben senzienti della universale potestà
del papa, e d’altri chi procurano la concordia tra catolici ed eretici, secondo
però l’opinion de l’Alvarez e del Bannes, con patto a prìncipi suggerito con
nuovi libri e sinodo nuovo, che gli eretici piglino da’ catolici li dogmi della
fede e li catolici da evangelici (così si fan chiamar) la riforma della Chiesa.

La quale consiste di spogliar il clero e ’l papato di Stati e beni temporali,
e far ch’ogni regno e principato abbia un suo patriarca dipendente dal suo
re. Al che tutti prìncipi converrebbeno; perché così crescono di ricchezza e
di potestà e di abilità ad ascender all’imperio, e di non esser travagliati con
guerra da catolici e averli in favor contra infideli. E non s’avverteno che questa
è la rovina e della fede e dei principati loro, come ho provato li dì passati
stampando un libro De regno Dei correspondente a quel libro stampato in
Iesi De monarchia Messiae, che la persecuzion m’ha inchiodato, che
non posso caminare; e mi tiene ancora il libro oppresso del Reminiscentur in
man del Padre Mostro, del quale ho parlato con Vostra Signoria illustrissima
più volte, ed ella sa quanto saria utile alla conversione. Di tutte queste
cose potrà dar a Vostra Signoria ragguaglio il signor Favilla.

Finisco scongiurandola e ossecrando per l’amor di Dio che mi mandi
questo breve senza più dilazione, e che communichi questo col reverendissimo
Commissario del Sant’Officio, accorto e zelante per la fede. Il principe
di Etiopia sta qua al solito: nec proficit, nec deficit. Resto al commando di
Vostra Signoria illustrissima e aspetto la sua grazia.

Parigi, 6 d’ottobre 1637.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore umilissimo
F. T. Campanella
[A tergo:] All’illustrissimo e reverendissimo monsignor Ingoli, secretario
della Congregazion de propaganda fide. Roma.

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